Il quesito è chiarissimo e lo preciso alla luce della mia personale esperienza.

Posto che quegli anni passati a lavorare nel deserto libico hanno lasciato un segno indelebile nel mio approccio esistenziale (scusate il parolone ma non ne trovo altri), cosa è che mi ha "segnato"?

1) una esperienza professionale "altra", diversa dalle precedenti a dalle successive;

2) il vivere diversamente, in quei 100 giorni di permanenza in un campo più o meno isolato, dove il rientro serale tra le mura domestiche non era contemplato?

3) l'ambiente "ostile" (dove ostile va interpretato più come diverso che nemico), dove vivere e lavorare?

Sicuramente ognuna di queste, ma ognuna di queste poco c'entrano con il sahara, perchè sono riscontrabili in ogni esperienza analoga non necessariamente nel deserto.

Penso alla costruzione degli oleodotti in siberia o nel kazakistan, alla transgaboniana o alla diga sul bacino dell'uribante, nelle giungle del Gabon o del Venezuela. Ma anche ai nostri militari in Bosnia o in Afghanistan.

Quindi non è la specificità ambientale la discriminante, ma le condizioni in cui ci si trova.

Del resto le stesse condizioni di vita hanno ben poco di oggettivo. Per noi italiani, stare a Al Wigh era assolutamente limitante della nostra qualità di vita, già all'ottantesimo giorno dei 100 di permanenza, non si pensava ad altro che a rientrare in Italia.

Magari per un giovane del Bangladesh, tre pasti caldi al giorno ed un letto in una camerata più o meno climatizzata con annessi docce e servizi, era l'equivalente di un hotel a 5 stelle.

In questa relatività di situazioni e di vita, cosa ci azzecca quindi il sahara??

Molto!

Per spiegarlo, anzi per cercare di trasmettere le senzazioni, perchè di senzazioni e di senzazioni forti si tratta, mi dilungo nel raccontare un episodio. Non saprei farlo in altro modo e mi scuso anticipatamente per la prolissità.

Nel campo c'era un autista, passaporto libico di origine nigerina. Temuto e rispettato (forse più temuto che rispettato), abbastanza taciturno. Del suo passato si conosceva la sua milizia nelle squadre speciali dell'esercito libico, da cui era uscito con misteriosi onori e meriti. Che era stato mercante di schiavi (proprio così un negriero razziatore). Conosceva il territorio palmo a palmo, così come conosceva ed era conosciuto in ogni singola oasi, dove era ricevuto con il solito immancabile timore e rispetto.

Si era creato tra noi un buon legame. Ne apprezzavo la coerenza e la linearità di pensiero, il non essere "levantino" nei rapporti interpersonali che, nei miei confronti, avevo verificato leali e corretti.

Ogni sera, appena buio, spariva misteriosamente per rientrare al campo dopo qualche ora.
Inizialmente avevo pensato avesse trovato una prostituta a tejeri, ma i tempi di percorrenza e la quotidianetà, non mi quadravano.

Alla fine (la curiosità non è solo femmina!), non ho resistito e gli ho chiesto cosa combinasse ogni sera.

Sono stato invitato a seguirlo la sera stessa.

Abbiamo fatto una ventina di km verso sud (ad una velocità pazzesca..... guidava lui!) fino a fermarci ai piedi di una grossa duna, che ci nascondeva la luminescenza del campo, al buio assoluto. Ha tirato fuori un fornellino da campeggio ed ha iniziato a preparare il te.

Senza scambiare una parola, abbiamo atteso che fosse pronto e l'abbiamo sorseggiato lentamente, con il silenzio che ci dilaniava le orecchie ed il buio che non ci permetteva di guardarci in faccia. Dopo circa un ora siamo tornati (alla solita velocità pazzesca) indietro.

In breve è diventata un abitudine di tutte le sere che, dato che io ero meno chiuso e taciturno di lui, si è allargata ad altre persone. Alla fine i toy lanciati in folle corsa in fila indiana erano tre, riempiti di persone di razze e culture diverse, che non potevano fare a meno di quel quotidiano contatto con "l'assoluto".

Naturalmente, al campo, non tutti capivano perchè la medesima tazza di tchai arabi non potessimo sorseggiarla in sala mensa, comodamente seduti al caldo, magari giocando a carte.

Qualche scherno c'è scappato, come qualche faccia stupita al mio racconto l'ho sempre trovata. Sentire, più che capire, "l'assoluto" non è da tutti, mi sento un privilegiato nel averne avuto l'opportunità!

Ciao a tutti