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#68803 - 09/21/05 08:20 AM Diario di un viaggio a meta'
MATTHIAS Offline
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Posts: 234
Loc: carpi
Spero di farvi piacere, scrivo qui di seguito il diario del mio mezzo viaggio estivo, se dovesse esservi d'aiuto qualche informazione chiedete pure ;\)
_________________________
Sono un coordinatore e vengo coordinato

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#68804 - 09/21/05 08:22 AM Re: Diario di un viaggio a meta'
MATTHIAS Offline
Senior

Registered: 02/05/04
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Loc: carpi
1.


E' incominciata! Alla fine è incominciata.

E' con una sensazione strana che questa mattina mi sono svegliato, erano le quattro e mezza quando la sveglia ha berciato il suo impietoso lamento e diversamente dal solito, quando per svegliarmi servono le cannonate, sono scattato dal letto lucido e impaziente. Il destino però è stato ancora una volta beffardo e un velo di tristezza cala sull'iniziale momento d’euforia, è il momento del saluto all'unica persona che mi mancherà ogni singolo attimo, ogni momento da condividere, di gioia o di difficoltà di questo lungo viaggio, è il momento di stringere Silvia per l'ultima volta per le prossime settimane e partire perché il programma è cambiato, questa volta non potrà seguirmi.
L'unica parte del viaggio pesante è forse proprio il lungo trasferimento autostradale (anche decisamente costoso) che mi porta a prendere il traghetto verso il Marocco in Spagna, ad Almeria, nonostante cio' gli oltre 1300 km percorsi nella prima tappa sono trascorsi in un baleno, riflettendoci con il senno di poi, a Terragona in riva al mare con una birra ghiacciata in mano, forse l'ultima per qualche tempo.
Mellilla, enclave spagnola in territorio marocchino, coperti gli oltre 2000 km di noiosa e trafficata autostrada e compiuto l'attraversamento del mediterraneo su un comodo traghetto, anche se non pulito come sarebbe dovuto essere.

Ha più l'aspetto di un trapasso verso gli inferi, con le anime dannate oltre i cancelli, che una frontiera, ma questa è una comoda porta verso l'Europa per le centinaia d’immigrati che cercano di oltrepassare le alte e appuntite recinzioni che ricordano più un perimetro di un campo di concentramento che un posto di frontiera e non ci si può aspettare altro che gente con nulla da perdere che spera di attraversarli.
Le formalità qui non presentano particolari difficoltà e in poche ore posso incominciare il mio viaggio; Rimango stordito dalla cacofonia di suoni prodotta dalla moltitudine qui e una sensazione di leggero disagio mi chiude lo stomaco, sono piuttosto stanco e la giornata molto calda e afosa non mi aiuta affatto. Per un momento penso anche a che cosa ci sto facendo io qui... Un grosso respiro, tabula rasa nei pensieri e via, mi serve un po' di solitudine per rimettere insieme le idee e i 500 chilometri di deserto che mi separano dalla sorgente dove intendo dormire questa notte sono quello che ci vuole. Ho ancora una volta le ruote in terra africana, questa volta però a occidente, alle porte del Sahara, con tanta voglia di svolgere bene il compito che mi è stato assegnato ma consapevole che non sarà affatto semplice.


Mi avevano avvisato che la parte interna del Marocco, dalle brulle montagne desertiche del Nord Est alla catena montagnosa dell'Anti Atlante, in questo periodo dell'anno era molto calda e in effetti le temperature sulla strada per raggiungere la Source Bleue de Meski, passando dal piccolo Missour e dall'ordinata Ar Rachidia si sono sempre mantenute ben al di sopra dei quaranta gradi. Nonostante cio' la solitudine e il deserto ha del miracoloso sul mio stato d'animo, ridandomi la serenità per proseguire il viaggio con i giusti presupposti. Avanti tutta.

Attraversando le Gorges du Ziz, poco oltre il tunnel du Legionaire, l'unica galleria del Marocco, mi fermo per scattare una foto agli ingegnosi canali scavati dall'uomo per portare l'acqua in tutta la larghezza della depressione consentendo così una rigogliosa vegetazione anche nei periodi più secchi dell'anno quando un bambino mi avvicina, uno dei tanti bimbi che vendono frutta, datteri e uva in prevalenza, sul ciglio della strada per offrirmi la sua mercanzia dall'aria invitante, non me la sento però di rischiare, per me la malattia del viaggiatore è qualcosa di più che un fastidioso contrattempo, non ho tutti gli agi per permettermi le conseguenze derivate da leggerezze su cibi e acqua non adatti al delicato equilibrio intestinale di noi occidentali. Gli offro però un panino che mi tenuto per sicurezza e comincio a chiacchierare con il bimbo dal sorriso grande come una casa della scuola, di che classe frequenta. Mi faccio accompagnare così dal maestro della piccola scuola composta solamente da due classi e sotto una tenda in compagnia di qualche adulto, tra i quali il maestro appunto e il responsabile del piccolo centro medico donato loro da una ong americana, mi viene offerto thè bollente accompagnato da gustose ma salatissime arachidi e raccolgo così le prime informazioni sulle loro necessità; Hanno la scuola ma non hanno libri, hanno il centro medico ma non hanno nulla se non qualche garza e cerotto, mancano perfino generi indispensabili come gli antibiotici generici e le siringhe.
Il sole è ormai tramontato, sono quasi le otto e trenta quando riesco a congedarmi e devo necessariamente stringere i tempi se voglio arrivare in tempo alle sorgenti per aprire la tenda e sono ancora distante diverse decine di chilometri.

Al bordo di una piscina naturale nel mezzo di un palmeto da sogno, la luna piena ad illuminare il mio taccuino mi rilasso e mi godo questo momento di serenità e quiete ora che tutti i vocianti turisti sono andati via.
La sveglia suona, sono le sei (o almeno lo credevo), è ancora buio ma penso che tra poco sorgerà il sole e le ore migliori per viaggiare sono queste. Però una cosa mi incuriosisce, mi lascia perplesso. Sono le sei e il buio è pesto come se fosse piena notte, tutti dormono profondamente e nemmeno dopo che ho sistemato la tenda e le mie cose nemmeno un accenno del sopraggiungere dell'alba. Non capisco, devo anche andare a svegliare l'omino del camping per farmi alzare la sbarra.


Sono state dieci ore veramente infuocate quelle che ho impiegato per raggiungere l'officina di autoriparazioni di Aziz, a Zagora.
Non ho dato retta a una delle regole più importanti per un viaggiatore solitario, ossia quella di stare il più possibile lontano dai guai, tanto prima o dopo quelli arrivano senza che li cerchi (quanto si sarebbe poi rivelato vero questo fatto) e salendo per le gole del Todra mi faccio prendere dal desiderio di raggiungere le gole del Dades passando dal valico sull'alta catena montuosa che le divide, a oltre 2800 metri di quota. Per maggiore sicurezza però chiedo informazioni a un ragazzo che bighellonava li e quello si offre di accompagnarmi perché la pista non è facile da seguire. Comincia tutto con una pista molto semplice, una carraia ghiaiosa senza pendenze rilevanti per una decina di km, poi la questione cambia, devo seguire una traccia che scala il versante est del monte, ripida e pietrosa, costituita per lo più da grossi gradoni rocciosi. Tutto cio' sarebbe piuttosto difficile con la moto scarica e senza il pensiero di essere fuori dal mondo in caso di guasti o cadute, così, complice una piccola caduta senza conseguenze, desisto e ritorno indietro. E' stata una pessima idea della quale farò tesoro per il futuro, qui tutto sommato ho perso solamente qualche ora ma non ho danneggiato nulla e il viaggio può proseguire.

Arrivo a Zagora sul fare della sera, provato dal forte caldo che spesso supera i 45 gradi e dall'aria secca che irrita ogni cosa, le labbra, gli occhi, devo concentrarmi sempre per respirare a bocca chiusa, altrimenti in pochi istanti mi secca anche in bocca provocandomi un forte senso di sete. Alle porte dell'officina capeggia un adesivo di Bambini nel Deserto impossibile da non vedere, l'accoglienza è molto piacevole, come al solito a base di thè. Due chiacchiere, scarico la moto e si va a cena a casa di Aziz, il proprietario. Finalmente a mitigare il clima torrido arriva la sera e con una leggera brezza a tenermi compagnia, una abbondante cena nello stomaco a base di "non potrò mai sapere cosa" vado a dormire, all'aperto, sulla terrazza insieme agli inservienti dell'albergo.

Come al solito sono in viaggio prima del sorgere del sole, sono le cinque e una leggera frescura mi accompagna in questa prima parte di viaggio. Voglio arrivare ad Agadir e li cercarmi un posticino dove passare la serata al fresco dell'oceano, ma è talmente forte l'emozione che quando ci arrivo non ce la faccio a fermarmi e proseguo verso sud. Ho ormai superato il caldo torrido dell'interno del paese, qui ora è un vento fresco, carico di salsedine e umidità che mi spinge con vigore sulla transahariana verso il Sahara occidentale. In testa ormai ho il camping di Paul Italiano, in riva all'oceano in uno di quei punti dove la spiaggia prende il posto delle alte scogliere. Ma prima di arrivarci mi aspetta ancora una prova da superare, la strada abbandona nuovamente il litorale per scavalcare una bassa catena montuosa. La temperatura supera abbondantemente i 50 gradi, devo procedere con più calma perché il calore dell'aria addosso è intollerabile e il vento ora proviene dall'interno, scagliandomi in faccia gli invisibili granelli di sabbia che porta con se.
Si supera anche questo, non appena mi riavvicino al mare tutto torna molto più gradevole, rimane la sabbia a pizzicarmi il volto ma la temperatura è di nuovo piacevole, a tratti addirittura mi pare fresca e arrivare a Sidi Akfennir, l'inizio della zona no tax ex colonia spagnola del western Sahara è quasi una passeggiata. Questa sarà una piacevole notte infagottato nel sacco a pelo..
Apro la tenda nel tardo pomeriggio, appena finito di sistemarmi vado verso l'oceano, la luce appena sufficiente per vedere dove metto i piedi, imbocco il sentiero che attraversa il caravanserraglio, scendo per una bassa scogliera giù fino a lui: l'oceano immenso, stupendo, che abbraccia gli scogli, si rotola sulla spiaggia, gioca con vecchi tronchi d'albero prendendoli con se per poi ributtarli sulla riva. Da miliardi di anni è così, a cancellare in un attimo la traccia che qualcuno o qualcosa lascia sulla rena, le mie orme, quelle di un granchi o piccolissimo appena uscito dalla tana, le impronte dei pezzi di legno. Godo dell'antichità' del mondo, sono solo e mi sento travolgere, commuovere dalla grandiosità della natura. Di fronte a me l'Oceano Atlantico, alle mie spalle il deserto del Sahara.

2.

Non puoi capire quale è il tuo limite fino a quando non lo raggiungi, o credi di raggiungerlo.
Dopo aver viaggiato per quasi quindi ore nel deserto vedendo ridurre il numero delle vetture fino a non vederne più per gli ultimi quattrocento km, molti dei quali passati in una tempesta di sabbia bianchissima che rendeva tutto irriconoscibile, coprendo di uno strato bianco ogni cosa, da cespugli spinosi all'asfalto, rendendo persino difficile distinguere i piccoli e non pericolosi depositi di sabbia sulla strada dalle molto più pericolose lingue, alte anche mezzo metro, mi sono reso conto di essere arrivato allo stremo delle forze psicofisiche, addormentato sul letto di una piccola pensione in questo angolo di mondo dimenticato dall'uomo, senza nemmeno essermi riuscito a togliere gli stivali.
Vengo svegliato qualche ora dopo dall'uomo della reception, emozionato bussa alla mia porta "mesieur!!! mesieur, ci sono altri motociclisti con la moto come la sua...presto, venga!!"
Insonnolito e ancora piuttosto intontito metto la testa fuori dalla porta e di fronte mi trovo una coppia dall'aspetto familiare, è una coppia di cinquantenni belgi, da Gent, lui alto con i baffoni alla "Von Krapfen" e lei tipica donna dai lineamenti nord europei, tutti e due arrossati e cotti dal sole e dal vento, che sta ritornando a casa dopo essere stata a Dakar, in Senegal, sarebbe una di quelle occasioni da non farsi scappare, ma non sono dell'umore questa sera di socializzare, non riesco nemmeno a comprendere bene cio' che mi dicono in un elementare francese, molto comprensibile, e dopo un rapido scambio di battute torno a letto, un sonno profondo come raramente mi capita mi accompagna fino a mattino.
E' proprio vero il detto che dice che prima di prendere decisioni importanti conviene dormirci su. Mi sveglio con la voglia di provarci, di provare ad arrivare a Nouakchott. Mi unisco alla coppia conosciuta la sera prima, ora in grado di sostenere una comunicazione decente (ieri sera ero veramente cotto, a pensarci ora) e consumo insieme a loro una triste colazione a base di pane vecchio e caffè solubile, chiacchierando del piu' e del meno, dei vari accrocchi inventati da entrambe per riuscire a caricare bagagli, attrezzi e taniche di carburante aggiuntive sulle due moto, la mia GS e la sua KTM 950 adv e delle strade in Mauritania. La strada tra Nouadibou, prima città dopo il confine con il Marocco verso sud e unico punto di riferimento per carburante e vitto fino a Nouakchott, mi dicono essere molto bella e scorrevole tranne quattro deviazioni di diversi chilometri ognuna piuttosto complicate da seguire e "avec tres sable", mi viene in mente
Barbasma, un riferimento per me tra gli appassionati di fuoristrada con pesanti bicilindrici come la mia moto, penso che i consigli di quelli come lui mi saranno utili quando dovrò affrontare queste difficoltà...

Dopo aver fatto quattro chiacchiere con i belgi sono convinto. Se in Mauritania ci vanno queste scassarole di macchine che mi stanno intorno, ci vado pure io! E paro verso Bir guenduz, posto di frontiera, ultimo baluardo marocchino.
Alla frontiera ci sono appena una decina di macchine, poche persone intorno a uno sportello, cio' però non impedisce ai frontalieri di tenermi al sole a riflettere per oltre due ore, forse cercando di farmi capire che con una mancia le formalità sarebbero più celeri. Io pera non ho voglia di alimentare questa cattiva abitudine, che alla fine non può che peggiorare con il tempo, finendo per diventare una pratica comune, a danno dei futuri viaggiatori occidentali. Qui mi avvicina un tizio, la copia spettinata e un po' trasandata di Nichetti, l'attore regista di un film di qualche anno fa, Volere Volare dovrebbe chiamarsi, mi squadra e in un tentato francese mi fa:
"vai in Mauritania? A Nouakchott??"
perplesso mi chiedo da dove venga, non sembra un viaggiatore, piuttosto assomiglia a un faccendiere "si," solita scusa "un amico mi aspetta più avanti, nei prossimi giorni farò il viaggio con lui"
illuminato in volto il tizio "posso venire con te? Sono portoghese, viaggio da solo e sto andando alla capitale, andiamo insieme? Ci possiamo aiutare insieme..."
"perché no! Finiamo in dogana, ci vediamo di la!!.....Ma...come ti chiami??"
"Miguel, vengo dal Portogallo, da Lisbona!!" con un malconcio e un po' sdentato sorriso che però esprime gioia sincera mi saluta, l'appuntamento è dopo le dogane, per fare il viaggio insieme.

C'è una fascia di terra di nessuno tra i due posti di frontiera, una sorta di cuscinetto fortemente minato a dividere le due nazioni nel quale accade veramente di tutto, e nulla di quello che accade penso rientri nella legalità. Qui avvengono gli scambi di autovetture; obsolete Mercedes per lo più, vengono comprate per due soldi sul mercato europeo da personaggi che poi si fanno tutto il viaggio fin qui via terra, vendono la macchina senza alcun tipo di tassazione, qui nessuno stato è sovrano, e ritornano ai paesi d'origine con passaggi e bus per ricominciare dall'inizio questo giro. Ho conosciuto anche un gruppo di profughi del Bangladesh giunti fino a Dakar con visto turistico e poi presi in consegna dal loro accompagnatore, il quale dopo averli accompagnati qui in mezzo al nulla ha trattenuto loro i passaporti. La Mauritania non vuole sapere della loro esistenza, il Marocco non li fa entrare senza passaporto, in questa particolare zona non esistono telefoni, né cellulari ne fissi, possono solo elemosinare cibo e spiccioli per raggiungere la cifra loro chiesta dal contrabbandiere, senza potersi mai allontanare dalla sede della pista per l'incombente pericolo delle mine, nemmeno per fare i bisogni. A tutto questo non sarei portato a credere e manifestato il mio scetticismo alcuni di questi ragazzi mi porta a vedere dove vivono, come vivono e poi si tolgono la maglietta, mostrando un fisico magrissimo e probabilmente malato, che tanto mi ha ricordato i documentari visti sui campi di concentramento della seconda guerra mondiale.

Sono costretto dai fatti a credere a questa assurda storia di sfruttamento; insieme a me un professore francese ha assistito e promette che non appena ritornato al suo paese avrebbe contattato l'ambasciata, fornendo loro la lista dei nomi di questi trenta ragazzi.

Sbrigando le macchinose formalità io e Miguel ci perdiamo di vista, rinuncio quindi alla sua compagnia nel viaggio e parto verso Nouadibou per cercare un distributore dove fare rifornimento, l'ultimo per gli oltre 500 chilometri che collegano il nord del paese alla capitale e anche se non troppo facilmente riesco a fare il pieno alla moto, trenta litri a forza di bottiglie da un litro e mezzo aspirate da un fusto perché la pompa era rotta e dato che la benzina qui sono in pochi a comprarla non era conveniente ripararla.
Comincia il viaggio, la strada è ottima e per oltre sessanta chilometri viaggio tranquillo in mezzo a basse dune di sabbia, poi un mucchio di detriti e un cartello "deviacion" mi indicano che la strada termina. Da qui devo raggiungere l'altro tronco della strada via pista ma onestamente non riesco a trovare le tracce del passaggio delle altre vetture, la sabbia cancella tutto in pochi minuti rendendo piuttosto ostico il passaggio di una moto pesa come la mia. L'unica alternativa è attendere le prossime, sporadiche vetture e seguirle così attendo; passano pochi minuti e all'orizzonte chi sbuca? Miguel con la sua scassata opel kadett! Ha caricato in frontiera un ragazzino che conosce bene le piste e per pochi euro è disposto a farci strada fino a Nouakchott, sto portoghese è una rivelazione...
Il viaggio continua, con un caldo sopportabile, procedo davanti all'auto e faccio il ritmo, controllo spesso gli specchietti retrovisori per essere certo che Miguel non sparisca e in un lungo rettilineo mi guardo dietro e non trovo più il portoghese...è sparito... come è possibile perdersi in un rettilineo lungo 200 km senza nessuna, e dico nessuna altra strada secondaria?? mah... E' presto svelato l'arcano, torno indietro e scopro il punto debole (o punto forte??) di Miguel: ogni tanto entra in crisi "ahh.. mon amis...je suis tres fatigue.... " e si deve fermare per fumarsi una canna con il tortellone di hashish (come si scriverà?) comprato in Marocco, praticamente delle dimensioni di una scatola da scarpe. Devo tenere le distanze però da questa sua abitudine perché se in Europa posso spiegare le mia estraneità qui invece tutto diventa piuttosto difficile e pericoloso, non ho nessuna intenzione di vedere come sono le carceri mauritane.
Altre deviazioni, per un totale di circa sessanta chilometri di pista sabbiosa e al tramonto raggiungiamo l'auberge Sahara, nella parte settentrionale della città, ad accoglierci un francese che ha preferito stabilirsi qui ed aprire una piccola pensione per viandanti, per lo più europei e tirare avanti con molte meno storie che in Europa. Una tranquilla serata sulla terrazza della pensione, dopo una cena pantagruelica, la prima da qualche giorno, a base di pollo arrosto, patatine fritte e coca cola, una leggera brezza marina a rendere il clima ideale per una bella riposata sono gli ingredienti perfetti per fermarsi e riflettere. In questi giorni deserto mi hai insegnato non poche cose, grazie El Kebir.

3.

Due chiacchiere con Miguel, dei progetti futuri, del modo di intendere il viaggio e si decide di formare la squadra verso il Burkina Faso, poi si vedrà. A lui però mancano i documenti per entrare in Mali e la mattina è dedicata a questo, e a fare quattro passi nella capitale Mauritana, qualche villa e tante baracche. Qui i contadini sono arrivati dall'est, dalla Rue du l'Expoir, mano a mano che le pianure alluvionali tra Aleg e l'ultimo baluardo di civiltà Nemà diventavano sempre più sterili, anche se credo che la responsabilità di questa sterilità sia da ricondurre prevalentemente alla scarsa, anzi, pressoché nulla cultura del lavoro che hanno questi popoli, la totale indolenza dei molti uomini, in prevalenza di etnia senegalese che durante il giorno non fanno letteralmente nulla,passare il tempo chiacchierando, bighellonando nei paesi senza scopo, solo per tirar sera, vivendo nell'immondizia da loro stessi accumulata in ogni angolo, nelle strade, tra le case, ovunque.
Nulla viene fatto per migliorare il tenore di vita, come se a questi popoli non importasse gran ché di canoni conosciuti da noi come igiene, (i bimbi fanno il bagno in putride e puzzolenti pozze di acqua piovana insieme a animali, nelle quali spesso però si trovano anche carcasse di bestie morte e lasciate a decomporsi lungo la via) dell'avere una casa dove proteggersi, o più semplicemente di sfruttare le piene che ogni anno allagano queste pianure verso l'agricoltura. Nessun campo è anche rudimentalmente coltivato, le bestie sono magre al limite della sopravvivenza e le abitazioni sono piccoli parallelepipedi fangosi sul ciglio della strada principale, incredibilmente sporchi. Nella stagione delle piogge, la nostra estate, tutto viene allagato, le vie tra le case, le pianure dove pascolano gli animali e in queste condizioni gli spazi senza acqua diventano piccole isolette contese tra asini, mucche, capre e esseri umani. L'uomo qui è solo una piccola parte di un grosso ingranaggio, nessuno pensa che gli animali siano al proprio servizio e debbano avere spazi riservati, si trovano spesso la notte i greggi di vacche girovagare per gli stretti vicoli dei paesi in cerca di qualcosa da ruminare, passando placidamente tra gli umani che dormono stesi sotto dei panni sulla terra, all'aperto.

Proseguendo vero est sulla transmauritanienne arrivo ad Aleg, descritto come uno dei centri urbani piu' grossi del paese ed importante centro burocratico della regione ai miei occhi appare come tutti gli altri paesi attraversati, fango e sporcizia a far da cornice ad una delle regioni più povere di questa parte di Africa.
Ormai la sabbia gialla che copre gran parte della Mauitania ha ceduto il posto a una vasta pianura alluvionale che proprio in questa stagione è completamente sommersa dalle piogge torrenziali. La temperatura è calda ma gradevole e gia' sogno il vero motivo di questo mio viaggio, la brousse, i suoi paesi, il Mali tra pochi giorni, porta principale verso l'Africa subsahariana.

Fino a questo momento è stata molto lunga, oltre 6000 km in zone quasi sempre desolate e prive di quasi tutto cio' a cui siamo abituati ma ora le prospettive stanno cambiando, comincio ad incrociare uccelli dalle piume colorate di sgargianti Verdi e Blu prendere il posto di quelli color sabbia indistinguibili dal terreno. Il verde diventa il colore dominante, le piante rigogliose per le piogge che vanno a ricoprire la terra del caratteristico color rosso e gli abitanti di piccoli villaggi non sono piu' vestiti di cenci ma sono abbigliati nei loro variopinti abiti dagli enormi copricapo che qui non hanno un significato turistico ma hanno un loro ben preciso scopo etnico e gerarchico.

4.

Tutto cambia irrimediabilmente in un lampo. La fine di un sogno e l’inizio di una nuova avventura. In questa stagione i capi di bestiame liberi di pascolare allo stato brado sono migliaia e in queste condizioni, con le pianure per larga parte allagate, rappresentano un costante pericolo per la circolazione nell’unica strada asfaltata di questa regione, spesso infatti si deve ricorrere a frenate d’emergenza perché un placido burro (asino) decide di attraversare la strada.
A un certo punto, 150 km a est di Kiffa, meta della tappa del giorno, da un branco di cammelli al pascolo nei pressi del ciglio sinistro della carrozzabile si stacca un capo probabilmente allarmato dal rumore della moto in arrivo, attraversando al trotto la mia traiettoria. D’istinto cerco di passare davanti a lui, puntando l’altra corsia ma questo si rivela essere un errore fatale, da principiante, perché, mi spiega poi la guardia che mi ha prestato i primi soccorsi, i cammelli non cambiano mai la loro traiettoria fermandosi o deviando come potrebbero fare un cane o una capra. Lo scontro è fortissimo, lo colpisco nella zampa anteriore con la moto e vengo sbalzato fuori strada, in mezzo alla ghiaia e alle pietre a lato. Mi rendo conto quasi subito, con una emozione indescrivibile, di non essermi fatto nulla di grave, di avere subito delle forti contusioni alle gambe e al fianco, di avere anche delle profonde grattate su ginocchio e gomito sinistro, ma grazie all’abbigliamento con protezioni e agli stivali non ho nulla di irreparabile. Disteso supino scoppio a ridere, la gioia di non essermi fatto realmente male di essermi reso conto di aver provato tutte le emozioni provate cinque anni prima con la consapevolezza di essere molto distante da una qualsiasi struttura di soccorso sanitario, sopra di me la guardia che io e Miguel stavamo accompagnando in città mi osserva preoccupato ma subito si rende conto che non è accaduto nulla di drammatico, nulla che comprometta la salute, mia e del cammello.
“C’est la vie”, questa è proprio la vita, in grado di farmi apprezzare anche un momento difficile come questo, la moto distrutta, il viaggio fallito ma una grossa lezione imparata, perché qui ho conosciuto persone che mi hanno dato tutto quello che potevano senza chiedere nulla in cambio. La guardia, che è rimasta vicino a me finché non si è trovato il mezzo di trasporto, con il quale ha anche fatto la trattativa per me, disponibile a riportare padrone e moto a nouakchott nonostante non fosse più tenuta a farlo, Miguel, insostituibile il mio fumato amico Miguel, raccatta tutte le mie cose, risistema sul cavalletto la moto e invece che proseguire il viaggio mi sta vicino anche il giorno successivo, allungando così il suo percorso di oltre 1000 chilometri, perdendo oltre due giorni del suo tempo e con la certezza che non sarebbe ripartito finché io non fossi stato in condizione di riprendere la via del ritorno.

5.

Il viaggio a ritroso per ritornare a nouakchott è un’altra esperienza che merita essere narrata; ormai si è fatto buio, per la strada in direzione ovest non passano che auto e loro, pur rendendosi disponibili ad accompagnarmi alla capitale per una modica cifra, non sono in grado di trasportare la moto. Ad un certo punto passa un pick up, la guardia si piazza in mezzo alla strada e con una torca fa segno di fermarsi al veicolo, un toyota pick up con il cassone piuttosto piccolo e gia’ ingombro di persone, bagagli e animali, non mi illudo che questo sia il mio passaggio ma assisto incuriosito al dialogo tra il mio angelo custode e l’autista del mezzo.
“Quanto vuoi offrire??” mi chiede la guardia in francese
io lo guardo confuso e gli faccio vedere i pochi oumiya che ho in tasca, lui ne prende 20000 “non offrirne di più, ora vieni, devi fare tu l’offerta!” aggiunge poi

L’autista non parla francese, gli metto in mano i 20000, lui li guarda, temporeggia, poi accetta. Una stretta di mano a sancire l’accordo e via, viene svuotato il cassone, i nove occupanti del mezzo caricano a braccia la moto, di nuovo su i bagagli, la capra e i passeggeri e si parte
“saremo a nouakchott, all’albergo Mercure alle 8 domani mattina, inchallah”

Una magia la notte, io soffrivo molto per la contusione al fianco, il viaggio era davvero faticoso ma nel momento del riposo tutto cambia. Mi viene offerta una stuoia sulla quale dormire e una coperta con la quale ripararmi dal freddo della notte. Fermi sul ciglio della strada, nonostante la disavventura, mi sono sentito in pace con me stesso, felice di aver intrapreso questa avventura, con una brezza ad alleviarmi il dolore e un soffitto di stelle come non avevo mai visto in tutta la mia vita.

Un viaggio carico di emozioni, ma anche di grandi incertezze, non ho ancora valutato i danni e quindi non ho idea se sarò in grado di rientrare in Italia per conto mio o se piuttosto dovrò cercarmi un trasportatore che si occupi dello sdoganamento e della spedizione via nave della moto.
Verso le nove arriviamo all’hotel, una costosissima oasi di pace occidentale nel caos di una capitale Africana, qui dopo aver preso possesso della bella camera con aria condizionata (l’unico lusso di questo viaggio, ma melo merito) e essermi risistemato con una coca cola ghiacciata e una doccia infinita scendo nel parco a valutare i danni e gli eventuali interventi per riportare la moto in condizione di viaggiare in sicurezza.
Tutta la strumentazione è in pezzi, il manubrio è piegato, le valigie sono distrutte e un corpo farfallato deve aver preso una botta ed è un pochino sfarfallato.

Con l’aiuto di Miguel, in giro per la città a recuperare qualche pezzo di fortuna per risistemare un pochino qui e la, riesco a raffazzonare il minimo indispensabile, fissando con fascette metalliche le valigie e rifacendo con un cemento bicomponente la leva della frizione. Una prova in giro per la città e con un sorriso a trentadue denti annuncio che posso tornare a casa sulle mie ruote!
Un’altra piccola lezione ho imparato, è mille volte meglio il nastro americano e le fascette che una assicurazione per la moto, in questi paesi non esiste una rete che possa prelevarti come farebbe europe assistance da noi, al più potrebbe aiutarti nel rimpatrio del mezzo una volta che questo è alla capitale o in una città importante (in questi stati l’unica città che possa essere presa come riferimento è solamente la capitale, le altre città di una certa dimensione sono poco più che distaccamenti privi di ogni servizio significativo) e se nelle valigie non trovi posto per questi due accessori di fortuna, lascia a casa due paia di mutande!

6.

Con un forte vento contrario caldo al punto che fatico a respirare ed in grado di asciugare gli occhi in pochi istanti, ripercorro a ritroso la via che pochi giorni fa mi aveva condotto verso un sogno, carico di timori, di paure date dall’ignoto ma anche carico di aspettative, di voglia di conoscere un pochino di più questa piccola e suggestiva parte di mondo, regolata da forze molto differenti dalle nostre, con una concezione del tempo e dei valori diametralmente opposti ai nostri, abitata da gente semplice, impegnata a trascorrere le giornate per il cibo e non interessata al consumismo e alla rincorsa alla ricchezza che ogni occidentale rincorre per tutta la vita, spesso senza nemmeno rendersene conto.

In pochi giorni tutto è cambiato. Il vento che ora proveniente dall’interno ha cambiato tutto, la strada in più punti è ricoperta da basse dune da aggirare e il manto di sabbia ha cancellato ogni
Cosa sulla pista, le tenui tracce delle vetture da seguire per aggirare le grosse piscine di sabbia, fino anche ai bordi della pista, in alcuni tratti completamente assenti. Quando entro nella sabbia molle è un compito decisamente arduo venirne fuori e per questo impiego quasi otto ore per compiere le poche centinaia di chilometri che mi separano dal confine marocchino varcato in direzione opposta solamente pochi giorni fa.
L’ultima notte in Mauritania la passo da Ali ob majub, proprietario di un campeggio base di partenza per tutti i viaggiatori verso l’interno del paese, a Nouadibou.

Quasi tre giorni di nave, da Tangeri a Genova, per riflettere, per assimilare un’esperienza che anche se dall’epilogo inaspettato lascerà in me il segno indelebile delle persone conosciute, della magnificenza e allo stesso tempo della crudeltà del deserto.
I piaceri più autentici da un viaggio in Africa scaturiscono da piccole cose: buon umore, vitalità e apertura verso il “nuovo” sono tratti caratteristici che fanno sembrare conservatrici le culture del mondo occidentale, per certi versi insulari e gelose dei propri privilegi.
Entrare in un negozio e iniziare una conversazione senza prima essersi scambiati una lunga serie di saluti e convenevoli è assolutamente impensabile. Se s’inciampa per strada i passanti si fermano per dire “mi dispiace” o qualcosa del genere; insomma, in Africa non si passa mai inosservati e capita di salutare almeno cento volte al giorno.
Questo senso di familiarità investe gli eventi di ogni giorno e mitiga le fatiche affrontate: viaggiare in questa regione non è quasi mai facile. Spostarsi con la moto significa dover affrontare caldo torrido, piogge torrenziali, strade sconnesse, a volte insabbiate e altre allagate, attraversate da fiumi; significa dover subire incomprensibili e a volte protratti ritardi ai posti di blocco e spesso di dover fare regali a dir poco esosi.

Dal punto di vista fisico si è costantemente sotto pressione, acqua corrente e abiti puliti spesso diventano lussi inaccessibili.

Si può certamente viaggiare in condizioni meno disagevoli noleggiando un’auto con aria condizionata o usando l’aereo quando possibile e scegliendo solo di alloggiare nelle città e in alberghi dignitosi.
Viaggiare può apparire spesso un’opera titanica, con spostamenti ardui e pieni di mille imprevisti e per questo il fascino dell’autentica Africa Occidentale può sembrare difficile da cogliere. Peraltro, le difficoltà materiali formano uno sfondo sul quale ogni esperienza e osservazione si staglia con chiarezza.
La sensualità che l’Africa presenta agli occhi occidentali è incontestabile, la lucentezza della terra rossa e della vegetazione color smeraldo, la sinuosità in continuo movimento delle dune di sabbia, gli odori che confondono l’olfatto, del cibo che cuoce al fumo del carbone, al terreno umido, ai mille frutti e spezie, le nuvole incombenti che riempiono il cielo all’inizio delle piogge, i villaggi di case di fango cotte al sole levigate e modellate come fossero ceramiche, i ritmi melodiosi delle lingue africane e quella mezz’ora di frescura che precede l’alba, quando il lieve suono dei campanacci del bestiame s’innalza dalla foschia polverosa.
Queste sono immagini che restano impresse per molto tempo, quando ormai il ricordo di certi spostamenti terrificanti non è diventato latro che un divertente aneddoto.

Matthias
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Sono un coordinatore e vengo coordinato

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