E’ mattina presto quando lascio Khartoum verso nord, attraverso il ponte ferroviario costruito un secolo fa dagli inglesi…il grosso fuoristrada fende la marea impressionante di veicoli in movimento, infilandosi tra le spire di questo serpente di lamiere sbuffanti, rotolante per le strade nella più totale anarchia.
La bidonville a nord della capitale si spande per chilometri oltre le mura degli ultimi edifici di Khartoum North, misero insieme di capanne di fango, cartone, paglia, stracci e quant’altro venga vomitato dalla città verso le discariche. Le distese di cespugli intorno alle dimore sono come una scultura d’arte moderna.
informazioni tecniche, pericoli e malatti, l’artigianato, la cucina, i siti archeologici, una miniguida ricca di informazioni
Khartoum vista dall’alto appare come una vastissima estensione di basse abitazioni dello stesso colore della sabbia. Ad interrompere questo ordinato disporsi regolare di edifici c’è il Nilo, che proprio in questo luogo nasce dalla unione dei due rami (Nilo azzurro e Nilo bianco) per formare un unico fiume che attraversa da sud a nord tutto il paese, per dirigersi, infine, verso l’Egitto.
Arrivati allo sbarco sbrighiamo le formalità che consistono più che altro nel controllo dei bagagli tramite un curioso “metal-detector umano” cioè nel “rovistamento” di tutti i bagagli da parte di un’imperturbabile signora, che dopo aver dato una energica rimescolata a tutti i nostri averi, appone su di essi un bel bollino verde!
Sulle tracce degli esploratori e degli archeologi che ci hanno preceduto cercheremo di guadagnare la via per Berenice ed i tumuli del cratere di Onib, non senza avventurarci anche in percorsi alternativi ed inediti che speriamo ci offrano l’opportunità di imbatterci in nuovi ritrovamenti, rinvenendo ulteriori pozzi, villaggi Beja o resti di antichi insediamenti minerari che lontani dalle principali vie carovaniere e di trasporto delle merci e dell’oro magari ancora oggi si sono preservati dallo sguardo curioso degli avventurieri. A quel punto non ci rimarrà che rientrare puntando ad ovest la strada ferrata che unisce, nemmeno fosse un sogno !, Wadi Halfa a Khartum; passando prima per l’avamposto di fort Murrat e successivamente per le miniere di Umm Nabari, intersecheremo la ferrovia all’altezza della stazione numero 6 che si erge nel vuoto totale a 360° nell’orizzonte, e da lì, tagliando ancora il deserto, raggiungeremo le rive del Nilo per gustarci prima delle luci del tramonto Karima e le sue grandiosità.
Un viaggio africano, un vero viaggio africano. Guasti, inconvenienti, imprevisti e meraviglie sopratutto meraviglie per il gruppo composto da Ale e Martino su Toyota hzj 75 e Rosalba, Carlo ed io, Gian, su Toyota hj 61. Mete principali del viaggio: il lago Turkana (Kenya) e la regione dei Surma (Etiopia) nella valle dell’Omo, lato Ovest verso il Sudan.
Sto qui seduto sul muso sventrato di un grande Toyota con almeno 20 anni di sobbalzi sulle sue spalle sbombate…Sorseggio una Pepsi nell’ombra di una delle centinaia di officine meccaniche del quartiere di Mantega (in sudanese significa appunto “meccanico”…), una città nella metropoli.
Attendo fiducioso che la decina di sudanesi arrampicati intorno al cofano del mio HJ60 riescano finalmente ad estrarre un pezzettino grosso così,che va tornito perché ormai squilibrato da anni ed anni di giravolte in connubio con i giri del motore su non so quante migliaia di km di piste, sabbia, sassi….Sono oramai entrato in sintonia con la mancanza assoluta del concetto di “fretta”, parola qui sconosciuta, e ne approfitto per fotografare con gli occhi e con la mente questa realtà così differente dalla mia italiana, divenuta ormai da mesi il mio quotidiano.
In 11 anni ho camminato per i vicoli di infiniti mercati arabi, ma qui, in Sudan, è un altro mondo.
Un mondo a colori sgargianti che lascia senza respiro se si ha l’accortezza di sedersi a guardare,lasciandosi scendere dentro questo caos che in fondo è perfetta armonia.
La musica di Bach inonda la hall dell’Acropole Hotel, mentre il solito via vai di archeologi da tutto il mondo movimenta i corridoi in una babele di lingue, sottofondo costante in questo che è il punto di raccolta dei più grandi nomi della cultura occidentale.
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