By Giorgia Vesentini
Originally Posted Saturday, July 24, 2004
Secondo viaggio in Libia
9 – 22 gennaio 2000
Appunti di viaggio di Giorgia Vesentini
Prologo
L’equipaggio è composto da me, Beppe mio marito e Andrea l’amico di giovinezza.
Le moto sono due, un BMW Paris Dakar e una Honda Transalp, senza particolari preparazioni per il deserto (cambio filtro e gomme). Le due moto partono da Verona alle 10.30 per l’imbarco sull’Habib a Genova, che comincia alle 14.30 con una interminabile fila per la polizia tunisina.
La nave è stupenda e c’è pochissima gente a bordo, si sta molto bene.
Ovviamente molti tunisini, quasi nessun italiano, molti francesi e tedeschi.
Le tappe
- Domenica 9 gennaioTUNISI – SFAX
- Lunedì 10 gennaioSFAX – GHADAMES
- Martedì 11 gennaio GADAMES – PISTA DIREZIONE AL AWEINAT
- Mercoledì 12 gennaio PISTA PER AL AWEINAT
- Giovedì 13 gennaio ERG DI UBARI
- Venerdì 14 gennaio AL AWEINAT – AKAKUS
- Sabato 15 gennaio WADI AWISS
- Domenica 16 gennaio AL AWEINAT – GERMA
- Lunedì 17 gennaio LAGHI – SEBHA
- Martedì 18 gennaio SEBHA – TRIPOLI
- Mercoledì 19 gennaio TRIPOLI – LEPTIS – TRIPOLI – FRONTIERA – DJERBA
- Giovedì 20 gennaio DJERBA – KAIROUAN
- Venerdì 21 gennaio TUNISI – IMBARCO
- Sabato 22 gennaio
Domenica 9 gennaio TUNISI – SFAX
La traversata è buona, il mare tranquillo. Già la mattina, fuori sul ponte, si sente il teporino del sud e c’è un bel sole. Arriviamo nel golfo di Tunisi verso le 15.30 ma siamo fuori dalla dogana solo verso le 17.00. Ci fermiamo in centro a Tunisi sull’avenue Bourguiba dove Andrea ha il primo impatto con la civiltà tunisina (un bambino gli si attacca alla moto e ai bagagli). Facciamo bancomat e poi benzina (circa 600 lire al litro!). Imbocchiamo subito l’autostrada e via verso sud. Viaggiamo fino alle 20.00 circa, comincia a fare veramente freddo e siamo stanchi. Ci fermiamo a Sfax dove ci prendiamo la prima incavolatura: è la fine del Ramadan e troviamo a stento un ristorante aperto, pieno zeppo di gente. Ci sediamo a un tavolo con un ragazzo che parla italiano e che come al solito vuole aiutarci. L’aiuto consiste nel non mollarci più, continuare a parlare e invitarci a casa sua; noi siamo solo stanchi morti e vogliamo trovare un albergo decente. Io già ne avevo visto uno andando al ristorante e lui ci accompagna proprio a quello: lui ovviamente tenta di fare la cresta sul prezzo della camera, facendo da intermediario tra noi e il banco dell’hotel. Per fortuna nella camera ci sono i prezzi esposti e risolviamo la questione invitandolo a lasciarci in pace, dopo due ore di chiacchiere inutili.
L’Hotel è il Coliseeè, vicino all’Hotel de Ville, 65 dinari per le due camere con colazione, è pure pulito (si può dormire nelle lenzuola). Chiamo Hamadi e ci diamo appuntamento per domani alla frontiera verso le 13.00.
Lunedì 10 gennaio SFAX – GADAMES
Tutto un tiro da Sfax a Ben Gardane fermandoci solo per fare benzina. L’aria è bella freschina. Cambio a Ben Gardane: 1 $ = 1,95 Dinari libici (in pratica un dinaro ci costa 900 lire). Incontriamo Hamadi tra le due frontiere: quando l’abbiamo conosciuto l’anno scorso gli avevamo detto che saremmo tornati e ora eccoci qui, non mi sembra vero. Ci aiuta nelle pratiche per il passaggio della frontiera:
- compilazione moduli verdi in arabo e consegna nel primo casottino basso, strappano il pezzo più grande e lo tengono
- cambio obbligatorio alla banca (container in mezzo alle auto parcheggiate
per sdoganamento, all’entrata del capannone dogana) di 250 $ per moto per pagare le targhe e l’assicurazione - fatto “carnet de passage en douane”
- acquisto targhe
- 30 $ per iscrizione all’automobil club libico
Ovviamente siccome nel frattempo i vari funzionari andavano a turno a mangiare ogni cosa si bloccava per una buona mezzora quindi ci abbiamo messo circa 3 ore.
Prima tappa, la benzina: costa 100 lire al litro!!!! Scarichiamo le moto e io salgo in auto con Hamadi, così i due centauri sono liberi e belli. Facciamo un ricco pranzo a Zuara a base di ciorba (zuppa), pollo fritto e insalatina e poi verso le 18.00 (ora legale libica, per noi che veniamo dalla Tunisia sono le 17.00) partiamo per Gadames. Fino qui abbiamo fatto circa 350 km, ce ne aspettano altri 600 di strada drittissima con nessunissimo. Per fortuna non fa molto freddo, Beppe e Andrea reggono bene. Io in macchina converso di argomenti elevati con Hamadi, che è piacevolissimo. Ad esempio del perché la frontiera di Ramada è chiusa: da lì è avvenuta la fuga di un pezzo importante del regime, che si è stabilito in Tunisia, così Mister Gheddafi vuole punire quella frontiera tenendola chiusa. La notte stellata è stupenda. Arriviamo a casa sua verso l’1 di notte, un piccolo snack e poi a letto. Ovviamente Andrea si ferma a chiacchierare un po’ di più, iniziando a gettare le basi di quella lingua anglo-franco-italo-araba che parleremo nei prossimi dieci giorni.
Martedì 11 gennaio GADAMES – PISTA DIREZIONE AL AWEINAT
Dormito fino a tardi. Andiamo a fare un giretto sulle dune che si trovano a 5 km a sud di Gadames: qui vediamo finalmente se tutto l’allenamento su per gli argini e giù per le spiagge del Po è servito a qualcosa. Beh, dai, sì, le moto e i rispettivi guidatori riescono a restare in sella e a scalare le dune, con qualche atterraggio un po’ troppo profondo ….si può tentare di fare la traversata delle “small dunes” dell’erg di Ubari, meglio di no le “big dunes”.
Torniamo a Gadames e ci accorgiamo subito che le cose cominciano a cambiare dall’anno scorso. Percorrendo i vicoletti della città vecchia troviamo un tizio che ci fa pagare il biglietto (per carità, giustissimo, ma tu chi sei?) e poi al bar ci accorgiamo del rincaro turistico dei prezzi….insomma anche qui si fanno furbi.
Prepariamo i bagagli, Andrea si accorge che ieri la moto gli ha bevuto 2 etti di olio. Arriva il cat cat (cioè il fuoristrada 4×4, in francese) con il guidatore, Tarek, bel ragazzo di 28 anni. Viene con noi anche il signor Ragi, vecchio tuareg che è stato nomade fino a qualche anno fa e conosce l’Hammada el Hamra come le sue tasche (fra l’altro Ragi in lingua tuareg significa “caro” quindi il personaggio, veramente simpatico e gentilissimo, viene soprannominato mister expensive). Ci farà da guida per trovare i posti migliori dove accamparsi. Partiamo dunque belli di carichi di benzina, viveri, acqua e coperte, un po’ di legna. Imbocchiamo la pista Gadames – Al Aweinat che è la pista della speciale della Parigi Dakar, ultima edizione (infatti la troverebbe anche uno scemo, è tutta arata dalle impronte). I due motoristi sono alla prima esperienza di deserto e l’entusiasmo è alle stelle. Devono stare abbastanza lontani dal cat cat perché la polvere che alza impedisce di vedere la pista, per cui ogni tanto dobbiamo fermarci e fare attenzione a non perderli.
Verso le 18.00 ci fermiamo per fare il campo, dopo aver cercato un buon posticino ricco di legna. Alla sera davanti al fuoco mangiamo come i lupi, Hamadi ci fa da mangiare benissimo: pollo, zuppa, maccheroni, verdurine. Ragi ha la funzione importantissima di tea man: lo passa e ripassa da una teiera all’altra per fare venire la schiuma e riempirne tutti i bicchieri. Tanta schiuma è segno di attenzione verso l’ospite e significa anche che il the è ben cotto.
Verso le 22.00 viene un bel freddo e durante la notte si leva il vento.
Mercoledì 12 gennaio PISTA PER AL AWEINAT
Ci svegliamo con calma alle 9.00, leviamo il campo alle 10.00. Attraversando l’Hamada (pianoro roccioso) el Amra (rosso) cominciamo ad assaporare le mille varietà del terreno e del passaggio: dalla sebka piattissima e dura come il cemento alla sabbietta grossa tipo ghiaia con i sassoni modellati dal vento. Ciottoli, ciottolini dal grigio al marron al nero, piana gialla con spruzzi di sassolini neri, fondali in tutte le gamme dell’ocra.
Scopro le colochinte, piccole zucche sferiche che nascono dopo la pioggia e una volta secche sembrano tutte palle da tennis. Sono utilizzate per curare il diabete. Cammelli selvatici, tronchi fossili, container abbandonati, un tubo che improvvisamente taglia la pista e porta chissà cosa da chissà dove a chissà dove. Un accampamento di pastori. Andrea perde la targa nella piana rossa piattissima con i sassolini neri e torna indietro a cercarla con Tarek (e così cominciano gli sfottò di cui Andrea sarà soggetto prediletto per tutto il viaggio…..pardon, Andrea, Andrea). Ragi e Hamdi non dormono in tenda ma si scavano una buca nella sabbia e ci si accomodano dentro.
Giovedì 13 gennaio ERG DI UBARI
Riusciamo a svegliarci alle 8.00 e a partire per le 9.00. Oggi i due cavalleggeri devono affrontare per la prima volta le dune vere, il famoso erg (vena, in arabo, detto anche edeyen in tuareg) di Ubari. Le dunone sono stupende, morbide, lisce e tondeggianti come sculture canoviane.
Sgonfiamo un po’ i pneumatici. Nella prima dunona alta il cat cat si parcheggia in alto per assistere alle scene delle moto: Andrea si butta a capofitto con la moto giù per la linea di massima pendenza e si cappotta nella discesa (too much weight in the head of the moto, not good for dunes!), in pratica si pianta la ruota davanti. Risate generali (ridono anche le dune) e tutti via a tirare fuori la moto. Beppe prudentemente aggira l’ostacolo e scende per un pendio più dolce. La tendenza della BMW è invece di impantanarsi con la coda Dopo un po’ di pratica, i due motoristi diventano gravissimi, le attraversano nel giro della mattina. Verso le 13.00 siamo fuori dal cordone di dune e ci fermiamo presso un’acacia per la nostra insalatina di rito. Per rigonfiare le ruote tolgono una candela dal motore e lo collegano con un tubicino alla camera d’aria (geniale!). Il pomeriggio passa attraversando un brutto deserto grigio e nero pieno di sassi che fanno la marcia cattiva, a sobbalzoni. Arriva poi un pezzo piattissimo e durissimo, dove però esce una ruota dal cat cat.
L’aggiustano come niente fosse. Ci raccontano che riescono sempre ad aggiustare tutto, una volta con delle camere d’aria vecchie hanno aggiustato una balestra rotta. Serata come al solito accanto al fuoco, cade metà del riso per terra (per fortuna perché ce n’era per un esercito!). Tornano le stelle, andiamo a dormire presto perché le dune ci hanno stancato.
Venerdì 14 gennaio AL AWEINAT – AKAKUS
Al mattino le tende sono tutte ghiacciate però verso le 8.00 arriva il sole anche nel nostro wadi. C’è un’umidità fortissima, l’acqua esce dalle radici delle tamerici (o quel che sono questi cespugliotti). Leviamo il campo verso le 9.30 e puntiamo su Al Aweinat (Serdeles in tuareg), dove arriviamo dopo aver pranzato su una bella dunetta e dopo aver forato. Che impressione Al Aweinat: è proprio Africa Nera, quella che si vede nei documentari. Capanne circolari, baracche, discariche, bambinetti cenciosi per la strada che chiedono le penne (questo in un sobborgo prima del paese). In paese, che è già meglio, tutti gli uomini sono seduti sul ciglio della strada ad aspettare (cosa?). Finalmente ci facciamo una doccia al camping per turisti Al Faw, che è veramente carino. Acqua calda, pulito, bungalow in muratura. Telefonato a casa, dove erano preoccupati che io fossi preoccupata che loro fossero preoccupati (sempre così). Qui ci sono proprio gli uomini blu, che però con il passare degli anni si slavano perché la caratteristica del pigmento usato per le stoffe è proprio quella di perdere il colore. Infatti il nostro tuareg, che ha circa 60 anni, è ormai azzurrino chiaro. Oggi ci lascia e se ne torna a gadames (forse trova un altro gruppo di
turisti da accompagnare sulla stessa strada). Mi dispiace che ci lasci perchè è una persona squisita, piena di attenzioni e autorevole. Vedo passare un bellissimo cheche (i sei metri di tela leggera con si avvolgono il capo) blu elettrico, e mi piacerebbe comprane uno.
Usciamo da Al Aweinat per una pista in direzione sud est che punta al massiccio dell’Akakus. Dopo pochi km incontriamo subito un gruppo di rocce frastagliate nere con incisioni di buoi, giraffe e elefanti. Fatto il campo alle 18.00 in una anfiteatro di roccioni marron neri con fondo di sabbia rossa. Stupendo, al tramonto si incendia. Quasi stucchevole.
Siamo molto rilassati, vuoi per la doccia vuoi perché la giornata non è stata impegnativa. Tutta la sera passa a sparare scemenze nelle quattro lingue mescolate, con Beppe e Andrea che vogliono insegnare le parolacce italiane ai due arabi (e quelli le imparano subito).
Levato il campo, costeggiamo la falesia orientale dell’Akakus. Arriviamo al wadi Adat (del pollice), che è dominato appunto da un pietrone alto qualche metro che sembra un pollice. Vicino c’è un’incisione con una scena di sesso.
Entriamo in un wadi in direzione ovest e vediamo delle bellissime pitture con figure umane a triangolo, buoi e struzzi rossi e bianchi. Passeggiamo un po’ per vedere una ghelta attorno alla quale ci sono impronte di …. sciacallo?
A ora di pranzo foriamo e ci fermiamo a mangiare nei pressi di un elefantino stupendo, disegnato benissimo. Poi altri dipinti ocra di donne con carri, scene di caccia con cani bellissimi. Cerchiamo latte, formaggio e carne dai pastori tuareg accampati in questo posto assurdo. I tre bimbetti non parlano neppure l’arabo ma solo il tuareg. Andrea nel frattempo cade dalla moto e rompe un pezzettino di carena (da cui l’appellativo Andrea el tombeé). Andiamo nella direzione dell’erg di Murzuq che si vede in lontananza per trovare altri beduini. Poi torniamo indietro verso l’Akakus e ci accampiamo in una zona abbastanza elevata per evitare l’umidità: negli ultimi tre giorni qui è piovuto a dirotto e il paese è rimasto senza elettricità. Serata trascorsa a parlare dei problemi socio-economici della Libia.
Domenica 16 gennaio AL AWEINAT – GERMA
Levato il campo alle 10.00. Becco in castagna Hamadi e Tarek: ci portano a rivedere un sito di graffiti già visti ieri. Siamo sempre nel wadi Awiss e comincio a capire che nel cuore dell’Akakus non ci entriamo e non ci entreremo.
Vediamo l’anfiteatro naturale detto kamar (della luna), dove c’è un ampio riparo tagliente. Qui fa il suo campo il professor Fabrizio Mori, che qui ha trovato la mummietta del bambino di due anni. Girovaghiamo ancora per vedere altre pitture: elefanti, giraffe, sciacalli. Giriamo però attorno sempre allo stesso posto. Io non ho voglia di tirare fuori il problema con Hamadi, cioè perché non ci fa fare il giro classico dell’Akakus (perlomeno vedere quei siti descritti nelle guide e nei reportages che qui io non identifico). Incrociamo un motociclista solitario che appena ci avvista si dilegua: forse è senza permesso. Qui bisogna avere la guida con il premesso e sembra che ogni guida abbia la sua zona. Siamo un po’ stufi di girare intorno. Decidiamo di tornare prima e ne parliamo ad Hamadi. Sembra che ci siano un’infinità di problemi per anticipare di un giorno il tragitto. Chissà cosa c’è sotto tra permessi, posti dove si può dormire e dove no. In un’ora e mezza torniamo a Al Aweinat (a dimostrazione del fatto che non ci stavamo per nulla addentrando nell’Akakus, non siamo mica scemi) e questo ci dà la netta impressione di aver fatto una giterella domenicale in Akakus. Anche perché è bello dormire in mezzo al deserto vicino al fuoco ma se so che ho il camping attrezzato a un’ora di distanza mi cade un po’ la poesia della cosa. Andrea cade un’altra volta, ai 100 all’ora, ma per fortuna sulla sabbia. Ha preso una pacca e una storta e ha rotto l’atro pezzettino di carena. Ci fermiamo a bere un caffè al camping Al Faw finchè Tarek va a fare i premessi necessari per proseguire il viaggio. In pratica loro libici per poter utilizzare il cat cat devono dichiarare minuziosamente quale tragitto e in che tempi e con quali turisti lo fanno, altrimenti sono sospettati di traffico illegale che appunto fra queste frontiere desertiche viene fatto con i fuoristrada.
Sgroppata direttissima da Al Aweinat a Germa, con sosta a Ubari per falsificare i permessi. Cena al ristorante Tassili (pollo! pulitissimo!) e dormito previa doccia bollente al camping di Germa Erawan (discreto, non molto pulito). Attorno al fuoco troviamo un gruppo di Avventure del Mondo, che ci raccontano le loro –appunto- avventure.
Lunedì 17 gennaio LAGHI – SEBHA
Riusciamo a svegliarci prestissimo e partire per le 8.00. Incredible!
Facciamo la gita a due laghi tutti sul cat cat perché Beppe e Andrea sono un po’ stanchini di moto. Le dune sono bellissime e sarebbero proprio da virtuosismi motociclistici. Vediamo il lago Mandara e il lago “madre dell’acqua”, veramente belli e intatti. Ci sono tre tipi che vendono gioielli tuareg e oggetti berberi, ma non mi piacciono molto e l’unica gazzellina in argento (?) che potrebbe essere carina è troppo cara (60 dinari) in rapporto alla fattura che mi sembra molto grezza. Torniamo al camping e verso le 12.00 siamo già in partenza alla volta di Sebha. Non andiamo a visitare le rovine dei Garamanti perché preferiamo avere un giorno in più per stare a Tripoli e far visitare Leptis ad Andrea, che, diversamente da noi, viene in Libia per la prima volta. Hamadi e Tarek hanno paura di fermarsi a Sebha perché, ci spiegano, ci sono tre kabile (quella di Gheddafi, quella del numero due del regime, quella dei nobili) che si fanno la guerra per la supremazia e per il controllo del traffico d’armi. Se ti succede qualcosa non c’è police, non c’è legge, you can do nothing.
Qualche volta rapinano le comitive, altre volte le speronano volontariamente per creare incidenti. L’anno scorso hanno rubato il fuoristrada a un francese, rimasto legato all’albero con la moglie. Il fuoristrada è strato trovato in Niger. Ci fermiamo per il pranzo una cinquantina di km prima di Sebha (fra l’altro ad Andrea gli cade la moto da fermo) poi nel pomeriggio attraversiamo Sebha senza neanche metter giù il piede dall’auto. Lunghissimo pomeriggio sulla strada drittissima per Tripoli: il cat cat non fa più dei 100 all’ora. Dietro i due motociclisti non sanno più che posizione escogitare per meglio dormire sulla moto. Cena a un ristorante a Suwarif (pollo e riso o riso e pollo). Ci accampiamo fuori dal paese, un po’ giù dalla strada, al buio e al freddo senza fare il fuoco. Bruttissima serata di discussione con Hamadi riguardo ai soldi che gli dobbiamo.
Martedì 18 gennaio SEBHA – TRIPOLI
Non ho dormito tutta la notte per il pensiero che mi ha dato la discussione con Hamadi: il posto dove ci siamo accampati mi sembra un po’ esposto, quando si litiga con i propri ospiti ci si sente un po’ insicuri. Sono uscita dalla tenda alle 6.30: c’è un freddo tremendo. All’alba leviamo il campo e regaliamo la nostra preziosissima tenda Vaude da alta montagna ad Hamadi per saldare il conto e perché non ci siano più cose in sospeso. Alle 9.00 partiamo per la galoppata di 400 km verso Tripoli. Siamo contenti di essere finalmente per conto nostro senza guide e potercela cavare da soli, senza nessuno che ti chiede se stai bene, hai dormito, ecc. La mattina di sole splendente è spazzata da un vento gelido. Il panorama, si sa, è un po’ piattino. Dune non se ne vedono più, solo hamada sassosa e gialla, un villaggio ogni 50 km. E’ inquietante viaggiare senza vedere una casa all’orizzonte e senza mai incrociare nessuno. L’unica cosa curiosa sono le frecce in coreano che portano a che? Stazioni petrolifere? Piste di lavoro del grande fiume? Facciamo benzina a Qariat, di nuovo a Mizdah dove cerchiamo di scaldarci in un bar di tifosi dell’Inter. Verso mezzogiorno arriviamo a Garyan e scendiamo dal gradone del jebel. Ci appare la campagna tripolina, tutta verdolina come da noi in primavera. Ulivi, campi di erbetta, palme mediterranee, pecorine, caprette e vacche, sembra Pasqua.
Comincia il traffico incasinato e sgangherato tipico della costa. Le moto sono oggetto di curiosità e chiacchiere presso le stazioni di benzina. Arriviamo alle 14.00 in vista di Tripoli e riusciamo a trovare subito l’albergo che conosciamo, l’Aljouda, sulla corniche occidentale, grazie alla mole svettante del grattacielo di regime verde e nero. Mettiamo le moto in garage e subito su a scaldarci con doccia bollente e un rigenerante riposino. Nel tardo pomeriggio usciamo a spasso per la medina, che è sempre affascinante. Visitiamo bene la moschea Gurgi, fermandoci a parlare con il custode. Cambiamo le pochi lire che ci restano dal vecchietto che vende tappeti alla porta della medina dalla parte della Piazza Verde, all’ingresso del bazar turistico, davanti alla fontanina.
Cambio non particolarmente favorevole, ma così possiamo permetterci un po’ di lussi. Ci rilassiamo al caffè in Piazza Verde, sotto i portici a bere il nostro ormai irrinunciabile the delle 18.00. Passeggiatina in Sharia Primo Settembre, cena squisita al ristorante libanese.
Mercoledì 19 gennaio TRIPOLI – LEPTIS – TRIPOLI – FRONTIERA – DJERBA
Ci svegliamo alle 7.00 per partire solo alle 9.00 alla volta di Leptis Magna.
Che bello vedere il mare azzurrissimo, la mattina è limpida e fredda, la strada si snoda tra collinette verdeggianti con ulivi, cipressi, pini marittimi e palme. Visita velocissima di Leptis, che è sempre grandiosa. Il mare ruggisce dietro al foro antico e fa da quinta spettacolare al teatro. A Al Koms ci mangiamo un panino squisito nella piazza dei taxi e già alle 13 partiamo per il ritorno. Oltrepassata agevolmente Tripoli grazie alla circonvallazione, raggiungiamo la frontiera verso le 16.00. Ultima benzina a 100 lire, ultimo the libico. Molto semplice e relativamente veloce il passaggio della frontiera, supportato da amabili conversazioni con i vari tipi di poliziotti che vogliono sfoggiare il loro inglese/francese. Il tizio della dogana si mette le mani nei capelli quando vede le due targhe da ritirare, come fosse un lavoro immane – poi in zero secondi ci scrive uno straccio di ricevuta e ci restituisce 40 dinari per targa. Un po’ più lungo l’ingresso in Tunisia. Fanno la fila con noi una serie di macchinone giordane in cui a occhio c’è qualcuno di importante, perché a un certo punto scende un tipo con una mitraglietta a tracolla. Appena passati di là, troviamo subito il tipo che ci cambia i dinari libici in DT, con un cambio neanche pessimo. Via verso Houmt el Souk (isola di Djerba), dove conosciamo un alberghetto carinissimo e pulito (Erryadh). La strada è un po’ lunghetta, arriviamo solo verso le 19.00 con buio e freddo, dopo tre estenuanti posti di blocco conditi di inutili chiacchiere con i poliziotti annoiati. Che bello, l’Erryad è aperto e ospitale come al solito e c’è pure il riscaldamento e l’acqua calda. Per cena ci sfoghiamo con pizza e crepes.
Giovedì 20 gennaio DJERBA – KAIROUAN
Acquistiamo i biglietti per il ritorno in un’agenzia viaggi di Djerba.
Probabilmente becco la più sgangherata perché non accetta la carta di credito così devo fare 10 prelievi bancomat e allegare le ricevute di cambio firmate dalla banca. Fra l’altro il biglietto acquistato da qui costa di più che non acquistarlo dall’Italia, strano ma vero (oppure siamo stati fregati, as usual). Comincia a piovere e partiamo: traghettino per tornare sulla terraferma (con tanto di scivolata del Beppe durante la discesa, con me sulla moto), paninone buonissimo a Gabes. Nel pomeriggio ci facciamo i 200 km per Kairouan tra vento, pioggia e schizzi di una strada polverosa che non vede acqua da chissà quanto. Arriviamo a Kairouan e come al solito in queste città turistiche l’accoglienza è esaltante: al viaggiatore stanco, infreddolito e bagnato, appena sceso dalla moto, vogliono vendergli un tappeto, procurargli l’hotel e fare un giro della città. A muso duro vado per conto mio a cercarmi l’albergo a piedi, guida alla mano. Trovo solo lo Splendid che abbia anche il garage: l’hotel è pretenzioso, vedo un rassicurante adesivo dell’Hotelplan sulla porta, ma i bagni sono proprio sporcucci e nella lenzuola è già entrato qualcuno. Prima di cena andiamo a vedere la grande moschea. Troviamo il solito rompiscatole che ci vuole accompagnare e per liberarcene dobbiamo alzare la voce. Oggi è il giorno di una festa religiosa particolare, legata alla fine del Ramadan, per cui nella moschea troviamo una preghiera in atto. Fa molta impressione vedere di nascosto da un pertugio tutta la moschea illuminata a giorno, piena di fedeli che pregano inginocchiati e rispondono alle parole dell’imam. La moschea è bellissima, è la più antica dell’Islam: da fuori sembra una fortezza, dentro è una selva di colonne e capitelli prelevati a suo tempo dai siti romani della Tunisia.
Cena abbondante condita dal tiggì italiano che parla dei funerali di Craxi e poi a nanna presto.
Venerdì 21 gennaio TUNISI – IMBARCO
Mattina di sole, per fortuna. E’ molto bello il paesaggio attorno a Kairouan, verde e ondulato. Verso le 11.00 siamo a Tunisi, che è in fibrillazione per i funerali di Craxi. Cerchiamo di parcheggiare nei pressi dell’avenue Bourguiba, vicino alla cattedrale. Venendo dalla Libia, Tunisi sembra Parigi, con i caffè sui marciapiedi, le donne vestite all’occidentale, i fiorai. Non ci lasciano stare davanti alla cattedrale ad attendere il feretro, così lasciamo perdere l’idea del funerale e andiamo alla Goulette per l’imbarco, che comincia già alle 13.00. Appena saliti a bordo, doccione caldo e ultimo sole sul ponte. Il ritorno ci riserva l’ultima truffa tunisina: sulla nave non accettano i dinari tunisini, benchè la nave sia tunisina, ma solo valuta straniera. Noi abbiamo solo dinari perché ci siamo approvvigionati con il bancomat, che dà solo valuta locale. Dopo una bella litigata con il comandante, troviamo un cameriere che con l’aria di farci un gran favore ci frega una cinquantina di mila lire per fare il cambio.
Cena a pane e formaggio per tamponare gli effetti della danza marina, che continua fino a notte. C’è troppa gente sulla nave, impossibile dormire nella zona poltrone. Ci sistemiamo nei corridoi, dove dormiamo bene. Sogni notturni di Andrea: nel cuor della notte trova un tunisino che ha voglia di fare conversazione mentre tutti dormono e un altro che si aggira con una borsa in mano cercando le cabine (ci sono solo cabine sulla nave). C’è anche un piccolo episodio di furto, si sente un gran calpiccio, una donna che si agita e un tunisino portato via con le manette.
L’arrivo è previsto per le 14.00 e così è. Solo che le procedure di sdoganamento dei veicoli creano una coda che dura due/tre ore. Andrea e Beppe verso le 16.00 sono fuori dal porto e partono per Verona, dove arrivano sulla soglia dell’assideramento verso le 19.00, senza neppure mille lire in tasca, come si conviene a un vero viaggio.