In Marocco, circa due anni fa, parcheggiai la Land Rover 110 in un dei tanti villaggi, immerso negli olivi, a circa venti chilometri a sud di Marrakesch. Rimasi ospite di una famiglia per circa 12 giorni. Solo Mohammed, ventenne, parlava un po' di francese, invece il fratello minore, le due sorelle, anche loro un po' più giovani, assieme alla sorellina di sette anni e ai genitori, parlavano solamente berbero. La loro abitazione era la classica casa in pisè (fango e paglia pressati) affiancata ad altre, era priva di elettricità, e l'acqua si estraeva con secchio e corda dal pozzo interno. Finalmente dopo i primi giorni, passato il comprensibile imbarazzo nei confronti di una persona estranea, mi fecero partecipare al loro ritmo di vita quotidiano. Governare gli animali, coltivare l'orto, e svolgere le faccende domestiche.Una vita semplice, che a prima impressione avevo giudicato povera, ma con il passare del tempo, mi accorsi che in quella semplicità c'era nascosta una ricchezza. A quella famiglia non mancava nulla; avevano un orto (coltivato con tecniche diverse dai nostri), una mucca, capre, galline un asino anche qualche pecorella. I primi tempi mi facevano mangiare da solo in disparte, nel loro salotto, ma poi finalmente mi fecero mangiare con loro in cucina. Qui il pavimento era di terra battuta, non c'erano mobili, e nemmeno la luce elettrica. In un angolo, accovacciato, un piccolo forno in terracotta alimentato con sterco di vacca, e proprio sopra un buco nel soffitto per la fuoriuscita del fumo. In un'altro angolo un piccolo mulino in pietra, manuale. Ovviamente le pareti erano prive di piastrelle si vedeva solo terra pressata. Eppure non c'era sporcizia, tutto sembrava così pulito e dignitoso; il semplice ed essenziale pentolame, era lavato e diligentemente sistemato tutti i giorni immediatamente dopo i pranzi.
Con loro ho collaborato al lavoro nei campi, e ho aiutato a scavare più in profondità il loro pozzo dell'orto (sono sceso a oltre 40 metri di profondità per riempire di pantano i secchi ricavati dai copertoni). Ho mangiato il loro pane, il formaggio, il miele, il loro Couscous e le verdure, ho bevuto il loro thè e il latte, ma soprattutto ho respirato la loro semplicità e felicità. Ecco qual è la loro ricchezza. Non so se riuscirei a vivere tutta la mia vita la, assieme a loro. Anche se non parlavo la loro lingua percepivo i loro sentimenti le emozioni fatti di tenerezza e aprezzato la loro tenerezza, e semplice umorismo e tutto. Queste emozioni, vissute al solo lume di una candela, tra quelle mura fatte di fango e paglia, mi hanno fatto riflettere a molte cose. Il mio pensiero è andato a quelle famiglie che conosco in Italia, perché sono la mia o quelle dei miei conoscenti; in nessuna di esse ho mai percepito una simile atmosfera. Da noi, ognuno ha le proprie attività, i figli si rifugiano nelle loro camerette super accessoriate, mentre i genitori carichi e stressati dal lavoro corrono come forsennati avanti e in dietro. L'atmosfera famigliare è spesso marcata dal rumore dei due o tre televisori accesi nelle varie stanze mentre ognuno sta per i fatti propri. I sentimenti non sono condivisi. Che tristezza!

Sopperisce il comfort delle nostre case alla mancanza di emozioni?
Quanto vale la nostra ricchezza?
Ci da la felicità?

E i poveri, come sono veramente?
Con quale lente li guardiamo?
Il nostro giudizio nei loro confronti è corretto?

Queste sono tutte domande alle quali sarebbe bene dare una risposta.
Ecco perché per me è molto importane capire quello che vedo nei luoghi dove mi reco ma è importante soprattutto guardare con nuovi occhi la mia società, la mia famiglia, il mio cuore!