Con il titolo
Bye bye Overland il Vernerdì di Repubblica ha pubblicato il 19 ottobre l'articolo che segue, a firma di Renata Mandelli (per quelli che invidiano i camion di Beppe Tenti
).
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Camion che sì rompono, autisti inesperti, fa(maci inutilizzabili. Cosí un celebre viaggio estremo si trasforma ìn un mezzo disastro. il rischio dei sogni formato tv.
Questa è la storia della fuga da un sogno. Inizia con un appuntamento mancato al Cairo e finisce con un'ambulanza che fende la notte dei deserto nel sud della Libia. Il sogno è uno dei più inossidabili dell'immaginario italiano, Overland, costruito da anni di serie tv, cementato da più di un milione di videocassette vendute e dalla grande abilità mediatíca di Beppe Tenti, il suo inventore. Ebbene, di Overland, spedizione avventurosa in camion (quest'anno, il sesto, il giro dei Mediterraneo passando per i deserti nordafricani) si può rischiare dì morire, esattamente come di ogni altra droga. Perché i sogni, e a maggior ragione il sogno della sfida estrema, così fotogenica in tv e così adrenalinica per chi l'accetta, possono diventare incubi. E allora la carovana di camion arancioni sembra la zattera della Medusa e non resta che una speranza: tornare a casa.
Al principio, l'appuntamento mancato fa parte degli intoppi che ogni viaggiatore mette in conto: non fa storia e non preoccupa. La carovana arriva al Cairo con un giorno di ritardo perché è rimasta bloccata per dieci ore alla frontiera tra Israele ed Egitto. Ma arriva, con i suoi quattro camion iveco, i due Combi e il Torpedo per le riprese televisive e la sua ciurma eterogenea composta da quattro carabinieri del Tuscania che hanno girato mezzo mondo, da alcuni camionisti, da due operatori spericolati armati di telecamera, da un drappello di veterani invecchiati ma induriti dalle avversità, a cominciare dal generale Carnevale, l'anima '1ecnica" della spedizione, quello che fa ripartire i camion che si rompono un giorno s'i e un gior. no no. Eppoi arriva lui, Beppe Tenti, l'aria sorniona e sicura di chi ne ha viste tante, lo spirito dei lupo di mare che non va mai contraddetto perché comunque sa di aver ragione. Come non fidarsi di uno cosi?
Partiamo. La prima tappa è Al Amein, il morale è alto, l'andatura lenta perché ì camion, comunque, vanno a 90 all'ora. Ci mettiamo più tempo dei previsto per macinare i nostri 320 chilometri ma va tutto bene, siamo a Overland, siamo qui per questo, lo racconteremo ad amici e nipoti, niente ci può disturbare.
Il giorno dopo, sosta di prammatica al sacrario ai caduti italiani e poi di nuovo in strada, all'avventura. E ci perdiamo: ci perdiamo noi dei secondo Combi, con a bordo uno degli operatori e tre giornalisti. ~ questo uno dei due mezzi che precede per fermarsi poi a fare le riprese: abbiamo preceduto troppo e ci troviamo sulla strada per Alessandria invece che su quella per l'oasi di Bawiti. Facciamo dietrofront. Quando ritroviamo la carovana scopriamo che tutti hanno altro cui pensare. Il generale Carnevale si aggira sconsolato intorno al camionmensa: si è rotto di nuovo e non si può aggiustare. La scelta è obbligata: il camionofficina torna al Caìro con il camionmensa a rimorchio; noi proseguiamo anche se avere due camion da riprendere invece di quattro è un handicap, e le riprese, qui, sono la cosa più importante. Abbiamo perso tempo, si fa tardi, è buio e la striscia di strada asfaltata si va coprendo, in alcuni punti, di lingue di sabbia.
Alle dieci e mezzo, manca sì e no un'ora di strada a Bawiti, quando il Combi guidato da Beppe prende male una duna, si impenna, si rovescia su un fianco e poi si rimette sulle ruote. I componenti dell'equipaggio rotolano fuori dal mezzo: la guida egiziana, Marcus, ha sfondato il parabrezza con la testa, è svenuto e perde sangue; Beppe èincastrato al posto di guida e ha dolore a una spalla, gli altri sono contusi e sotto shock. La più grave èAntoneila, la sua faccia è una maschera di sangue, è rimasta bloccata tra i sedili e non riesce a muovere una spalla e il braccio. Il dottore della carovana, Gustavo Ottolenghi, mette in piedi un'ambulanza di emergenza nel camion dormitorio. Tutti i feriti sono portati su nelle barelle, i carabinieri dimostrano che i soldati servono di più nelle avversità che nelle guerre, in meno di un'ora la carovana riparte verso l'ospedale dell'oasi. Ha un aspetto terribile, soprattutto sono impressionanti le infermiere coperte di nero dalla testa ai piedi, con solo gli occhi in vista. Comunque il medico se la cava, mette punti a chi ne ha bisogno, fa lastre alle spalle rotte e lussate, in poco tempo sono dimessi tutti.
Arriviamo nel lodge di Peter Wieth, il nostro ospite, alle quattro di mattina. Alle sette Beppe, con la spalla fasciata e tutto punteggiato di mercurocromo, è seduto sotto una tettoia di foglie di palma e sta telefonando per organizzare i[ rientro in Italia di Antonella. Noi proseguiremo, ma il Combi è inservibile. Ma siamo a Overland, non ci possiamo lamentare, e il morale risale nella prospettiva di portare gli altri camion sulle dune. Gli operatori riprendono Antonella che parte coi dottore su una scalcinata ambulanza per Il Cairo e poi via, per una nuova avventura. Le dune, però, ci tradiscono ancora: mentre ci stiamo dirigendo verso il deserto bianco guidati da Peter i due camion si impantanano. Né Silvia né Claudio, i due autisti, hanno esperienza di guida sulla sabbia e queste cose non si improvvisano.
Al tramonto siamo riusciti a liberare i camion scavando con le pale e torniamo indietro. Ci dirigiamo verso la frontiera: a Tobruk ci dovrebbero raggiungere i camion fermi al Cairo. La frontiera ci blocca per tutta la notte. Prima gli egiziani e poi i libici passano al setaccio tutto, requisiscono le telecamere, le ridanno indietro, ripassano documenti e passaporti infinite volte. Non sanno che
cercare, ma di certo siamo sospetti. Abbiamo una telecamera nascosta nel fanale superiore di uno dei camion, ma di questo non si accorgono. Dormiamo distesi sui mezzi, mentre l'instancabile Beppe va avanti e indietro, maledice e ringrazia, insulta e sorride.
Alla fine I libici ci requisiscono le radio di bordo e la situazione si sblocca. Ripartiamo. Le tappe fino a Sebha sono di ordinaria amministrazione, anche se l'ordinaria amministrazione di Overland non èquella di tutti gli altri. I camion che erano al Cairo ci hanno raggiunto, ma non c'è giorno che qualche cosa non si scassi: una volta è una cinghia, un'altra è una spia dell'olio, un'altra una ventola. Questo ci obbliga a partire sempre tardi, viaggiare nelle ore più calde, arrivare tardi. In più il caldo si fa sentire, le scorte di acqua calano, le ore di sonno diminuiscono, non riusciamo quasi mai a fermarci per mangiare. Ma siamo a Overland, il gruppo ormai si è cementato nella prova: continuiamo a vivere dentro un sogno.
L'inizio della fine dei sogno comincia a sud di Sebha. Abbandoniamo l'ultima, esigua, striscia di asfalto e ci addentriamo nel deserto, guidati da due jeep dei tuareg. La pista è, per sua natura, ambigua. I solchi delle ruote di chi ti ha preceduto si perdono in direzioni diverse: ogni direzione può essere quella buona, o quella sbagliata. I tuareg schizzano via sulle loro Toyota con Beppe. Noi, dietro, perdiamo la pista, la ritroviamo, perdiamo i camion, ritroviamo i tuareg, ci impantaniamo, ci spantaniamo, e sudiamo nei 50 e più gradi all'ombra ingollando bottigliette di acqua calda condita con Nescafé e zucchero secondo la ricetta inventata dall'operatore Fabrizio Jacini. Ma arrivare al punto scelto per il campososta è una scommessa. Qui le dune sono alte, i camion si insabbiano, gli ultimi metri sono un tormento e arriviamo sfiniti. Ma siamo ad Overland, la cena preparata dal tuareg è buona, le stelle brillano alte. Gustavo, il medico, èarrabbiato: le fiale delle medicìne che aveva messo nell'unico frigorifero ancora funzionante nei camion sono state sfrattate per far posto ai rullini e alle cassette delle riprese che a queste temperature si squagliano. «Tanto stiamo tutti bene», ha detto Beppe.
Ora se qualcuno si sente male, o viene punto da uno scorpione, non c'è modo di curarlo. Il giorno dopo partiamo per Wadi Methkandoush, il sito in cui sono state rinvenute incisioni rupestri vecchie di diecimila anni. Il nostro Combi, come al solito, si perde e arriva in un centro di estrazione dei gas della GP dove ci danno le indicazioni giuste per arrivare al Wadi. Infatti noi arriviamo. Il resto dei convoglio no. Si èrotta un'ennesima cinghia, i camion restano per più di tre ore su una distesa di pietre nere, a più di 60 gradi all'ombra. Quando ci raggiungono Gustavo Ottolenghi crolla a terra: dopo sapremo che è andato in coma diabetico per la disidratazione, al momento non sappiamo nulla, possiamo solo portarlo nel più breve tempo possibile a quel pozzo GP senza neanche sapere se lì troveremo qualcuno in grado di aiutarlo. E invece lì si materializza un ambulatorio attrezzato, due medici ucraini che lo coprono di ghiaccio, gli danno dell'insulina e lo riportano in vita. La storia finisce qui, perché io approfitto dell'ambulanza che porta via Gustavo nella notte e dico addio al sogno di Beppe Tenti, per quanto bello possa essere. Perché una vita umana non vale un sogno, neppure se poi scorre a puntate sul nostro schermo tv.
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Niente male, vero?
Ciao.
Alberico