UNA COPPIA IN TRANSAFRICA. PRIMA TAPPA
di Cristina e Bruno Riccardi
9/2/2017 – Siamo su una banchina del porto di Genova tra code di auto marocchine cariche all’inverosimile, davanti all’enorme bocca della stiva di una nave della GNV, stavolta l’Excelsior, in partenza per Tanger Med. Quante volte ci siamo imbarcati qui? Molte, dovremmo fare mente locale e contarle ma non ne abbiamo voglia. Come sempre tuttavia, l’emozione è forte; la partenza per l’Africa ci riempie ancora di gioia. Ma questa è una partenza particolare, è la prima tappa della nostra transafrica, in piena solitudine di coppia, solo noi: Cristina e Bruno con l’obbiettivo di raggiungere Capetown in alcune tappe, la prima delle quali presso la nostra amica Maurizia a Bobo Dioulasso in Burkina Faso dove lasceremo la macchina. Alcuni vedono il nostro viaggio una follia o una stramberia e ci domandano chi ce lo fa fare. Lo facciamo per il puro gusto di viaggiare, di conoscere gente nuova, usi e costumi diversi dai nostri e, chissà, magari più genuini. Siamo viaggiatori incalliti, sempre pronti a partire. Chiariamo che a noi non piace chiamare il nostro progetto “sfida”, termine che detestiamo profondamente, ma semplicemente viaggio, magari impegnativo che tuttavia, siamo convinti, chiunque in buona salute, con la testa sulle spalle e un mezzo decente, meglio se privo di inutili orpelli, può affrontare. Molti in solitaria hanno già fatto una transafrica, noi vogliamo fare la stessa cosa, niente più. E’ con questo spirito che partiamo. Contrariamente ad altri viaggi, non siamo con la nostra Toyota che non ci va di lasciare in Africa ed è destinata a futuri viaggi in terra russa e mongola e, speriamo, nuovamente in Sahara, ma con una Nissan Terrano passo corto 2,7 cc del 1997, rialzata di 5 cm., autocarro con soli due posti a sedere e un grosso vano carico, comprata per poco da un ragazzo, alla quale abbiamo fatto rifare il motore e montato delle robustissime gomme da fango della Good Year. L’auto è stata battezzata da Cristina “Tatiana” dal momento che ama i nomi russi.
Tatiana è un mezzo spartano e molto solido. L’abbiamo caricata all’inverosimile di pasta, zucchero, olio di arachidi, medicinali, CD di cartoni animati, che lasceremo all’orfanatrofio dove la nostra amica Maurizia è la direttrice. Abbiamo anche tre taniche di ferro da 20 litri per il gasolio di scorta, tre tanichette per l’acqua potabile, una pala, una strop con grilli, un compressore e stringhe per riparare le gomme, una tendina Quechua, valige per i nostri vestiti, olio e filtri di ricambio per Tatiana e un debimetro di scorta che, pare, sia il punto debole delle Terrano. Non abbiamo il CB, già, non lo abbiamo preso appresso, non sapremmo con chi comunicare. Un viaggio da soli in Africa è veramente un viaggio particolare, la mancanza del CB lo sottolinea. Saremo davvero soli anche se questa prima tappa avverrà su percorsi che già ben conosciamo per precedenti esperienze ed è soprattutto finalizzata a portare la macchina in Burkina paese che, viceversa, non abbiamo mai visitato. Essendo soli faremo quanto più possibile percorsi battuti e cercheremo sempre di trovare un tetto per la notte. La tendina ci servirà in casi di emergenza.
Dopo l’imbarco la nave parte con tre ore di ritardo e a noi dalla poppa, osservando la bella città che si allontana, vengono in mente le parole della stupenda canzone di Paolo Conte “Genova per noi”.
9-10-11/2/2017 – Navigazione in mare tranquillo. All’arrivo a Barcellona la nave ha già recuperato le tre ore perse alla partenza. Sulla nave pochissimi fuoristradisti, solo un gruppetto di austriaci diretti a Merzuga e un tedesco. Brutti tempi; non è più come una volta quando trovavi e chiacchieravi con decine di fuoristradisti.
11/2/2017 – Sbarco a Tanger Med in orario perfetto, disbrigo delle solite barbose pratiche marocchine e trasferimento ad Asilah dove stavolta pernottiamo da “Casa Garcia” (dopo aver divorato il solito ottimo pesce), abbandonando il tradizionale hotel Zelis frequentato dai fuoristradisti europei, poiché nel 2014 lo avevamo ritrovato in notevole decadenza. Da qualche anno “Casa Garcia” ha una nuova e bella sede che però, ha perso non poco dell’aura da taverna di porto che aveva la vecchia. Peccato.
12/2/2017 – Partenza al mattino presto verso Tiznit. Nel pomeriggio, nel tratto autostradale tra Marrakech e Agadir, in corrispondenza delle montagne, scoppia una tempesta di sabbia con vento fortissimo,anzi, sembra più tempesta di ghiaia, visto che centinaia di sassolini colpiscono la macchina come proiettili. Poi arriva un vero e proprio diluvio da alluvione. Molte auto e camion devono fermarsi ma noi continuiamo con tratti a passo d’uomo con parecchia difficoltà per trattenere Tatiana in traiettoria. Dobbiamo tentare di raggiungere Tiznit ad ogni costo come ci eravamo prefissati. Scendendo verso Agadir l’uragano non accenna a diminuire; l’asfalto ormai è un fiume, inondato da non meno di 20 cm di acqua. Percorriamo la strada che dalla periferia di Agadir va a Tiznit con molta difficoltà, sempre sotto pioggia a catinelle.
Arrivati a notte inoltrata alla periferia di Tiznit, un brivido percorse le nostre schiene: la Nissan comincia a tossire, ad andare a tratti, a mancare per poi riprendere e così via. Giungiamo con fatica all’hotel de Paris, dove siamo soliti pernottare negli ultimi anni. A questo punto spegniamo Tatiana decisi a preoccuparci del problema il giorno dopo. Siamo troppo stanchi. L’umile Hotel de Paris piace particolarmente a Cristina poiché ricorda l’albergo del film “Il tè nel deserto”. Effettivamente vi si respira un clima retrò, molto particolare e poi è molto economico pur essendo decente.
13/2/2017 – Per fortuna ha smesso di piovere e apprendiamo dai locali che la tempesta del giorno precedente, durata anche tutta la notte, è stata un fatto assolutamente eccezionale alla quale non sono abituati. La macchina si accende regolarmente ma, appena portata su di giri ed in velocità, ha dei mancamenti ed emette fumo bianco abbondante. Su indicazione dell’albergatore, andiamo nella zona della città dove ci sono le officine (si fa per dire) dei meccanici e il primo contattato non riesce a capire il problema ma, il secondo, Mohammed Salem, individua acqua nel filtro del gasolio e sentenzia: “c’è molta acqua nel serbatoio. Bisogna assolutamente svuotarlo e pulirlo, oltre a controllare che danni ha fatto l’acqua. Non potete continuare con la macchina in queste condizioni. Inch’Allah”. Alla domanda di quanto tempo occorre restare fermi, Mohammed risponde: “Inch’Allah”. Però tenta di tranquillizzarci dicendo che ha lavorato molti anni a Parigi, che lui è meccanico esperto e conosce perfettamente i motori Nissan. L’officina di Mohammed è il solito piccolo antro oscuro dei meccanici marocchini che aggiustano di tutto, piena di ferraglia di recupero di ogni tipo, vecchie gomme, barattoli di olio motore aperti, chiavi sparse ecc. Però Mohammed ci esprime una certa fiducia. Vedremo. In giornata ci mostra che il serbatoio contiene gasolio con il 25% abbondante di acqua, che la stessa ha danneggiato la pompa seriamente e almeno un iniettore ma, soprattutto, teme la eventuale compromissione di qualche pistone. Continua a smontare….smontare. La cosa ci preoccupa. Ad ogni domanda risponde: “Inch’Allah”. Bisogna inoltre capire da dove è entrata tutta quell’acqua. A sera Mohammed sentenzia: “I pistoni sono a posto; bisogna riparare la pompa ma non sono attrezzato e devo andare da un mio conoscente ad Agadir; devo cambiare un iniettore, spianare la testata e rimontare il tutto mettendo guarnizioni nuove. Probabilmente mi occorreranno altri due giorni o forse più; inch’Allah. L’acqua è entrata nel serbatoio perché non vi hanno chiuso bene il tappo e, probabilmente vi hanno rifilato gasolio annacquato. Non ci sono accessi occulti al serbatoio che è chiuso ermeticamente”. Effettivamente, durante la tempesta, ci eravamo fermati a fare gasolio in un benzinaio che fece letteralmente la doccia per servirci.
La sera torniamo a dormire all’hotel de Paris alquanto depressi. Già nel 2014 il tentativo di raggiungere il Burkina era fallito in prossimità della frontiera maliana a causa dell’ebola in Mali e del colpo di stato in Burkina. Che ci sia qualche maledizione o makumba che impedisce la nostra transafrica? I pensieri più cupi ci assalgono specie per il fatto che non sappiamo se il meccanico sarà all’altezza della situazione col rischio quindi di vedere Tatiana dopo la riparazione, fermarsi in lande ben più desolate di quelle marocchine, quali quelle della Mauritania o del Mali. Intanto aspettiamo.
14/2/2017 – Al mattino troviamo l’officina di Mohammed chiusa e la nipote, che ha un negozio di cancelleria accanto all’officina e che nel frattempo è diventata amica di Cristina, ci dice che non lo ha visto ma sa che è andato via molto presto. Confidiamo sia andato ad Agadir per la pompa del gasolio di Tatiana. Nel primo pomeriggio Mohammed compare sulla sua furgonetta Renault con pompa riparata, iniettori nuovi, guarnizioni nuove, testata spianata, tutto raggiante. Ci dice che, inch’Allah, domani a mezzogiorno la macchina è pronta. Speriamo. Nel frattempo gli amici Luca, Walter e Giorgio dall’Italia ci spronano a continuare il viaggio. Ormai siamo certi che continueremo anche se con un poco di patema d’animo.
15/2/2017 – A mezzogiorno il lavoro di Mohammed non è finito; ce lo aspettavamo. Ci dice che lo sarà entro sera, inch’Allah. E’ lento ma infaticabile e preciso nelle sue operazioni e ci da l’idea di intendersene davvero e avere la situazione sotto totale controllo. Alle prime ombre della sera il lavoro è terminato. Tatiana gira che è una meraviglia, la proviamo e va benissimo. Per la contentezza regaliamo al meccanico una buona bottiglia di vino rosso piemontese che gradisce moltissimo. Ci ha detto di essere un buon musulmano che ogni tanto….pecca!
La notte in albergo riflettiamo sul fatto che purtroppo i tre giorni persi ci obbligano ad accelerare dato che, entrambi, abbiamo tempi contati a causa lavoro.
16/2/2017 – Partiamo decisi verso il West Sahara. Tatiana gira benissimo e la sera raggiungiamo Boujdour come previsto. Qui pernottiamo nel campeggio della cittadina dove per raggiungerlo, passiamo davanti ad un distributore con annessa moschea che già due volte in passato ha rifiutato di rifornirci di gasolio. Probabilmente non vuole servire gli occidentali infedeli oppure gli stiamo solo antipatici, chissà. Stavolta lo passiamo senza fermarci: il gasolio lo compreremo da un altro.
17/2/2017 – Partiamo all’alba verso la la Mauritania, confidando in cuor nostro di poter passare le due frontiere in giornata e recuperare un po di tempo. La strada del West Sahara è completamente deserta, molto più che nelle numerose volte precedenti in cui siamo passati. Nessuna auto e rarissimi camion. Perfino i tradizionali e severissimi posti di blocco della polizia non esistono più se non nella rotonda da dove parte la deviazione per Dahkla. Durante il tragitto riflettiamo sul percorso da seguire. Inizialmente avevamo progettato di entrare in Senegal dalla pista di Diama per poi costeggiare il fiume verso sud-est fino a Kidira, quindi entrare in Mali a Diboli, passare da Kayes e raggiungere Bamako attraverso il percorso che attraversa Bafulabè e Kita. Questo tragitto era pensato soprattutto in funzione di percorrere la parte maliana più tranquilla ma, purtroppo, necessita del passaggio delle due frontiere senegalesi con notevole ed incerta perdita di tempo, il pagamento di 250 euro per la macchina che ha più di otto anni e i vari salatissimi “pizzi” che, di norma, occorre sborsare da quelle parti. Un senegalese conosciuto al porto di Tanger Med inoltre, ci disse che i “pizzi” sono aumentati negli ultimi tempi. Decidiamo pertanto di evitare il Senegal, imboccare la straconosciuta Route de l’Espoir a Nouakchott e deviare verso il Mali ad Ayoun el Atrous. Questo tragitto tuttavia un poco ci preoccupa per la sicurezza in Mali. La strada che dalla frontiera mauritana va a Bamako passando da Nioro du Sahel, Diema, Kolokani, ha visto nei tempi scorsi incursioni da nord-est di non ben definite “bande”, non è chiaro se di jihadisti o banditi comuni. Corre voce che chi ci passa deve essere in convoglio scortato dai militari. Comunque se ci sarà la scorta, saremo almeno tranquilli.
Una volta tanto siamo fortunati. Alla frontiera marocchina non c’è nessuno. Brutto segno, ma passiamo in fretta.
Entriamo nella “terra di nessuno” famosa per i loschi commerci che vi si svolgono e, non senza sorpresa, constatiamo che i marocchini hanno asfaltato il tratto di loro competenza, piazzando alla fine dell’asfalto una pattuglia militare armata fino ai denti. Subito dopo, su una modesta altura sulla destra, notiamo quattro grosse bandiere Sahrawi sventolare su alti pali, sotto ai quali sta una dozzina di guerriglieri armati di kalashnikov. Si respira una certa tensione, passiamo veloci.
Anche nella frontiera mauritana non c’è nessuno e rapidamente disbrighiamo le pratiche. I mauritani vogliono sapere che percorso faremo dicendoci che in questo modo tutte le pattuglie sulla strada saranno allertate del nostro passaggio e noi viaggeremo in sicurezza anche se, garantiscono, non ci sono problemi sul loro territorio. Meno male… pensiamo.
A sera inoltrata raggiungiamo Nouadhibou dove pernottiamo all’hotel Talis, semplice ma molto pulito per gli standard africani. Ci preparano per cena una ottima frittura di pesce che consumiamo in un salone dove assistiamo da uno schermo gigante con volume audio elevatissimo, ad una partita della Juventus che, per la cronaca, è squadra del cuore di Bruno, mentre Cristina simpatizza per il Toro.
18/2/2017 – In giornata raggiungiamo Nouakchott e quindi imbocchiamo la “Route de l’Espoir” fino ad Aleg. I villaggi del percorso sono sempre molto miseri. Ad Aleg dormiamo in una sorta di hotel del quale non ricordiamo il nome, nella miserevole zona sud della cittadina. Siamo soli nell’hotel dove siamo stati accolti da un ragazzo dall’aria non troppo sveglia che viene trattato molto male dalla padrona dell’albergo vestita in modo tradizionale e molto pomposo. Cristina ha avuto l’impressione che il ragazzo fosse schiavo dei padroni della struttura. La Mauritania ha abolito ufficialmente la schiavitù solo da pochi anni ma, è noto, di fatto nei luoghi più ancestrali è tuttora presente, specie nella forma di semi-schiavitù.
19/2/2017 – Partiamo alla volta di Ayoun el Atrous con molta prudenza poiché la strada è continuamente attraversata da animali singoli o in gruppo: asini, capre, zebù, dromedari. Numerosissime le carogne che stanno imputridendo lungo la strada investite dai vecchi camion Mercedes verdi, tipici di questa zona d’Africa. Aumentano anche significativamente i camion con guasti che vengono riparati sul ciglio della strada, specialmente per squarci alle gomme che consumatissime, paiono vecchie di secoli. Numerosissimi sono anche i posti di blocco della polizia che tuttavia sono sempre molto gentili e si accontentano di una “fiches de voyage” senza richieste da cadeau. Sempre ci richiedono la nazionalità, facendoci capire che sapevano del nostro transito, confermando dunque quanto dettoci alla frontiera. Ad uno di tali posti di blocco, un gendarme ci dice che dato che siamo italiani non c’è problema ad entrare in Mali, ma se fossimo stati francesi lo avrebbe caldamente sconsigliato. Stiamo freschi! abbiamo pensato. E se ci confondessero? In Mali è forse scattata la caccia al francese? Dopo Ayoun giriamo verso sud, imboccando una strada micidiale dove i resti dell’asfalto hanno creato degli scalini di 20 – 30 cm. Procediamo faticosissimamente a passo d’uomo zigzagando in continuazione, e arriviamo alla località di Kobenni, dove passiamo la notte in una stanza decente offertaci dall’ultimo benzinaio mauritano per una somma minima, dove riusciamo perfino a lavarci con una bottiglia d’acqua.
20/2/2017 – Passiamo rapidamente il posto di frontiera mauritano ed arriviamo a quello maliano. Qui tutto il personale in divisa porta il kalashnikov a tracolla; chi è addetto agli uffici, ha il mitra appoggiato alla scrivania. E’ palpabile che siamo entrati in un paese in guerra. Tuttavia sono tutti molto gentili e diventiamo una sorta di curiosità del luogo. Pensiamo che probabilmente, sono pochissimi gli europei che passano da questa frontiera in questi tempi. Le formalità cartacee si svolgono abbastanza rapidamente ma, quando devono rilasciarci il “pass avant” con un banale pc, si blocca tutto. La connessione è saltata e ci dicono che capita spesso; il fatto è che non si sa quando la connessione riprende.
Passano così due lunghissime ore che, è chiarissimo, ritarderanno il nostro arrivo a Bamako in serata, facendoci entrare in quella caoticissima città col buio. Chiediamo se il “pass avant” può essere fatto a mano, risposta: “Impossibile, non è previsto”. Finalmente dopo due ore viene stampato il benedetto documento e ci fanno partire. Di scorte militari e convogli neanche l’ombra. Ci dicono che la strada è sicura.
Partiamo a velocità sostenuta in parte per recuperare il tempo perduto e in parte per giungere nel minor tempo possibile almeno fino a Kolokani, nei 300 km circa di strada che, a nostro avviso, è potenzialmente la più pericolosa. Con un caldo infernale e un sole implacabile, percorriamo chilometri e chilometri senza incontrare alcun mezzo e anima viva. Nessuna presenza dell’esercito o della polizia. Pensiamo che quello è veramente il luogo ideale per un attacco banditesco. Chi li vedrebbe se arrivassero? Se vieni rapito su questa strada chi ti trova più? E’ evidentissimo che le forze maliane non controllano affatto il territorio. Quando siamo stati in Mali nel 2009, la cosa era molto diversa: molti posti di blocco e presenza della polizia ovunque. Ora il nulla assoluto. Comunque procediamo velocemente e tutto va bene ma, dopo Diema la strada diventa disastrosa. Buche simili a tombe squarciano la strada e guidiamo con grande difficoltà fino alla capitale. Arriviamo a Bamako col buio pesto e in periferia, veniamo letteralmente inghiottiti in un enorme ingorgo di vecchi camion che, sostanzialmente, impedisce di continuare. Non ci è chiaro il motivo di quella incredibile bolgia dove il gas di scarico nero di quei vecchi bestioni ci soffoca, il baccano dei clacson ci assorda e ognuno pensa a se nel tentativo di avanzare ad ogni costo. Ci intrufoliamo con Tatiana in mezzo a quei mostruosi giganti sfruttando ogni centimetro possibile per avanzare col rischio di essere schiacciati in continuo, quando fortunatamente riusciamo ad infilarci dietro ad una BMW nuova di zecca, probabilmente un notabile locale, che destreggiandosi tra i bestioni sembra conoscere la via d’uscita da quell’inferno. Lo seguiamo e in pochi minuti siamo fuori dal caos dei camion ma, naturalmente finiamo nel caos delle migliaia di motorette e automobili scassate e delle numerose pecore e capre che invadono la strada, molto poco visibili col buio.
A Bamako avevamo programmato di passare la notte in una situazione di un certo livello; dopo tanti giorni di fatiche e di docce non fatte o fatte malamente, volevamo concederci letto comodo, doccia calda e cena buona. Per tali necessità avevamo individuato l’hotel Villa Soudan che per raggiungerlo occorre attraversare il Niger sul ponte vecchio e poi deviare sulla destra. Il fatto è che il ponte vecchio lo troviamo chiuso per lavori e nel traffico micidiale in quella città di notte, ci abbiamo messo parecchio a riorientarci e a trovare l’albergo che è veramente di ottimo livello, dove hanno riaperto la cucina per farci la cena magari fosse molto tardi e dove abbiamo dormito divinamente dopo un’ottima e calda doccia. In questo hotel come in molti altri a Bamako, non si entra prima di minuzioso controllo col metal detector, ciò a causa dell’attentato ad un hotel frequentato da occidentali, di alcuni mesi or sono.
21/2/2017 – Ci alziamo al mattino presto e dalle grandi finestre della nostra stanza, ci appare un’immagine da cartolina. Il grande fiume Niger che scorre a pochissime decine di metri dall’albergo sembra un mare d’acqua con sfumature color rosa dovute ai raggi del sole da est. Alcune pinasse di pescatori lo solcano e si intravedono lontano gli uomini che dalle stesse tirano a bordo le reti. Sul bordo del fiume, tra l’acqua e il nostro hotel, ci sono delle persone che coltivano delle specie di orti. La suggestione è veramente forte ma ci viene una certa tristezza al pensiero della vita dura e forse grama di quegli uomini che pescano o coltivano per sopravvivere. Forte contrasto con l’albergo lussuosetto nel quale siamo ospiti, specie di gabbia dorata frequentata, ovviamente, solo da occidentali e dove gli africani non possono entrare se non ricchi o per fare gli inservienti. Siamo colpiti, ed è probabile che in futuro non alloggeremo più in un albergo così lussuoso in Africa.
Partiamo quindi decisi verso Sikasso per raggiungere il Burkina nel tempo più breve possibile. Prima di uscire da Bamako veniamo fermati due volte da persone interessate ad acquistare Tatiana, una addirittura un gendarme. Inoltre, le gomme Duratrac della Good Year sono particolarmente gradite ai maliani, probabilmente per la loro immagine di robustezza. Prima di uscire dal Mali, un gendarme di frontiera insiste molto per comprare l’auto, perfetta a suo dire per la “brousse”.Al nostro rifiuto gentile ma fermo, chiede di vendergli almeno le gomme che gli piacciono moltissimo. Ovviamente non se ne parla.
Usciamo rapidi dal Mali ed entriamo finalmente in Burkina. Qui siamo accolti da un anziano doganiere molto gentile e dall’aspetto del vecchio saggio. Vedendo i pacchi di viveri nel vano di carico di Tatiana, ci chiede cosa ne facciamo. Alla risposta che sono destinati ad un orfanotrofio a Bobo Dioulasso, scuote la testa e dice in francese che il popolo del Burkina fa troppi figli, purtroppo l’ignoranza è ancora grande nel suo povero Paese e tutti i tentativi per ridurre le nascite stanno fallendo, col risultato che gli orfanotrofi sono pieni. Comunque ci augura buona sorte e ci ringrazia a nome dei suoi compatrioti. Le parole del simpatico doganiere ci inorgogliscono un poco.
Sbrigate rapidamente le pratiche di frontiera, telefoniamo a Maurizia che ci da appuntamento in un vialone appena entrati a Bobo Dioulasso, sotto la statua di…. Gheddafi! Però, pensiamo, il defunto leader libico deve essere ancora molto popolare da queste parti. Ci incontriamo con Maurizia ed il marito Sambo dell’etnia dei Mossi e dopo gli abbracci e i saluti, osserviamo la statua del colonnello libico, molto alta, piazzata su un’ampia piattaforma dove, con tutta evidenza, avrebbe dovuto essere in compagnia di altra statua. Maurizia ci spiega infatti che accanto a Gheddafi, era presente la statua del presidente deposto Campaoré ma che dopo la sua cacciata, la statua venne rimossa. Gheddafi invece è tutt’ora amatissimo in Burkina e la sua morte, ha di molto aumentato l’ostilità delle genti del Burkina verso i francesi, a partire da Sambo che li detesta e ricorda favorevolmente le speranze dei tempi di Thomas Sankara.
Ci rechiamo quindi a casa di Maurizia dove saremo ospiti nei prossimi giorni e troviamo un’abitazione in stile africano ma in muratura, ristrutturata con gusto.
Quella sera decidiamo, faremo nei prossimi giorni vita “africana” a tutti gli effetti e ci trasferiremo anche qualche giorno in una casa nella “brousse”del marito di Maurizia che ci spiega lei, è un benestante impoveritosi. Decidiamo altresì per la stanchezza, di visitare solo Bobo Dioulasso e di riservarci di vedere le cascate di Banfora e la zona tribale del sud del Paese, al nostro ritorno nei prossimi mesi.
22/2/2017 – Alzatici tardi al mattino, andiamo a visitare l’orfanatrofio e a scaricare il carico di Tatiana. La struttura dell’orfanotrofio è carina e pulita. I bambini sono molto ben trattati e felici, accuditi da sei donne burkinabè sorridenti e simpatiche. L’orfanotrofio è finanziato dall’associazione francese “Sourires d’enfants” e Maurizia vi fa la direttrice occupandosi di contabilità, acquisti, riparazioni della struttura, ecc. Conosciamo altresì Sandrine, una simpatica francese di Tolosa che è la codirettrice ed è in Burkina a mesi alterni, la quale invece si occupa di rapporti con l’associazione francese e le autorità locali. L’ambiente è sereno, fa davvero piacere vedere bambini così sfortunati essere felici. Le adozioni sono abbastanza numerose e l’Italia è il Paese che adotta più bambini; gli ultimi sono andati ad una famiglia di Pisa e ad una di Roma. Ci ringraziano infinitamente dei viveri che abbiamo portato poiché in Burkina costano carissimi. Siamo contenti per il fatto che il nostro trasporto li renderà autosufficienti per alcuni mesi. Naturalmente, ci offrono tè e caffè. Stiamo quasi tutto il giorno nella struttura munita di WI FI e a chiacchierare con Maurizia e Sabrine che vuole sapere com’è la strada via terra dall’Europa poiché intenzionata, forse, a tentarla.
La sera conosciamo i vicini di Maurizia, una famiglia di etnia Mossi, con numerosissimi bei figli e figlie, soprattutto la bellissima Latifa di soli 15 anni, della quale pare sia fortemente innamorato Andrè, della stessa etnia e qui è considerato importante. Andrè è un ragazzo che fa il poliziotto ed è “figlio” di Maurizia il quale nei mesi scorsi ha contattato Cristina su facebook ed al quale abbiamo portato dei pantaloni e delle magliette, oltre ad un dopo-barba e un profumo. Maurizia, sua madre putativa, continua a sgridarlo per i suoi atteggiamenti un poco maschilisti nei confronti di Latifa. La vicina ci cucina un ottimo pesce di acqua dolce molto diffuso da queste parti; dalla forma assomiglia vagamente ai nostri cavedani ma ha una stranissima coda colorata a strisce marroni ed è molto saporito.
23/2/2017 – Visitiamo Bobo Dioulasso che è considerata la città più bella del Burkina Faso. In realtà è una classica città del Sahel, poverissima, con il 90% delle strade non asfaltate, piena di polvere, smog e case misere. Degne di nota sono la moschea di fango in stile sudanese, la seconda per dimensione dopo quella di Djennè in Mali, l’edificio della stazione ferroviaria e il mercato, veramente lussureggiante ed africanissimo. Maurizia ci accompagna ad un super mercato in stile occidentale, gestito da libanesi.
Scopriamo i cosiddetti “maqui” che sono una sorta di bar africani all’aperto dove si radunano a chiacchierare e soprattutto a bere, molti uomini locali. Vi si servono molte bevande analcoliche ma soprattutto anche scadentisssima birra locale e francese che i musulmani bevono senza alcun problema. Ci abbiamo trovato e bevuto persino la Guinness nera.
Una delle vicine di casa di Maurizia, la signora Ami, è proprietaria di ben due “maquis”. Questa signora è di etnia Peul, i cui membri sono considerati dei mezzi banditi dagli altri burkinabè, è assai particolare: ha una testa di capelli nerissimi e ricci, occhialini da intellettuale, uno charme e una gentilezza non comuni; soprattutto non è sposata e non ha figli, cosa molto rara per delle donne locali. Costei, molto presa dagli affari che sicuramente sa condurre al meglio, è disponibile a tenere Tatiana tutti i mesi che vogliamo, in un bel garage di sua proprietà, chiuso a chiave, per la somma di circa 30 euro al mese. Dato che la cifra è in linea con le richieste del mercato locale, lasceremo la macchina proprio da lei che comunque, è amica di Maurizia e ci esprime fiducia.
24/2/2017 – Partiamo per la “brousse” dove ha una casa Sango il marito di Maurizia. La località è un villaggetto nella savana chiamato Bana, a circa 25 km a nord-ovest di Bobo Dioulasso ed è raggiungibile con una pista che i nostri amici percorrono su una moto Yamaha e noi seguiamo con Tatiana. Prima della meta ci fermiamo in un luogo stupendo, “La Guinguinette”, dove una sorgente di acqua pura forma un piccolo fiume nel quale si può fare il bagno e tutto attorno, è sorta una vera giungla di giganteschi bambù, alberi di caritè, baobab e altri arbusti africani. Nella calura di circa 40 gradi, la frescura all’ombra dei giganteschi bambù è tonificante.
Arrivati a Bana, scopriamo questo piccolo villaggio poverissimo, abitato da gente completamente analfabeta dedita alla pastorizia, specialmente di capre e zebù; numerose sono pure le galline che razzolano tra le capanne. Le case sono tucul o misere abitazioni in muratura e fango. La casa di Sambo e Maurizia è una classica casa africana in muratura della “brousse”, alla quale hanno fatto fare il pavimento di ceramica africana e installato dei pannelli solari sul tetto da cui prendono la poca energia per una lampadina. Comunque, pur nella assoluta modestia della casa, è facile capire che gli altri abitanti del villaggio la considerano la casa di gente più ricca di loro. Maurizia ha alcune galline e un gallo che vivono bradi attorno alla casa ed è preoccupata per il fatto che non vede il gallo al quale è particolarmente affezionata. Verso sera, Sambo acchiappa uno dei suoi polli, lo sgozza e in un battibaleno lo spenna con l’acqua bollente e lo pulisce delle interiora. Successivamente Maurizia lo cucina alla burkinabè, cuocendolo in una salsa di pomodoro e altre verdure e numerose spezie: è ottimo, da leccarsi i baffi! La serata la trascorriamo chiacchierando alla luce delle nostre lampade frontali mentre dalle case vicine si vede il chiarore dei fuochi e ci giunge il profumo del fumo di legna secca che arde, in un clima ancestrale al massimo.
25/2/2017 – Al risveglio, arriva un bambino del villaggio con in mano il gallo di Maurizia morto ed in stato avanzato di putrefazione. Maurizia pur dispiaciuta, si consola dicendo che aveva capito che l’animale era malato e perciò se lo aspettava.
Riprendiamo quindi la pista per tornare a Bobo Dioulasso e, ad un certo punto, un grosso serpente verde con la testa alzata ci attraversa la strada senza che si faccia in tempo a fotografarlo. Non siamo in grado di dire di che serpente si trattasse.
Nel pomeriggio ci si prepara purtroppo alla partenza che avverrà alle ore 2,25 del mattino del 27 febbraio dall’aeroporto della capitale Ouagadougou distante circa 400 km da Bobo Dioulasso e pertanto, dovremo raggiungere la capitale con un autobus di linea della società TCV con partenza il 26 febbraio alle ore 14 e 6 ore di viaggio!
A casa di Maurizia ci mettiamo a fare il bucato e, con nostra sorpresa, Latifa e la sorella Mami ci bloccano e ci richiedono il permesso di lavare loro al nostro posto. Accettiamo volentieri e retribuiamo con 2000 franchi CFA che le due non vogliono accettare e con alcuni vestiti femminili che Cristina è orgogliosa di donare alle ragazze. Sono rapidissime nelle operazioni di lavaggio a mano e in men che non si dica, il nostro bucato è tutto steso e dopo un paio di ore completamente asciutto.
La sera ci sono i commiati e vengono tutti a salutarci, compreso Andrè il poliziotto innamorato di Latifa.
26/2/2017 – Tatiana la mettiamo nel garage della signora Ami, gli stacchiamo la batteria, consegniamo le chiavi a Maurizia e preghiamo Sambo di accenderla ogni 15-20 giorni. Salutiamo tutti con non poco dispiacere e andiamo a prendere l’autobus per Ouagadougou accompagnati da Maurizia con la sua vecchia Mercedes.
L’autobus è “africano” ma, francamente, pensavamo peggio; ha gli pneumatici in buono stato e perfino l’aria condizionata. L’autista ci propina nelle lunghe 6 ore e mezza di tragitto, musica africana di una bruttezza ricercata, oltre ad un film orribile in francese, tutto ad alto volume. A metà percorso, l’autobus si ferma nella località di Bonomo per 15 minuti. Qui, grazie alla fermata degli autobus, è fiorito un lussureggiante mercato africano. Appena scesi dall’autobus per la sosta, veniamo letteralmente assaltati da un’orda di ragazzini e ragazzine che vendono di tutto. Ce la caviamo comprando due pacchetti di arachidi che consumeremo durante il tragitto.
L’arrivo a Ouagadougou è alle ore 20,30 circa.
27/2/2017 – Siamo all’aeroporto internazionale di Ouagadougou, modesto e scarsamente organizzato. Una voce femminile dall’altoparlante gracchia parole in un francese improbabile con accento tribale e con un volume bassissimo. Non capiamo quasi nulla di cosa annuncia. L’aereo della Royal Air Maroc ha un’ora di ritardo e quindi parte alle ore 3,30 circa. Atterreremo a Casablanca e cambieremo per Milano Malpensa. A noi piace volare vedendo i panorami sottostanti, stavolta invece, solo buio e nuvole. Ma non importa, stiamo già pensando e progettando la prossima tappa.
Cristina e Bruno Riccardi