Vorrei tanto che qualcuno mi aiutasse a capire. Mi riferisco alle centinaia se non migliaia di tunisini che stanno in questi mesi sbarcando a Lampedusa. Mi chiedo (e Vi chiedo....) : dopo una rivoluzione che ha scacciato Ben Ali e la sua cricca in nome del "caro vita" e della corruzione ecc. ecc., chi e perchè cerca di fuggire dalle nuove prospettive introdotte da questi eventi???? Le mie risposte (poche e scontate) sarebbero: 1) fugge chi era coinvolto col vecchio regime (ma allora mi aspetterei che fugga con un jet e con relativo conto in svizzera) 2) fugge chi era scappato di galera
Essere coinvolti con il vecchio regime non significa necessariamente essersi arricchiti. Magari significa l'aver goduto di (ingiusti) benefici rispetto a chi faceva la fame. Fra l'altro sono evidentemente scattate innumerevoli faide, vendette e ritorsioni fra chi prima gestiva anche piccole frazioni di potere e lo aveva fatto magari con arroganza e chi adesso vorrebbe fargliela pagare.
Le tue ipotesi PSQT sono davvero troppo semplificate.
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Lone Land (the Lone Rover)
Lone, grazie per la risposta. Sapevo bene che le mie due scontatissime tesi fossero insufficienti. Mi rimane comunque il grosso dubbio sul perchè di questo fuggi-fuggi. Tanti, troppi e mediamente troppo giovani per essere semplicemente etichettati come collusi e/o avanzi di galera. Non riesco razionalmente a venirne fuori. .....prima faccio la rivoluzione e poi scappo.......Non mi torna.....sarò tonto...
Lo penso anch'io, quelli che si vedono a Lampedusa sono generalmente giovani maschi, no donne, vecchi, bambini. Nessuno ha un aspetto sofferente o malnutrito, è evidente che sono in cerca di un tipo di vita che hanno conosciuto dai nostri programmi tv, e che evidentemente ai loro occhi ha un fascino irresistibile. Credo che ben pochi di questi abbiano i requisiti per chiedere asilo politico. Ma è evidente che se non si trova il modo di contrastare questo fenomeno arriverà da noi tutta l'Africa, creando situazioni del tutto impossibili da gestire.
[21:36:49] Zecchini: Il miraggio dell'occidente è sempre e comunque presente nei desideri dei giovani tunisini. L'occasione di questo sfacelo politico dovuto alla rivoluzione ha creato la possibilità secondo molti di partire. I motivi: ora possono chiedere asilo politico, non c'è futuro in tunisia. Essere in occidente per un giovane tunisino ecquivale ad avere un grande prestigio nel suo ambiente d'origine. C'è anche la convinzione che per il fatto di essere in Italia o in Francia nessuno pensa al dramma dei periodi iniziali ma a ciò che saranno capace di fare e soprattutto di guadagnare.
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Analizziamo la situazione lavorativa e stato sociale tunisina. Cosa potrebbe mai aspirare un giovane tunisino nel suo paese? a quali guadagni? quante industrie ci sono in tunisia? ho avuto modo di discutere con industriali in tunisia, italiani che hanno aperto l'attivita' in loco...sapete che se si apre una ditta in suolo tunisino non si pagano tasse per 10anni! uno mi raccontava che un operario gli costava 150€ al mese corruzzione compresa alla dogana per esportare la merce...non esistono sindacati...se un operario fa una cazzata lo lasci a casa l'indomani...e presto arriva la famiglia a pregarti in ginocchio per riammetterlo...vero che la vita tunisina costa meno della vita europea, ma le aspirazioni consumistiche e materialistiche sono le stesse...anche li sta arrivando la "cultura" che sia piu' importante avere ed apparire che "essere". mancano i bisogni primari o i bisogni voluttiari? Fare il pecoraio o raccogliere le olive non ti permette di comprare un hi phone e comunque da quello che abbiamo potuto vedere in questo ultimo decennio il popolo tunisino non muore di fame, anche nei villaggetti, difficile vedere i bimbi senza scarpe o con vestiti malconci...tantissimi vanno a scuola. Il miraggio dell'europa sono i maggiori guadagni, le maggiori possibilita' lavorative manuali e "pesanti" che oramai i nostri giovani non vogliono piu' fare...non conosco un operatore edile che oramai nel suo staff non abbia un magrebino come manovale, tunisino o marocchino. Ora anche nelle imprese di pulizie del nell'ospedale dove lavoro non si trova piu' che fa lo sporco lavoro...ed anche li i magrebini ci pensano loro. meglio fare il pecoraio o fare nulla ai bar tunisini o spaccarsi la schiena in europa? questa e l'idea che mi sono fatto in questi ultimi anni, cerreggetemi se e' sbagliata.
Marko!!!! Da me hanno chiuso la scuola di Odontotecnici! Non trovo manodopera, mannaggia, potrei anche capire i 'manovali' (tra virgolette), ma gli darei un camice bianco
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ma fare l'odontotecnico e' un arte, un lavoro manuale con una curva di apprendimento di qualche anno, serve dedizone, passione e voglia di imparare come la maggior parte dell'artigianato...anche il chirurgo non lo vuole fare piu' nessuno, e tu sai gli anni di curva di apprendimento necessari..oramai da me siamo al 3concorso pubblico di ruolo che va buco...non c'e' congresso a cui partecipo dove non mancano gli appelli di primari che cercano chirurghi! mai visto! i nostri giovani non vogliono fare piu' fatica (domani timbro il cartellino alle 7.30 e stimbro alle 8 di venerdi mattina) ..per i magrebini prendere in mano la ramazza o la "casola" impari in un pomeriggio...
Clandestini Il deserto è come il mare, molte sono le somiglianze sia nell’aspetto fisico sia nella sue concezioni metaforiche, le onde sono dune, le oasi le isole nel mezzo di uno spazio che si presenta misterioso e nel contempo affascinante. Dal mare come dal deserto riemergono prima o poi tutto quel che per anni gli abbiamo donato, ovvero le scorie e i fantasmi del nostro benessere. L’acqua e la sabbia possiedono una memoria senza limiti. I mari e i deserti di tutto il mondo vomitano quantità di rifiuti, sulle spiagge, lungo le piste di sabbia troviamo inesorabilmente le tracce dell’”homo incquinatur”. Il vero cancro della terra che vampirizza tutta la vita attorno a sé. I piccoli pescatori, e i nomadi transumanti hanno paura… affermano di vedere gli spiriti camminare sulle dune e sulle onde dicono che si aggirano ovunque, appaiono e spariscono, spargendo intorno il loro implacabile dolore come fosse la profezia di nuovi imminenti disastri. Presso le “gubbe” (mausolei) dei loro santi si moltiplicano i pellegrinaggi, gli uomini semplici si sono dati il compito di bonificare attraverso le preghiere, le benedizioni e lo spargimento d’incenso le loro zone. Tracciano cerchi per terra per creare zone sacre nella convinzione di tenere lontano gli spiriti e le malattie esplose dal profitto e le lordure d’occidente. Danzano e cantano gli scongiuri affinché questi jeni malefici ritornino negli inferi da cui sono venuti. Inutile cercare, inutile scrutare, guardarsi attorno, dietro le spalle: noi occidentali non li vediamo se non ci riflettiamo in uno specchio sincero. Ma loro sì: li vedono e sentono le loro voci… vedono le nostre tracce ed invocano aiuto. Sulle barche e nelle carovane transumanti, si sentono molte voci che gridano aiuto. Sono voci che parlano arabo, berbero e i dialetti della gente nera subsahariana, implorano nello stentato francese dei popoli colonizzati. Osservano il balucicare delle nostre città, dei supermercati traboccanti di cibo e di preziose mercanzie pronte all’uso, sono per loro magnetiche visioni. Gli involucri di plastica, di latta, strisce multicolori di carta, stagnola, lattine di alluminio con gli accattivanti disegni e scritte coniate dall’ultima grafica propagandistica delle multinazionali, le scorie radioattive, i morbi e le terribili malattie uscite dai laboratori sperimentali, le immagini televisive dove la danza dei “sette veli” viene riproposta quotidianamente…attrazione fatale. Tutti questi fantasmi invadono il mondo povero del sud. Disperati per un avvenire impossibile ti seguono, invocando di continuo di essere portati in salvo. Allora si organizzano per partire anche loro alla conquista dell’effimero benessere. Viaggio dell’ossessione… indossano gli amuleti dentro i quali è conservato in segreto la formula del marabuto, un vero e proprio scacciafantasmi. Un piccolo involucro di pelle appeso al collo come una medaglia, un “grigri” al quale è affidata la speranza della vita. Metafore? No. Dall’acqua e dalla sabbia riappaiono i corpi. Sulle piste della sete e della disperazione rimangono i corpi incartapecoriti dal terribile sole africano. Nel Mare della piccola e grande Sirte giacciono migliaia di cadaveri senza nome come fossero anch’essi scarti dell’umanità d’occidente. I poveri pescatori li trovano come terrificanti visioni galleggiare con i loro abiti vuoti, la carne mangiata dai pesci, quei stessi pesci che esportati andranno a rallegrare le tavole imbandite d’occidente. I pastori nomadi del Sahara ricoprono i loro resti con le pietre e la sabbia lasciando il loro amuleto sul collo perché temono di rivelare la fallacità dei marabuti a cui essi stessi si affidano. Le guardie costiere tunisine solcano ininterrottamente durante le notti le acque delle coste illuminandole con radenti fasci di luce alla ricerca di superstiti, tendono nel silenzio notturno le loro orecchie per ascoltare gli ultimi gemiti. Quando li trovano lanciano le reti per issarli a bordo: uomini, donne bambini che conservano ancora il sorriso beffardo delle tragedia. Le salme senza nome vengono portate in un luogo di cui si parla ma sconosciuto, un cimitero nascosto tra le dune di sabbia, anche le guardie per rispetto o per timore lasciano al loro collo gli amuleti della speranza? Fuggiti per l’”attrazione fatale” o scampati ad una delle numerose guerre d’Africa. Per Gheddafi sono miserabili, non fa distinzioni sull’asilo politico o la povertà, a Roma nell’ultima sua presenza ha affermato che il concetto estremamente civile della protezione per chi fugge da una guerra o da persecuzioni in Africa non esiste. In occidente, in Italia sono solo clandestini, e i clandestini non hanno una storia, una identità, la loro storia è scritta sui giornali, letta alla televisione da chi non la conosce. Sacrificati, incarcerati, espulsi, a volte uccisi nelle insulse prigioni: per avere consenso e più voti. Alcune parti politiche, urlano comizi per creare più forte il conflitto. Si sentono offesi dalla presenza di una differente umanità. Cantano la loro rabbia, innalzano bandiere, cantano canzoni, per sentirsi più forti, più uniti, più gruppo, più razza, più “lega”: per eliminarli senza rimorso. Nei parlamenti hanno discusso anni del ciador delle loro donne, dimenticando che è lo stesso di Maria la madre di Dio. Hanno posto al giudizio di tutti il mistero dell’Islam lo hanno spiegato, discusso, in un oceano di profonda ignoranza. Dicono che sono invasori mascherati e sarebbe meglio se tornassero di dove sono venuti, perché gli italiani possano avere più posti di lavoro , lo dicono in difesa dei diritti perché si vuole essere ancora più ricchi. In Italia i clandestini sono condannati a vivere nascosti e di stenti, a dormire nei luoghi più immondi, tra gli escrementi e non si sopporta…”il miracolo giornaliero della loro sopravvivenza”. Se vogliono rimanere si devono integrare, sottostare alle nostre leggi: una chiave che chiude il recinto…“ghetto Italiano”. Luoghi comuni di politici esaltati! Chiudiamo le nostre orecchie al raglio dell’ignoranza, chiudiamo i trattati che ci costringono in confini culturali, per favorire un partito, una setta, una tribù una “lega”. Poniamoci in silenzioso compatimento verso le nauseanti teorie delle aggressioni di politici senz’anima. ...respiriamo l’essenza universale dell’uomo.
La contaminazione - è questo il termine che io uso - cenerata da la TV è chiaramente devastante e subdola, noi vi siamo abituati e ciononostante ne siamo fortemente condizionati, l'impatto su culture tradizionali dell'indotto di quella, del messaggio sprecone di tanti sciocchi che hanno creato l'apettativa di una "facile" alternativa ad una vita faticosa ( pochi mesi fa un ragazzo di 27 anni, berbero, mi diceva " mia sorella deve fare 5 chilometri ogni giorno per portare l'acqua a casa -centro Tunisia, non il Ténéré - io per la mia famiglia vorrei qualche comodità, il rubinetto in casa, da girare e far uscire l'acqua quando serve") molti da noi hanno perso un poco il senso della realtà e della misura. Spttoscrivo tutto il resto aggiungendo il biasimo per chi ha cercato all'estero solo la scorciatoia - ammazzando la nostra imprenditoria - ne so qualcosa perché ho svolto un paio di missioni in Tun e Marocco in passato per valutare per aziende dei possibili partner locali: un delirio di denari CEE buttati dalla finestra e risorse umane giocate come al Monopoli. Tosco
Marko!!!! Da me hanno chiuso la scuola di Odontotecnici! Non trovo manodopera, mannaggia, potrei anche capire i 'manovali' (tra virgolette), ma gli darei un camice bianco
Mi cito perchè potrebbe essere travisato
La mia impressione è, che noi europei, siamo 'vecchi', abbiamo perso lo 'slancio', non corriamo più...
Ma chi gielo fa fare alle nostre guide in Libia di correre e darsi da fare in quel modo? Sbagliamo comunicare i n del passaporto per il visto, perdiamo l'aereo, ci insabbiamo, buchiamo e arrivano, spingono, ci offrono il te la sara, solo per la mancia?? VOGLIONO VENIRNE FUORI, hanno l'energia per emergere, quello che noi abbiamo perso... Abbiamo perso la voglia di fare bene le cose, di scrificarci, di farci il culo.
Sulle acque della Grande Sirte oggi ho visto galleggiare abiti vuoti, cinture di corda slacciate che sembravano serpenti imprigionati ai passanti di calzoni di una vita che oggi non c’è più. Le tasche rivoltate, svuotate dei loro segreti… odori di morte. Abiti colorati alla moda africana, berretti a visiera per osservare lontano…la terra oltre il mare. Fogli di carta bagnata con scritte scolorite… parole come anime sottili sciolte nell’acqua salata. Avanzi fluttuanti, uniti avviluppati come un unico relitto smorzavano i flutti, arrestavano l’onda. Là sulle spiagge incantate di Zarzis sono morte le speranze di un viaggio in cui solo ora si può leggerne tutta la disperazione. Una corsa dentro l’ipnosi di un miraggio arrestata da un onda che dopo aver mangiato e digerito gli esseri ne ha risputato gli avanzi. Un mare senz’anima che continua impassibile il suo moto davanti a tutte le tragedie del mondo… che ritorna, riportandoci i ricordi e le memorie di “nuovi esploratori”, ovvero di quella moltitudine di persone del sud che interagiscono con “nuovi territori” di scoperta verso nord. Sono gli eroi d’oggi, vittime che affrontano il deserto ed il mare con strumenti da loro ritenuti adeguati: un sacco dentro cui sono infilati scarpe di gomma per camminare sulle pietre e sulla sabbia arroventata dal sole del Sahara, una giacca di plastica per affrontare il freddo e l’acqua dei flutti del mare, un foglio di carta sul quale sono scritti gli indirizzi del loro paese e molta ma molta speranza. Moderni esploratori di un mondo sconosciuto, giunto nei loro villaggi del sud con le immagini della televisione globalizzante che diffonde un’idea che non è più natura, ma un mondo diverso magnetico e affascinante da contrapporre a quello del loro paese. Allora la speranza si veste d’avventura ed il deserto ed il mare sono il passaggio obbligato, le tribù avverse del nord e la polizia degli stati attraversati sono gli indigeni bellicosi da evitare a volte da affrontare. Una esplorazione travagliata e rischiosa ancor più di come lo erano quelle delle compagnie geografiche europee del 1800 che sfidavano il deserto e l’Africa selvaggia allo scopo di valutare le ricchezze e considerarle in seguito come bene da colonizzare. I nuovi esploratori hanno altre mire, meno violente, più umane, più nobili: trovare un po’ di pane da inviare ai loro paesi perché le loro mamme possano anch’esse mangiare un po’ di quei beni che gli sono stati sottratti con la forza durante i secoli della deportazione, della colonizzazione e dallo sfruttamento abituale delle multinazionali. E poi, in quei tempi era giunto in Africa il messaggio cristiano fatto di bontà, perdono, generosità e amore per il prossimo a cui molti hanno creduto, un messaggio che giungeva dal nord che valeva la pena cercare e conoscere. Inoltrarsi nei territori del messaggio: l’Europa, l’Italia, Roma per scoprire che l’origine, l’essenza e la sua natura proveniva da una terra e da una umanità più simile a loro. Grottesco paradosso frutto delle elaborazioni santificate di sapienti del nord. Quindi una esplorazione che non aveva come scopo solo la conoscenza e il futuro benessere, il contatto con altri popoli, ma anche spirituale. Insomma un impresa questa possibile solo a gente forte ed in buona salute… alla “miglior gioventù” africana. Gli ostacoli e le difficoltà sul percorso sono tanti, in agguato in ogni momento; Jungle d’asfalto, belve feroci, politici scorpioni che fingono un viso accattivante per poi colpirli inaspettatamente con la coda. Paure amplificate dai megafoni di televisioni corrotte dagli interessi. Annunci d’amore già dall’inizio sospette di tradimenti di ministri e capi di stato più attenti a come compaiono sugli schermi che del reale problema propongono accordi di controllo dei territori e dei mari attraversati per allontanare la minaccia. Le prigioni costruite sulle isole al fine di fermare quella che hanno definito: invasione degli “extra”. Insomma un viaggio in cui i pericoli che Livingstone o il Duca D’Aosta e altri grandi esploratori del passato avevano incontrato non sono nulla in confronto. A molti potrà sembrare una inversione di vedute ma è pur vero che attraverso un’astrazione intellettuale è possibile verbalizzare un punto di vista ribaltato, cambiando i valori che concettualmente siamo abituati ad avere. Una forma ludica che può aiutare a mantenere la nostra mente allenata, a rimanere obiettiva e libera di spirito e di giudizi. Quei giudizi sovente inquinati di preconcetti che sovente hanno giustificato i peggiori totalitarismi e dittature che sono stati possibili attraverso una sorta di ipnosi collettiva, sempre studiata prima a tavolino al fine di possedere in qualche modo l’intera coscienza nazionale per fare di essa una massa insensibile e lontana dalla realtà, inutile fare esempi, sono troppi e sempre molto dolorosi, questa è per molti oggi la strada imboccata dagli italiani. Oggi, davanti al cerchio vizioso dell’emigrazione clandestina che avviene in molte parti del mondo ma che vede l’Italia e la Tunisia protagonisti di primo piano di questa enorme tragedia umana credo sia necessario introdurre un dibattito pubblico che ci abitui a sentire il problema con il rispetto soprattutto dell’uomo al di a di delle sue origini geografiche o religiose. I governi devono attivarsi, ma soprattutto è indispensabile che ogni singola persona sia vigile e capace di osservare e reagire di fronte ai soprusi e alle ingiustizie verso i più deboli. La comunità internazionale in primo luogo deve seriamente trattare il problema alla sorgente, stabilizzare la reintegrazione dei giovani nei luoghi delle loro origini con possibilità di impiego e delle condizioni almeno minimo-vitali. Per noi, in qualità di comuni cittadini è diventato indispensabile una lucida attenzione sui partiti e su quegli uomini politici che sono preposti al flusso umano della immigrazione che sul mercato nero sovente diventa forza lavoro quasi gratuito. Alla terribile e temibile mafia della cravatta e dei fazzoletti colorati sporgenti dai taschini che sovente osserviamo pavoneggiare perfino sugli schermi televisivi. Un esame critico ma umano al drastico trinceramento dell'Europa nel rinchiudersi sempre più dietro la sua fortezza geografica e le sue leggi dissuasive che sono sovente causa di ingiustizie e di morti. L’attenzione ad una indiscriminate chiusura dei ponti levatoi della sua fortezza di granito sovente fatta paradossalmente in nome dello spirito cristiano e della “fratellanza tra gli uomini ”.
ieri vista la bella giornata ne ho approfittato per fare una passeggiata lungo la costa. Arrivato ad una nota spiaggia ("la grotte" zona biserta) abitualmente frequentata soprattutto da coppiette e famiglie in questo periodo, vi ho trovato una decina di militari. Che io sappia (ho casa a 3km da li) non è una zona da dove partono barconi verso l'italia. All'inizio non ho capito cosa ci facessero poi quando ho visto un militare avvicinarsi alla mia auto scrutando all'interno mi sono avvicinato per chiedere se fosse tutto a posto e parlando mi ha spiegato che avevano ricevuto l'ordine di pattugliare la costa. Fatto sta che hanno controllato i documenti a tutti i presenti sulla spiaggia e l'interno delle vetture. Non so se questo abbia in qualche modo a che fare con la visita dei ministri italiani di questi giorni
L’INFERNO DI RAS EL JDIR Mi trovo a Ras el Jdir, presso il confine libico. La strada che porta in Libia separa la riva del mare con il deserto e la pianura della Jeffara. Migliaia di persone sono fuggite dalla Libia, sono lavoratori che prestavano la loro opera nella nazione di Gheddafi: africani e orientali, impiegati nell’edilizia e nei piccolissimi lavori artigianali. Secondo le stime ufficiali erano un milione e mezzo di anime emigrate dal loro paese d’origine in cerca di un possibile guadagno. La guerra civile li ha costretti a raggiungere i confini dell’Egitto e della Tunisia. Fuggiti da una situazione di pericolo hanno cercato la salvezza qui a Ras el Jdir dove si è formato un girone di dannati, una umanità assiepata nella sabbia del deserto che implora la salvezza ed il ritorno a casa. Le organizzazioni hanno fatto allestire migliaia di tende e alcuni cubi di plastica per le necessità corporali. La puzza fetida si spande e la repulsione è forte. Una coda di donne è in attesa, ognuna educatamente attende il suo turno per defecare. Nel centro di coordinamento umanitario ci sono molti soccorritori, alcuni sono anche italiani, le grandi tende con la scritta: “Consiglio dei Ministri” sono gremite di operatori umanitari. Tutti lavorano per soccorrere i rifugiati in differenti modi, certo è che la Tunisia ha avuto un ruolo primario negli aiuti. A differenza dei ricchi, i poveri sono più solidali con gli altri poveri. Un luogo comune?.. No, a Ras el Jedir il popolo tunisino si è attivato sin dal primo momento formando comitati spontanei d’aiuto. Normali cittadini di Zarzis, Ben Gardane, Medenine e Tataouine di diverso orientamento; religioso e laico si sono organizzati. Le loro mogli cucinano grandi pentoloni di cuscus, gli uomini raccolgono pane, latte, e coperte che vengono distribuite nei campi; senza protocolli, senza metodi, ma con autentico coinvolgimento emotivo. Le grandi organizzazioni umanitarie d’occidente sono arrivate dopo molti giorni. La gente tunisina ….molto bene. Negli accampamenti si sono formate molte comunità. Gli orientali, in genere provenienti dalla Tailandia e dal Bangladech si sono assiepati in un lato, mentre gli africani molto più numerosi si sono divisi per nazione di provenienza occupano la maggior parte delle migliaia di tende. Alcuni ragazzi giocano a palla, vicino una grande tenda bianca è stata adibita a moschea. All’esterno un predicatore coinvolge molti uomini che si affidano alla preghiera. I rifugiati, nonostante siano stretti in una situazione esplosiva fanno buon viso a cattivo gioco ed attendono il loro turno per ricevere aiuto. Un inferno in cui l’umanità stride con l’umanitario. Un gruppetto di ivoriani si avvicina uno di loro vuole parlare, chiede a suo modo aiuto: Sono fuggito dalla Costa d’Avorio, per andare in Ghana, ma in Ghana non c’erano soluzioni, dunque dal Ghana sono passato in Libia per cercare lavoro. Quanto tempo sei rimasto in Libia a lavorare: sono rimasto in Libia 3 anni, prima della guerra la situazione era sopportabile. Oggi con la guerra tutti gli stranieri hanno dei problemi è per questo che siamo fuggiti. La polizia e l’esercito sono arrivati con le loro auto 4x 4 e ci hanno presi, alcuni li hanno messi in prigione senza un motivo. Poi sulla strada ci hanno fermati una seconda volta e ci hanno preso tutto, le cose di valore, i soldi, i risparmi del nostro lavoro, i telefonini e anche le cinture. Sulla strada un altro blocco ci ha fermato, ci hanno fatto scendere dal bus, ci hanno chiesto se avevamo dei dollari o dei telefoni. Noi abbiamo risposto che non avevamo più nulla, che ci avevano presto già tutto. Allora un militare mi ha dato un pugno e uno schiaffo, sono caduto e mi ha dato tante pedate senza motivo. Ma ora cosa pensi, di ritornare in Costa d’Avorio?: Noi chiediamo a Sarkozy di fare qualche cosa per noi, è la Francia che ha preso la Costa D’Avorio dunque è lui che deve pensare a noi perché oggi noi soffriamo. Mentre assisto a queste descrizioni giungono altri a chiedere aiuto. Un ragazzone nero incappucciato in un vecchio burnus mi parla concitato in una lingua che non comprendo, allora chiedo ad un ragazzo di tradurre. “Sta male , sono due settimane che è qui, non ha più nulla e non sa come fare…ha la diarrea e deve correre, non sa mai dove, troppa gente, non c’è un posto, si vergogna e poi ha la bronchite con febbre. Alla notte ha freddo. Il ragazzone prende dalle tasche alcune scatole di medicinali che mi mette tra le mani facendo un gesto che comprendo subito voler dire che non guariscono. Il traduttore continua: Lui in Libia ha lavorato come muratore. Ed ora cosa pensa di fare? Non sa. Come si chiama chiedo: si chiama Bu Baker. E tu come ti chiami: mi chiamo Olivier. Allora lui è un musulmano e tu sei cristiano: si! Poi si avvicina un uomo con un viso implorante che dice: Anch’io voglio parlare, sono arrivato ieri, non so’ se mi comprendi, la notte per il vendo e il freddo non posso dormire. Poi un’altro vuole intervenire, il mio traduttore vuole farmi conoscere anche lui ed inizia con la descrizione: lui è arrivato con un battello, ma ora è molto malato, prende dei medicinali e di giorno sta meglio, ma la notte si ammala ancora, il freddo è troppo per lui, è sempre malato e nessuno fa niente. Code chilometriche di uomini attendono, non si capisce cosa, forse la speranza di continuare a vivere. Si raggruppano alcuni somali, eritrei, ivoriani. Mi dicono che loro non torneranno mai a casa, mi dicono che se tornassero sarebbe per loro la morte, mi parlano con le mani tese: noi vogliamo andare in Europa, oppure resteremo qui nell’accampamento di Ras el Jdir. Con l’inizio della guerra in Libia sono iniziati i problemi. Noi siamo neri e i mercenari di Gheddafi sono tutti neri. La gente ci ha scambiato per mercenari. Ma noi non siamo mercenari. Dunque come sempre, quando sei nero hai problemi. Quando siamo arrivati qui ci hanno proposto di ritornare al nostro Paese in Costa d’Avorio. Ma noi non vogliamo tornare, la c’è la guerra. Ma allora cosa volete fare?: Noi non vogliamo tornare, Tu devi dirlo a tutti. Tu devi chiedere il nostro asilo politico. Noi vogliamo che l’Europa ci aiuti. Voi avete il diritto di chiedere anche al vostro governo: l’aiuto del governo della Costa d’Avorio è una merda, non esiste. In Libia ci hanno derubato di tutto, non abbiamo più niente. Non possiamo ritornare a casa cosi. Noi abbiamo fatto anche una marcia pacifica, poi ci hanno detto basta, andate di là, andate di qua, non capiamo più niente. Allora ci hanno proposto di scegliere un paese confinante con la Costa D’Avorio, ma cosa ci andiamo a fare? Noi vogliamo che l’ Unione Europea ci trovi una soluzione, in Europa o in America. Un giovane che sembra molto combattivo si fa avanti e dice: ora parlo davanti a te… in Libia mi hanno messo in prigione e mi hanno torturato. Molti siamo stati torturati. Mi hanno preso e ogni minuto mi picchiavano con abiti bagnati, mi facevano fare la doccia vestito e mi facevano asciugare al freddo. Questo è molto grave: In Libia non c’è niente, non c’è neppure la legge, ti possono fare tutto, ti feriscono perché sei un nero, non hai la possibilità di alzare la mano, in Libia un nero non ha la possibilità di andare all’ospedale… noi non abbiamo nulla contro la gente libica. Noi ringraziamo Dio che oggi siamo qui.