By Cristina e Alessandro Bignami
Originally Posted Wednesday, September 10, 2003
Dedicato a Sabrina e a suo figlio…
Che il vostro viaggio possa proseguire al meglio.
TUNISIA IN MOTO 2003
23/08/2003: MILANO – GENOVA PORTO (Km 165)
Per una volta la sveglia non è alle 4 ma alle 7 poiché la nave parte da Genova alle 13.00. Fatta colazione, chiusa la casa, eccoci in moto. La strada è poco trafficata, perciò, nonostante l’andatura tranquilla, alle 9,45 siamo in porto già pronti ad affrontare un’ora di ricerche della nave (come l’anno precedente). Stavolta, invece, grandi cartelli segnalano l’imbarco e in soli 10 minuti siamo davanti agli uffici per il check in.
Sbrigate le formalità in un’ora, ci danno l’OK per l’imbarco e, parcheggiata la moto nei box, prendiamo posto a bordo. (NOTA: sulla GNV le moto vengono ancorate dal personale di bordo, tuttavia è opportuno portare con sé una corda per ogni evenienza).
La nave è confortevole e mezza vuota: condizioni ideali per godere la traversata di 22 ore e mezza.
24/08/2003: La Goulette – Tunisi (Km 16)
Alle 11 approdiamo nel porto di Tunisi. Una volta scesi dal traghetto in mezz’ora sbrighiamo le formalità doganali (sulla COTUNAV credo che siano eseguibili a bordo): le nostre previsioni di affrontare un girone dantesco per fortuna non si realizzano. Sempre al porto cambiamo gli Euro in Dinari (sono aperti anche la domenica). NOTA: conservate la ricevuta, potrebbe venirvi richiesta se desideraste riconvertire i dinari avanzati a fine viaggio per dimostrare che non li avete cambiati al mercato nero. In ogni caso è meglio arrivare a fine vacanza, come siamo riusciti a fare noi, senza valuta locale.
Imbocchiamo lo stradone che da La Goulette conduce a Tunisi. Procedendo sempre dritto (il viale in città prende il nome di Avenue Habib Bourguiba e poi di Avenue de France) si arriva alla porta principale della medina:la Bab Bahr. Decidiamo di sostare all’Hotel Marhaba (12 dinari a notte per due persone -senza bagno in camera-, 1 dinaro la doccia calda). Le camere sono piccole, ma pulite ed i bagni vengono puliti abbastanza spesso. Ovviamente siamo i soli europei in zona!
Depositati i bagagli, piazziamo la moto in un angolino davanti all’albergo e ci riposiamo fino alle 16 per sfuggire al caldo terrificante.
Dopo la “pennichella” visitiamo la medina che però, essendo domenica, risulta pressoché deserta e con i negozi chiusi. In Tunisia, infatti, nonostante il credo islamico che imporrebbe il venerdì come giorno di riposo, quasi tutte le attività restano chiuse la domenica, probabilmente per “sincronizzare” gli scambi di affari con buona parte del resto del mondo. Durante la passeggiata incontriamo un ragazzo che ci porta nel negozio di un amico dove possiamo salire su una terrazza da cui si gode una bella vista della città, ma dove “subiamo” il primo tentativo di “vendita del tappeto” del viaggio.
Dopo esserci abilmente e gentilmente “sganciati”, ci portiamo in avenue de France (quella da cui si arriva provenendo dal porto) per ammirare i locali alla moda e la vita della città più moderna della Tunisia. La costante di tutto il viaggio sarà la fedele bottiglia d’acqua che tutti i tunisini, e noi più di loro, recano con sé per sopravvivere al rischio di disidratazione. NOTA: in certi giorni abbiamo consumato 12/14 litri di acqua in due senza contare la frutta e la verdura mangiate durante i pasti. Si può restare senza qualsiasi cosa ma NON senza acqua!!!
Passeggiando, selezioniamo il ristorante della “prima cena tunisina”. La scelta ricade sul ristorante “Carcassonne” che offre un menù di quattro portate ad un prezzo accettabile (10 dinari in due).
Dopo cena, parcheggiamo la moto nella reception del vicino albergo “Medina” che, essendo di forma quadrata, è più grande di quella del nostro (i gestori dei due alberghi si conoscono e si scambiano piccoli piaceri). Dopo la doccia, stramazziamo a letto.
25/08/2003: TOUR della Penisola di Cap Bon (km 287)
Seconda sveglia alle 7: la prima si è verificata alle 4,15 quando il Muezzin, dall’alto del suo minareto sito a 20 metri dall’albergo, ci ha fatto venire un infarto. Il cielo è coperto: il lato positivo è che non si schiatta di caldo… per la prima ora, ma quello negativo risiede nel fatto che percorrere 300 km sotto l’acqua può non essere gradevole. Fatta la spesa al “Monoprix” vicino all’albergo ci dirigiamo verso Hammam Lif e da lì deviamo verso Nabeul. Scopriamo che, nonostante il cielo coperto, fa caldo ugualmente: si impone perciò una pausa in questa cittadina ricca di lussuosi hotels che guardano tutti… la spazzatura. In effetti, oltre alla bottiglia d’acqua, l’altra costante del viaggio sarà rappresentata dai rifiuti disseminati ovunque: in spiagge, strade, campi…
Proseguiamo per Korbe che vanta delle paludi dove sostano oziosi i fenicotteri e altri uccelli palustri.
A Kelibia le nuvole si dileguano consentendoci di ammirare al meglio la splendida spiaggia bianca (miracolosamente pulita) ed il mare cristallino dalle splendide tonalità. Su tutto domina un forte antico.
Il caldo è opprimente: pranziamo all’ombra per rigenerarci un po’.
Proseguiamo per El Haouaria (che significa “l’aria nei polmoni”). L’attrattiva principale è costituita dallo splendido panorama offerto dalle scogliere che digradano sul mare e dalle cave sotterranee di arenaria sfruttate dai Fenici i quali, attraverso il lavoro degli schiavi (che non vedevano mai la luce), ricavavano i blocchi che venivano trasportati a Cartagine via mare (80 km).
Visitate le cave riprendiamo la moto e, con calma, seguendo la strada panoramica lungo la costa, rientriamo verso Tunisi.
Nell’ora di punta, il traffico di Tunisi, fa rassomigliare quello di Milano a quello di un paesino di campagna. Raggiunto l’albergo, depositiamo la moto e ceniamo nel ristorante “Abid” con couscous, harissa, olive e thè alla menta.
Dopo una breve passeggiata, doccia e letto!
26/08/2003: TUNISI
Troppo stanchi per sentire il Muezzin ci svegliamo verso le 7. Togliamo la moto dalla reception dell’hotel Medina, la sistemiamo davanti al nostro e ci dedichiamo al rito dell’acquisto dell’acqua e delle provviste per la giornata.
Dopo la colazione ci rechiamo in Place de Barcellone dove compriamo i biglietti per il Tram Léger (una specie di metropolitana di superficie) che in meno di mezz’ora ci porta nei pressi del Museo del Bardo. L’uso del mezzo pubblico a Tunisi è altamente consigliato: è economico (circa 33 centesimi di Euro a biglietto) e pratico (si evita il traffico sempre intenso e disordinato).
Il palazzo sede del museo un tempo era la residenza reale, rappresenta perciò un bell’esempio di architettura islamica. Conserva i magnifici e rari mosaici punici (più ingenui di quelli romani), quelli romani (grandiosi e naturalistici) e gioielli punici di pregevole fattura. La visita dura 3 ore. Non essendo il palazzo climatizzato, il caldo è notevole. È opportuno essere in loco all’orario di apertura (h.9) (anche per evitare l’orda dei turisti del turismo organizzato che arrivano a centinaia su pullman climatizzati) e compiere la visita partendo dall’ultimo piano così da vederlo prima che diventi un forno.
Fatta l’ormai classica “pennichella”, alle 17 ci addentriamo nella medina che, essendo oggi un giorno feriale, brulica di vita. Ceniamo ancora al ristorante Abid, optando per il pesce. Dopo il solito spostamento della moto, facciamo la doccia e piombiamo nel mondo dei sogni.
27/08/2003: Tunisi – Kairouan – El Jem – Sfax (km 330)
L’obiettivo di oggi consiste nell’arrivare a Sfax passando per Kairouan ed El Jem. A causa di un grave incidente sul raccordo autostradale, si crea un fastidioso ingorgo, superato il quale, imbocchiamo l’autostrada verso Sousse percorrendola fino a Enfida. Per fortuna su questa arteria il traffico è quasi inesistente ma bisogna rispettare i limiti di velocità (110 km/h) perché i telelaser non mancano e neanche i tunisini che attraversano a piedi l’autostrada come se si trattasse di una viuzza di città.
Arrivati a Kairouan veniamo subito accalappiati da un tizio in motorino che asserisce e, dimostrerà in seguito, di essere una guida. Tentiamo uno sgancio tattico -del resto vogliamo solo vedere la Grande Moschea- ma la manovra non riesce: il “tipo” ci porta per i vicoli della medina (una vera goduria con la moto carica che è larga 1,20 metri mentre i vicoli sono larghi 1,40) fino ad un negozio di tappeti vicino alla Moschea delle Tre Porte. Lì possiamo lasciare la moto, le borse ed i caschi e, anche se già immaginiamo il seguente tentativo di vendita di tappeti, siamo lieti di scaricarci un po’.
La guida ci fa strada attraverso le botteghe e le case della medina dove, a causa della temperatura elevata, si lavora dalle 5 fino a mezzogiorno. Vediamo la Moschea delle Tre Porte, il Bir Barouta (pozzo da cui, sfruttando il lavoro di un dromedario, viene estratta l’acqua santa), i Souq e alcuni negozi dove gli uomini lavorano al telaio a pedali. Il giro si conclude al negozio di tappeti dove, ovviamente, siamo coinvolti nello spettacolo della vendita. Si tratta di un vero e proprio show dove vengono mostrati tappeti in lana di dromedario, in seta (con 250.000 nodi al metro quadrato), in cachemir. Sono uno più bello dell’altro, ma a noi non servono, perciò, dopo estenuanti fatiche, riusciamo a convincere i venditori che siamo certi del pregio dei pezzi mostratici, ma che a casa nostra sarebbero sprecati.
A questo punto iniziamo i saluti. Per compensare la gentilezza e le bibite che ci hanno offerto, lasciamo qualche maglietta e qualche piccolo profumo per le signore dei venditori. Per far contento un ragazzino che si trova lì in negozio, lo porto a fare un giro in moto: naturalmente passiamo ad incontrare i suoi amici sia nella medina che nella città nuova dove abita.
Cristina, intanto, scopre che il signore più dimesso del negozio è il proprietario, mentre il ragazzino che sto portando in giro è suo figlio; viene omaggiata di due paia di ciabatte in pelle di capra e onorata con un invito a pranzo. Al mio rientro accettiamo volentieri l’invito e, dopo aver pagato la guida 10 dinari (circa 7 euro) che, secondo noi non meritava, Kamel (il figlio del negoziante), ci accompagna alla Grande Moschea.
Il prezzo del biglietto di ingresso non è tra i più economici (include altri monumenti che, a causa del poco tempo a disposizione, non potremo vedere) ma lo spettacolo ripaga del sacrificio: l’edificio, del IX secolo, vanta dei colonnati di riuso le cui colonne provengono da siti romani e bizantini, mentre la zona di preghiera (visibile ma non visitabile) è caratterizzata da un altare piastrellato con rare mattonelle irachene. Rientriamo in negozio e, dopo aver assistito all’acquisto di un tappeto da parte di una famiglia spagnola, seguiamo Nourriddine (il proprietario) e Kamel fino a casa loro. Si tratta di un edificio su due piani, tutto piastrellato e ben tenuto, dove Saida (la moglie di Nourriddine) ci accoglie insieme alle altre due figlie. L’ospitalità è eccezionale: pranziamo con couscous al pollo, montone grigliato, insalata tunisina, patatine, acqua, coca cola e, per finire, anguria e uva.
Dopo pranzo scattiamo qualche foto, poi Kamel mi mostra il suo computer (Windows 98 in arabo è uno spettacolo incredibile) mentre Saida ci mostra l’album di famiglia.
Dopo i saluti e i ringraziamenti, rientriamo nella medina dove Nourriddine ci mostra il Café che ha comprato e che sta finendo di ristrutturare: è un locale da mille e una notte, tutto piastrellato con maioliche molto belle, su due piani, con la terrazza e una bellissima cupola. Sarà inaugurato l’anno prossimo e si chiamerà “Café Berbère” Se a qualcuno capiterà di essere da quelle parti, nel Souq dei calzolai, il locale meriterà sicuramente una sosta.
Congedatici da Nourriddine e Kamel, partiamo alla volta di El Jem: il sole ci arrostisce e arriviamo al famoso anfiteatro un po’ cotti… nel senso letterale della parola.
In cambio di un giro sulla moto un ragazzo ci custodisce la stessa e i bagagli mentre ammiriamo il maestoso anfiteatro. Esso vale una sosta ma, non una tappa, quindi, proseguiamo per Sfax.
E’ una cittadina economicamente molto attiva e poco turistica, ma la medina e le sue mura sono antiche (IX secolo) perciò meritano una passeggiata. Noi ci andiamo dopo aver preso una camera all’Hotel de la Paix e dopo aver fatto rifornimento d’acqua al vicino Monoprix. Ceniamo con un pollo arrosto e le immancabili verdure in un “micro” locale (gargotte), poi, stremati, filiamo a letto.
Nota: all’Hotel de la Paix la camera senza bagno costa 16 dinari, e i bagni comuni non sono eccezionali. Forse arrivando prima e riuscendo a trovare una camera con bagno, l’hotel si potrebbe considerare “buono”.
28/08/2003: Sfax – Ksar Hallouf (Km 280)
Sveglia alle 4,30 (meno male che siamo in vacanza!) e, dopo aver eseguito il rito del “carico della moto” siamo in viaggio. La levataccia si impone perché andando verso sud il caldo aumenta. Le distese di ulivi nei dintorni di Gabes lasciano spazio a paesaggi tipicamente predesertici.
Verso le 9,30 siamo a Medenine dove ci concediamo 5 minuti di sosta per bere, riposare il fondoschiena e dare un’ occhiata alla cartina: trovare Ksar Hallouf richiede un briciolo di attenzione (NOTA: la strada da Medenine è più lunga ma in buone condizioni; un’altra opportunità è offerta dalla deviazione che si trova tra Gabes e Medenine, sulla destra: è una strada diretta che sulla cartina è data come sterrata. Noi, essendo a pieno carico non ci siamo fidati a percorrerla ma ci è stato riferito da gente locale che è percorribile. NOTA 2: nel Dahar i rifornimenti di benzina si possono effettuare solo a Medenine, Tataouine, Gabes, e sulla strada statale. Se si passa da Medenine vale la pena fare il pieno lì, se si sceglie la strada diretta si deve aver già pensato al rifornimento.
Ripartiamo e puntiamo su Beni Kheddache. Una volta qui si trova un bivio con l’indicazione per Ksar Ghilane (sx) e Ksar Hallouf (cancellata): si deve prendere a destra.
La strada ricomincia ad arrampicarsi e, siccome non si trovano più indicazioni, seguiamo quello che consiglia il Lonely Planet: ad entrambi i bivii si deve andare a destra. (Nota: il secondo è posto subito dopo la caserma militare che si incontra in un paesino senza nome evidente). Dopo il secondo bivio la strada è sterrata (ma facilissima): dopo 3 o 4 km si arriva a Ksar Hallouf.
Noi abbiamo deciso di dormire nello Ksar che è stato in parte ristrutturato e adibito ad albergo e quindi seguiamo l’indicazione per il Relais Touristique (gli ultimi 200 metri sono in verticale!).
Questo Ksar è vecchio di 6 secoli: l’atmosfera è intrigante e, ancor più, lo è l’idea di stare qui un paio di notti.
Siamo gli unici ospiti ed il ragazzino che ci accoglie ci fa vedere subito un antico frantoio per le olive, un falcone in cattività (che si lascia toccare e fotografare) e una cucciolata di cagnolini di pochi giorni.
Scegliamo una “camera”, cioè una Ghorfa dove fino a 18 anni fa si tenevano il grano e l’olio .
Nel frattempo arrivano 4 o 5 fuoristrada dei tour operator carichi di turisti vocianti che entrano ovunque (camera nostra compresa), ci danno dei pazzi (per essere soli in Tunisia in moto) mentre una guida cerca di portarsi via anche Cristina credendo che appartenga al suo gruppo: no comment!
Sparita la “bolgia turistica” torna la tranquillità. Cristina fa il bucato (che dopo 1 ora e mezza di sole diventa “croccante”) e io conosco il gestore dell’albergo: si chiama Faouzi, ha 26 anni, parla un ottimo francese e un po’ di italiano. Trascorriamo un po’ di tempo con lui e cerchiamo di organizzare una gita a Ksar Ghilane con un fuoristrada (la moto pesa troppo per la sabbia) ma dobbiamo abbandonare l’idea per il costo eccessivo. Pazienza, il deserto lo vedremo da Douz.
Ci ritiriamo per una “pennichella” pomeridiana (ormai siamo intorno ai 50 °C) e, incredibile ma vero, dentro alla ghorfa non si suda.
Io mi devo arrendere al fatto che ho preso il raffreddore (unico “ginone” che prende il raffreddore con 50° ma, probabilmente, l’ho preso in nave dove, di gradi, ce n’erano 19!!): sono fuori combattimento. Dopo una bella dormita e una doccia facciamo due passi con Fauzi fino al picco che domina lo Ksar dove un tempo il marabu (il saggio del villaggio) aveva la sua casa. Strada facendo conversiamo al fine di effettuare uno scambio culturale attraverso il paragone delle reciproche tradizioni: lo scambio sarà decisamente proficuo sia in questa che in altre occasioni. (NOTA: il Lonely dà la doccia come fredda e, d’inverno, la notizia sarà certamente esatta; d’estate, poiché i tubi sono esposti al sole, dalle 13 alle 17 è impossibile stare sotto il getto, dalle 18 in poi ci si può stare).
Ceniamo all’aperto scoprendo che Fauzi cucina molto bene e in modo non troppo piccante (cosa rara in Tunisia). Chiudiamo il pasto con del thé al rosmarino (qui la menta non cresce) e, mentre ammiriamo il cielo trapunto di stelle, veniamo intrattenuti dalle melodie del flauto berbero (un tubo di metallo) di Fauzi.
Andiamo a letto presto perché domattina vogliamo alzarci alle 5 per affrontare il giro del Jebel Dahar e vedere gli Ksour più belli.
(Nota: a Ksar Hallouf l’albergo con mezza pensione (colazione e cena) costa 15 dinari a persona).
29/08/2003: Jebel Dahar (Ksar Hallouf – Chenini – Douiret – Ksar Ouled Soltane – Ksar Hallouf) (km 220)
Alle 5 siamo svegli, le zanzare di Ksar Hallouf hanno letteralmente sbranato Cristina (circa 150 punture) prima che potessimo renderci conto di cosa stava accadendo, per fortuna l’“Autan Barriera” (quello forte) nelle notti successive riuscirà a contenere gli attacchi.
(NOTA: Questi insetti sono microscopici e non sono immediatamente visibili; quando si è al buio in camera, però, si sentono. In estate, qui, vale la pena di cospargersi di Autan. Noi siamo stati colti di sorpresa perché ci sembrava impossibile che gli insetti sopravvivessero a questa aridità).
Poco dopo le 6 siamo già in viaggio per Chenini. Il paesaggio lunare è di grande effetto. Date le varie soste per ammirare il panorama e la velocità moderata per il tipo di strada tutta curve, arriviamo a Chenini per le 8,30. Una guida –Abdoul- ci accompagna per il villaggio (che è abbarbicato alle montagne) mostrandoci i dettagli che in un giro “autonomo” non avremmo potuto notare: le porte di palma, le incisioni graffite nei soffitti, le giare contenenti le provviste più grandi delle porte (efficace sistema antifurto: costruivano la base della casa, ci piazzavano le giare e poi edificavano i restanti muri “ritagliando” una porta più piccola delle giare!). Abdul ci spiega che solo da 3 anni in paese godono della luce elettrica, che l’acqua si prende al pozzo del villaggio se si è fortunati mentre, in caso contrario, ci si deve recare all’oasi sita a 5 km di distanza. Ci mostra la scuola e l’infermeria dove, due volte alla settimana, c’è un medico (una volta generico e una volta uno specialista in pediatria/ginecologia).
I bambini sono tantissimi e ci chiedono di tutto, distribuiamo quello che abbiamo (caramelle e penne) cercando di farne contenti il maggior numero possibile.
Terminata la visita, torniamo a riprendere la moto e lì facciamo conoscenza con un ragazzino sordomuto che è affascinato dal nostro mezzo. Gli propongo di essere immortalato in una foto (che gli spediremo) che lo ritrae a bordo del veicolo e lui, in segno di ringraziamento, ci regala due rose del deserto.
Colpiti dalla generosità di queste persone poverissime ma che condividono volentieri quel poco che hanno, proseguiamo il nostro giro passando tra dune rocciose e paesaggi spettacolari arrivando a Douiret. Il paese, parzialmente abbandonato, è molto simile a Chenini e, quindi, ci fermiamo solo il tempo necessario per scattare un paio di foto. È una giornata decisamente torrida: contrariamente al solito, alle 10 è già impossibile stare al sole! Proseguiamo verso Tataouine e da qui verso Ksar Ouled Soltane dove c’è uno Ksar bellissmo le cui ghorfe, caso unico, sono disposte su 4 piani.
Qui ci riposiamo un po’ e, dopo le foto di rito e quattro chiacchiere con dei ragazzi del posto, iniziamo il rientro. Fino a Tataouine, dove bisogna fare rifornimento di benzina e, soprattutto, di acqua va tutto abbastanza bene, ma i 63 km che ci separano da Ksar Hallouf si rivelano un inferno rovente. In seguito scopriremo che quel giorno a Kairouan (350 km più a Nord) si sono toccati i 52 gradi all’ombra per cui stimiamo che durante il nostro tragitto al sole abbiamo superato i 60°C (purtroppo, o per fortuna, non abbiamo un termometro con noi). Il serbatoio della moto, diventato una piastra elettrica, mi provoca un arrossamento nell’interno coscia nonostante i jeans. Dopo 50 Km dobbiamo fermarci (nel primo posto all’ombra) per reidratarci: rischiamo un collasso da calore. La sosta ci consente di riprenderci quanto basta per affrontare gli ultimi 13 km.
Dopo un tentativo di doccia (quasi impossibile perché con l’acqua si potrebbero cucinare gli spaghetti), passiamo il pomeriggio a dormire e a fare i bucati.
Verso le 18 usciamo dalla nostra tana e scopriamo che una famiglia toscana, arrivata con una macchina a noleggio, ha deciso di trascorrere la notte nel nostro ksar.
Dopo le presentazioni iniziamo a scambiarci le rispettive impressioni di viaggio e trascorriamo la cena raccontandoci le avventure dei viaggi fatti in passato. La sera è calda e questo, in aggiunta all’ottima compagnia, invita a ritardare l’ora del rientro in camera alle 23.
30/08/2003: Ksar Hallouf
Giornata interamente dedicata al riposo; abbiamo deciso in questo senso poiché il mio raffreddore, combinato con il caldo del giorno precedente, mi ha veramente stroncato; essendo l’unico che guida la moto, è meglio che recuperi un po’ di energie.
La mattina scorre tranquilla: salutiamo la famiglia toscana (previo scambio di numeri di cellulare) e ci dedichiamo alla lettura. A pranzo siamo ospiti di Fauzi con cui chiacchieriamo di mille argomenti. Il pomeriggio vola con una bella dormita e la sera con un’altra cena sotto le stelle.
31/008/2003: Ksar Hallouf – Matmata – Douz (km 163)
Alle 4 siamo in piedi; dopo la colazione carichiamo la moto e alle 4,40 siamo già in viaggio. Raggiunta la strada statale scopriamo che dopo una quindicina di km la strada diventa sterrata restandolo per un tratto di circa 40 km. Probabilmente l’anno prossimo sarà tutta asfaltata in quanto lungo tutto il tragitto i lavori di preparazione per la posa dell’asfalto sono a buon punto.
Nonostante i 450 kg della moto a pieno carico (noi inclusi, ovviamente), il percorso non è impossibile, soprattutto perché, essendo domenica, le macchine movimento terra sono ferme. L’unica cosa a cui bisogna prestare attenzione sono i tratti sabbiosi in cui le cose si complicano un po’.
Ci godiamo l’alba dall’alto delle montagne (lo spettacolo ripaga di molte fatiche) e, dopo un paio d’ore, giungiamo ben impolverati a Matmata.
La prima impressione è deludente: si vedono solo alberghi, qualche fuoristrada del turismo organizzato e le case (normali) degli abitanti. Dove sono le case trogloditiche?
Il problema dell’individuazione è dato dal fatto che le magioni, essendo scavate nel terreno, non sono visibili dalla superficie. Girovaghiamo un po’ e, seguendo l’indicazione per l’Hotel “Berbères”, troviamo sulla sinistra un cartello piccolissimo che cita “Maison trogloditique, soyez les bienvenus”. Lasciamo la moto e ci avviamo per il sentierino. Incontriamo una signora berbera che ci dice che la casa è sua e ce la mostra subito.
Scopriamo che la signora Fatima è una berbera “vera”, segue cioè la tradizione matriarcale. In effetti la casa (del 711) l’ha ereditata dalle sue antenate.
Fatima parla un buon francese e così la conversazione è facile. Mentre chiacchieriamo ci immette nei locali della casa: stalla, magazzino, forno interrato, camere, locale per la preghiera. Infine approdiamo in cucina dove, gran lusso, c’è un frigorifero che, a onor del vero, è un po’ “scalcagnato” ma da queste parti è di enorme utilità e, soprattutto, Fatima lo condivide con le vicine che, meno fortunate, non ne posseggono uno.
Visitata la casa, Fatima ci offre il pane che ha preparato il giorno precedente, l’olio in cui intingerlo (una eccellente “spremitura a freddo”) e il thé alla menta. Ci spiega che lì, musulmani ed ebrei hanno sempre convissuto serenamente e pacificamente, fronteggiando insieme le difficoltà derivanti da una vita condotta in luoghi in cui il clima è decisamente ostile. Dopo la “colazione” ci viene mostrato come si prepara la farina per fare il couscous. Diciamo solo che non è un’attività riposante: la macina è pesantissima!!!!
Lasciamo qualche ricordo e qualche soldo per questa signora, la cui dolcezza e ospitalità hanno illuminato la nostra giornata, e ripartiamo alla volta di Douz.
Appena usciti da Matmata scopriamo che molte case trogloditiche sono sparse lungo i primi 8-10 km della strada che porta a Tamerzet ma sono state trasformate in negozi di souvenir i cui inconvenienti sono ben noti.
Dopo Tamerzet inizia un tratto di un’ottantina di km di deserto: è uno spettacolo meraviglioso, di pace assoluta.
La strada è in buone condizioni ma non vale la pena “spingere” perché qualche curva c’è, il brecciolino (a volte abbondante) è in agguato, i dromedari possono attraversare la carreggiata e, in ogni caso, farsi questo tratto a 70-80 km/h consente di godersi al massimo il panorama. Ignoriamo la pista per Ksar Ghilane poiché l’autonomia non ci consentirebbe di arrivare a Douz. Dopo qualche chilometro incrociamo un cartello che avvisa del possibile passaggio di dromedari e, infatti, quasi subito li vediamo che brucano a lato della strada; decido di ripetere il tentativo di fotografarli, visto che l’anno scorso è stato impossibile avvicinarsi a meno di 300 metri (risultato: dromedari di mezzo millimetro al centro della foto). Quest’anno è andata un po’ meglio ma non troppo: il vento sfavorevole e l’indole sospettosa di questi animali mi costringono ad un piccolo inseguimento, presto abbandonato a causa della sabbia e del sole. Il risultato fotografico, comunque, è sicuramente migliore del precedente.
Riprendiamo la moto e in breve arriviamo a Douz dove prendiamo una camera all’Hotel “20 Marzo”. (NOTA: da Tataouine dove avevo fatto il pieno a Douz (circa 230 km) abbiamo usato circa 13 litri di benzina ma, ripeto, con andatura tranquilla).
Questo albergo è stato rinnovato completamente tra giugno e luglio. Le camere con bagno (ma anche quelle senza), sono ordinate e pulite. Ci viene fornito un piccolo ventilatore rumoroso, ma efficace per muovere l’aria: che lusso!!!! La moto viene parcheggiata in cortile sotto un ibisco e il gelsomino profumato: bisogna però avere un po’ di malizia per superare i tre gradini d’ingresso perché la prima volta non posso sapere se rischio di “toccare” con la coppa dell’olio.
Sistemati i bagagli, mandiamo un messaggio alla famiglia di toscani incontrata qualche giorno prima per avvisarli del fatto che l’albergo è molto bello. Dopo un paio d’ore, anche loro sono lì.
Verso le 16, quando il sole inizia a calare, andiamo a vedere il palmeto che conta 400.000 palme. La natura rigogliosa contrasta in pieno con l’aridità delle aree circostanti. In particolare, l’acqua che sgorga dalle varie sorgenti è quasi commovente.
Per cena ci incontriamo con i nostri amici e ceniamo al ristorante “La Rosa”, modesto, pulito e “affidabile” nel lavaggio delle verdure come scopriremo l’indomani quando conosceremo una dottoressa francese che va a Douz da 10 anni più volte all’anno e che, quindi, conosce molte persone tra cui il gestore di questo ristorante.
Dopo cena il solito copione: doccia e coma!
(NOTA: la camera doppia con bagno costa 20 Dinari)
01/09/2003 Douz – Blidet – El Faouar – Es Sabria – Douz (km 135)
Sveglia alle 6 e, dopo la colazione preparata con MOLTA calma dal gestore, in sella alla nostra moto puntiamo su Zaafrane. Lungo il percorso troviamo la deviazione per Blidet e poi quella per Douirette dove possiamo vedere le primissime propaggini del Chott El Jerid. Ritorniamo sui nostri passi e seguiamo la strada asfaltata che ci porta in un largo cerchio verso El Faouar. Lungo il percorso possiamo ammirare le dune bianche e le enormi distese completamente piatte che fanno loro da contraltare: uno spettacolo magnifico.
Qualche km dopo El Faouar troviamo la deviazione per Es Sabria, dove si possono ammirare meglio le dune.
Es Sabria è divisa in est e ovest (rispettivamente a sinistra e a destra all’incrocio della scuola), noi prendiamo a est perché ci dicono che c’è un fortino.
Un ragazzo del posto (Toufik) ci aiuta a liberarci dei bambini che sono tantissimi e abbastanza aggressivi (qualcuno cercherà di sfilare la fede nunziale dal dito di Cristina, qualcun altro, mentre cerchiamo di chiedere informazioni, prova ad assaltare l’acceleratore della moto col rischio di farsi male (e noi anche)). Toufik ci consiglia di lasciare la moto nel cortile di una casa perché la strada che arriva al fortino è piena di sabbia: rischieremmo di cadere.
Seguiamo il valido suggerimento e percorriamo 1,5 km sotto un sole da fondere il metallo per arrivare al forte francese. La costruzione risale alla seconda guerra mondiale, ma attualmente è adibito a café.
Mentre rientriamo, Toufik ci invita a pranzo da lui e così, recuperata la moto, ci rechiamo a casa sua dove veniamo accolti dalla sua famiglia e fatti accomodare in una stanza con il ventilatore. Mentre aspettiamo di mangiare, Toufik invita dei suoi amici uno dei quali parla anche un buon francese.
La conversazione non langue: gli scambi di opinione abbondano e il tempo vola. Nel primo pomeriggio facciamo una passeggiata nel palmeto che vanta l’unica varietà di palme della Tunisia i cui datteri maturano ad agosto (normalmente invece, la raccolta avviene a Novembre). Omar (uno degli amici di Toufik) raccoglie dalla sua palma dei datteri per noi: io, che detesto i datteri essiccati, ho invece apprezzato i frutti freschi, che si sciolgono in bocca.
Salutata l’allegra brigata rientriamo a Douz, ci riposiamo un po’ e dopo la cena al ristorante “Les Palmiers” ci ritiriamo.
(NOTA: il proprietario del ristorante “La Rosa” è lo stesso di questo e quindi per “Les Palmiers” valgono le considerazioni)
02/09/2003 DOUZ – TOZEUR (km 120)
Il rito della partenza è sempre identico: sveglia, colazione, carico moto e partenza.
I primi km si snodano in centri che dispongono di sorgenti d’acqua e dunque di un palmeto, poi il paesaggio inaridisce, ma ad un tratto scorgiamo una piccola palude (incredibile vederne una da queste parti) nella quale trovano riparo e nutrimento delle cicogne. Ci godiamo lo spettacolo e dopo pochi km eccoci nel Chott El Jerid. È un’immensa distesa che dovrebbe essere bianca come la neve a causa del sale (nelle diapositive di amici così l’abbiamo vista) ma che attualmente, forse a causa delle scarse piogge dell’anno, è terrosa con con qualche sedimento salino che produce delle striature. Lo spettacolo, comunque, non ne risente e dopo qualche altro chilometro incontriamo le saline vere e proprie.
La traversata procede tranquilla e in breve arriviamo a Tozeur.
Prendiamo posto all’Hotel Niffer, centrale, economico, pulito. In ogni caso consigliamo le camere che danno sull’interno perché la piazza, molto trafficata, è rumorosa.
Qui la moto resta in strada, ma la polizia è presente 24 ore su 24 e quindi non ci sono problemi.
Tozeur vale la pena di essere visitata per il quartiere vecchio (Ouled El Hadef) fondato nel XIV secolo dall’omonimo clan famigliare, arricchitosi grazie ai traffici carovanieri. Mettendo i mattoni più o meno sporgenti dal muro si originano delle decorazioni murarie, che creano dei disegni che forniscono anche delle indicazioni (suggeriscono ad esempio che nel quartiere si incontreranno 3 moschee).
Nel complesso, l’atmosfera di Tozeur è quella da città di “turismo di massa” dove la gente o ti vende qualcosa o ti ignora, dove tutto costa di più senza motivo. A questo proposito per comprare acqua e bibite dovete andare in Avenue Abdulkacem Chebbi dove c’è un piccolo supermercato (poco più di una drogheria delle nostre) dove l’acqua e le altre cose costano come nel resto della Tunisia, mentre negli altri negozi per una bottiglia d’acqua si può arrivare a 1,5 dinari (1,20 euro) sentendosi dire che altrove costa anche di più!!!!
Proseguendo sulla stessa strada (in fondo dove c’è un bivio, si deve prendere a sx) si arriva ai bordi del palmeto di Tozeur; qui ci sono due sorgenti (una calda e una fredda) e, proseguendo ancora, si arriva in un parco divertimenti in allestimento dove ci si può arrampicare sul Belvedere, una “montagnetta” da cui si può ammirare un panorama che, se non stessero costruendo un campo da golf (!), potrebbe anche essere gradevole.
Per cenare vi consigliamo il “Restaurant au Paradis”. Sito vicino all’albergo in una traversa della strada che passa davanti allo stesso (sul Lonely è ben segnalato). È modesto, piccolo, pulito, economico ma offre una scelta limitata di piatti.
Doccia e nanna.
03/09/2003 TOZEUR – CHEBIKA – TAMERZA – MIDES – TOZEUR (Oasi di Montagna) (km 175)
Dopo la colazione, fatta la spesa al mercato (frutta e pane), comprata l’acqua nel negozio cui accennavo sopra, finalmente partiamo alla volta delle oasi di montagna.
La strada che attraversa il Chott El Rahim è in buone condizioni, ma è opportuno rispettare i limiti e la segnaletica perché nonostante si sia nel deserto, talora ci sono delle curve strette e spesso il brecciolino abbonda. A circa ¾ del percorso, da un “cubetto bianco” emergono due militari che ci intimano l’alt; ci fermiamo e in un francese un po’ stentato si informano sulla nostra provenienza e sulla destinazione. Soddisfatti dalle nostre risposte ci augurano buon viaggio. (NOTA: andando verso il confine con l’Algeria si vede molto movimento di mezzi militari di ogni genere e i controlli possono essere più frequenti. È consigliabile avere sempre il passaporto con sé. Ciò sembra ovvio, ma potrebbe capitare di dimenticarlo in albergo, incappando poi in situazioni “scomode” se venisse richiesto il documento).
Lasciati i militari, in breve siamo a Chebika. Qui i mezzi del turismo di massa (alias fuoristrada bianchi) si contano a decine (probabilmente sono più di un centinaio) ed è impossibile percorrere la passeggiata attraverso l’oasi. Decidiamo quindi di andare fino a Mides e di fare il “giro” al contrario così da evitare gli affollamenti. (NOTA: provenendo dalla strada statale poco prima della deviazione per Chebika sulla destra c’è un’indicazione per un percorso turistico che punta verso un palmeto: la strada è sterrata, ma facile e conduce, in un paio di km, a Chebika attraverso il palmeto stesso: vale la pena farlo!)
Riprendiamo la strada principale che dopo pochi metri inizia ad inerpicarsi sulle montagne. Il panorama è notevole e l’andatura lenta ne favorisce la visione (più per Cristina che per me che devo guardare dove stiamo andando). Arrivati in cima sulla sinistra c’è un’indicazione per un belvedere (c’è anche una bancarella di souvenir) da cui si può ammirare la cascata di Tamerza che è molto bella, ma invasa a tal punto da decine di “bagnanti” europei che decidiamo di non scendere (la deviazione che consente di raggiungerla è poco più avanti sempre sulla sinistra andando verso Mides).
Mentre godiamo il panorama, chiacchieriamo un po’ col gestore della bancarella che ci invita a prendere un thé. Trascorriamo così un piacevole quarto d’ora scambiandoci opinioni sul turismo organizzato e sull’impatto che ha sull’economia locale.
Raggiungiamo la città di Tamerza dove andiamo ad ammirare la città antica (set cinematografico per alcune riprese de “Il Paziente Inglese”) che nessuno dei “fuoristradisti organizzati” degna di più di uno sguardo (la si raggiunge facilmente una volta superato il nucleo di Tamerza con una discesa sulla destra.
In fondo si lascia la moto o la macchina (occhio alla sabbia) e si prosegue a piedi).
Proseguiamo verso Mides, sfioriamo l’Algeria (la strada passa a 300 metri dal posto di confine) e dopo pochi chilometri arriviamo in questo microscopico villaggio che vive del poco turismo non organizzato e di traffici di contrabbando con l’Algeria. Lasciamo la moto e, sganciatici dalle insistenti guide locali, facciamo due passi nel nucleo antico e poi verso un belvedere che consente di ammirare il gran canyon.
In realtà sarebbe possibile scendere fino in fondo al canyon, ma per farlo in sicurezza bisognerebbe farsi accompagnare dalle guide le cui tariffe sono decisamente esose (10 dinari per una passeggiata di 30 minuti!!!) anche se imposte dall’ufficio del turismo locale.
Goduto il panorama, rientriamo verso Tamerza dove decidiamo di vagare un po’ per il palmeto e lungo il greto del fiume. Qui accade l’unico episodio sgradevole del viaggio: durante la passeggiata incontriamo dei bambini che, tanto per cambiare, ci chiedono “stilo, bon bon, dinar”. Purtroppo noi siamo già stati “ripuliti” in mattinata dai loro “colleghi” di Chebika nel tentativo di vedere l’oasi. Spieghiamo la cosa al più grandicello che tenta di placare i suoi compagni i quali, invece, in un crescendo di insistenza, iniziano a prenderci a sassate (da notare che tirano pietre grosse come uova a 30 metri di distanza e con una mira MOLTO precisa). Ci diamo alla fuga guardandoci molto bene le spalle. Recuperiamo la moto al volo e andiamo di volata alla polizia locale.
Cristina entra nella caserma della Garde Nationale, racconta il fatto a due ufficiali i quali, dopo essersi scusati per l’accaduto, passano all’azione: con Cri al seguito, prendono il fuoristrada di servizio e vanno a cercare sul luogo del misfatto i “monelli” che, data anche l’ora di pranzo, non vengono trovati. Non resta che fare rapporto all’ufficiale in comando. Dopo aver raccontato lo svolgimento dei fatti, sottolineiamo che non è una questione di “denuncia” dei ragazzini, ma una segnalazione del problema che potrebbe ripetersi con qualche altro turista “fai da te”.
L’ufficiale, in effetti, concorda con noi. Promette di pattugliare anche la zona del palmeto al fine di evitare sgradevoli inconvenienti in futuro e si scusa ancora per l’accaduto sottolineando di non avere piacere che queste cose accadano in quanto non rispecchiano la realtà del loro Paese (ed è assolutamente vero).
Chiusa la parentesi “poliziesca” ritorniamo a Chebika dove, essendo le 13, non c’è più confusione. Lasciamo la moto e i caschi in custodia a due simpatici ragazzini (in cambio di una pesca) e ci addentriamo nell’oasi. Un ragazzo ci cede il posto sull’unico muretto all’ombra vicino al canale dove scorre l’acqua e, mentre pranziamo, veniamo avvicinati da alcune bambine che, incuriosite dalla nostra presenza, iniziano a conversare con noi.
Più tardi ritornano i ragazzi grandi, fatto che fa “volatilizzare” le bambine, ma che dà a noi l’opportunità di trascorrere un paio d’ore chiacchierando delle abitudini e degli stili di vita dei rispettivi Paesi.
Verso le 15,30 proseguiamo la romantica passeggiata nell’oasi che porta fino al nucleo vecchio di Chebika e poi al parcheggio dove recuperiamo la moto.
Nonostante siano le 16 il sole è ancora rovente. Memori dell’esperienza “calorica” di qualche giorno prima sul Dahar, mentre riattraversiamo il chott, Cristina, con l’acqua attinta dalla sorgente dell’oasi, bagna pantaloni, maniche e l’interno del giubbotti ad intervalli regolari consentendoci di mantenerci più freschi.
Lungo il percorso incontriamo ancora i militari visti la mattina (che resistenza!!!) e in breve arriviamo a Tozeur.
Piccola pennichella, cena, nanna.
NOTA: abbiamo segnalato le sassate di Tamerza solo per mettere “sul chi vive” chi volesse andarci e non per sconsigliare una sosta da queste parti. Vale la pena di dare qualche soldino (basta mezzo dinar o un dinar) ad eventuali ragazzini che si offrono di guardarvi la macchina o la moto (noi lo abbiamo fatto quando siamo andati a vedere la parte vecchia della città) per tutelarvi da eventuali danni da parte dei dispettosi.
La zona merita di essere vista e non è giusto che per pochi sciocchi ci rimettano anche tutte le persone simpatiche ed ospitali che si possono incontrare in Tunisia. A nostro avviso è opportuno segnalare episodi come quello occorso a noi alla Garde Nationale in modo che possano controllare più efficacemente le zone di competenza.
04/09/2003: TOZEUR – METLAOUI – SBEITLA – KASSERINE (KM 250)
La giornata inizia come sempre… alle 6! Dopo i soliti preparativi partiamo alla volta di Metlaoui. Appena fuori Tozeur un forte vento da est genera una mini tempesta di sabbia: la strada si sfuoca, a tratti tende a sparire e la sabbia ci “smeriglia” ben bene, ma per fortuna il fenomeno non è tale da creare problemi (occlusioni del filtro dell’aria, smerigliatura delle vernici e dei sottoscritti).
Finalmente arriviamo a Metlaoui (da Tozeur sono un cinquantina di chilometri) dove ci rechiamo alla stazione dei treni. Dopo aver depositato le borse amovibili (dalla moto) nell’agenzia che si occupa di vendere i biglietti del “Lezard Rouge”, parcheggiamo la moto nel parcheggio dei dipendenti della stazione. (NOTA: quello esterno alla stazione sarebbe un parcheggio pubblico con guardiano ma i ragazzotti sfaccendati del paese cercano di spillare soldi con un insistenza e un modo molto poco piacevoli che inducono a trovare delle alternative.)
Dopo aver acquistato i biglietti conosciamo una coppia di fidanzati italiani che viaggiano usando i mezzi pubblici (complimenti!!!). Stringiamo subito amicizia e, appena il “Lezard Rouge” viene portato sul binario, prendiamo subito posto.
Questo treno del 1910 apparteneva al Bey (il Re) che lo utilizzava per i suoi spostamenti senza farsi mancare nessun agio: nel bagno i sanitari sono di marmo e in esso abbiamo visto quello che riteniamo essere l’unico bidet della Tunisia. Nel 1995 il veicolo regale è stato acquistato da privati che lo hanno restaurato mettendolo a disposizione del pubblico per visitare le Gorges du Seljia (l’unica alternativa al treno per visitare queste gole è andarci a piedi).
Essendo in grande anticipo sull’orario di partenza, siamo gli unici presenti e possiamo scattare qualche foto in pace. (NOTA: il treno non c’è tutti i giorni ed è bene, per conoscere gli orari e le date esatte delle corse, contattare un paio di giorni prima della gita l’ufficio competente (tel. 06-241469, fax 06-241604, il biglietto A/R costa 20 dinari))
Dopo una ventina di minuti, arrivano alcuni pullman che scaricano un bel numero di persone che fanno, letteralmente, l’assalto al treno.
Alle 10 (puntualissimi) si parte e in breve il tracciato si inerpica all’interno delle gole. I paesaggi sono magnifici e, insieme alla particolarità del treno d’epoca, ripagano abbondantemente del costo del biglietto che per un paio d’ore di viaggio non è molto economico.
Rientrati in stazione, salutiamo i nostri compagni di viaggio e ripartiamo alla volta di Sbeitla.
Delle due strade possibili scegliamo quella più diritta anche se, probabilmente, è un po’ meno panoramica dell’altra. A Gafsa ci fermiamo per pranzare e ci accorgiamo che il solleone non è più così cocente come nei giorni precedenti (ci saranno comunque 45 gradi). Superiamo Gafsa e constatiamo che mentre la zona sud della città si affaccia sul deserto, l’area nord è interessata da coltivazioni di ulivi e di peperoncino: il cambiamento è così repentino da lasciare stupiti.
Dopo un’oretta e mezza siamo a Sbeitla per visitare il sito archeologico ed il museo annesso. Sono particolarmente belli e ben conservati i templi di Giove, Giunone e Minerva e le terme; il resto è comunque notevole, ma occorre molta fantasia per immaginarsi la città al massimo dello splendore.
Decidiamo (e consigliamo) di dormire a Kasserine poiché a Sbeitla è gettonatissima e i pochi alberghi sono particolarmente cari.
Prendiamo una camera all’Hotel de la Paix che è abbastanza pulito ed economico. Stavolta la moto riposa nel magazzino delle bibite e noi stramazziamo a letto senza cena (Cristina perché è un po’ sotto sopra e io perché sono distrutto).
NOTA: a Tozeur, Metlaoui, Sbeitla e Kasserine siamo stati perseguitati da cafoni vari e approfittatori. Lo segnalo perché non si trattava del solito “approccio simpatico” da cui può nascere anche una conversazione interessante, ma di un vero fastidio.
In particolare, a Sbeitla, cercheranno di vendervi degli oggetti romani (piccole lucerne e similari); anche se avete l’occhio per riconoscere un pezzo autentico NON comprate nulla perché:
a) rischiate l’arresto per ricettazione (sia in Tunisia che in Italia)
b) è patrimonio sottratto al territorio cui appartiene.
05/09/2003 KASSERINE – TABARKA (km 250)
La sveglia è sempre alle 6, Cristina si è ripresa e dopo il solito rito della partenza eccoci diretti verso l’ultima tappa del nostro viaggio.
Si viaggia al fresco (relativamente a dove ci troviamo). Ci godiamo le terre coltivate ad uliveto e a pascolo e, infine, le montagne della Kroumirie dove d’inverno, a volte, nevica. (NOTA: la cima più alta registra 1014 metri). Le pendici di questi rilievi sono ricoperte da fitte foreste di querce da sughero: dopo tanto tempo in zone aride, è incredibile vedere così tanto verde tutto insieme.
Giungiamo a Tabarka dove, data la confusione, temiamo di non trovare un alloggio. Fortunatamente non incontriamo difficoltà e prendiamo una camera all’Hotel de la Plage che si trova a 100 metri dalla spiaggia (da cui il nome). Incluso nel prezzo abbiamo il parcheggio della moto nel magazzino dell’albergo.
In questo hotel sembra di essere in una struttura della riviera romagnola: è più pulito della media, le cameriere rifanno le camere, puliscono e mettono tutto ciò che c’è in giro nell’armadio (ho il sospetto che se ci fossimo trovati lì al loro passaggio avrebbero riposto anche noi nell’armadio), la sala da pranzo è “convenzionale” e la reception assomiglia proprio a quella dei nostri alberghi in riviera.
Dopo un pranzo a base di frutta e una pennichella di un paio d’ore andiamo alla spiaggia del porto vecchio la quale non è brutta ma è disseminata dell’immancabile spazzatura… e dire che i cestini ci sono e gli addetti alla raccolta dei rifiuti passano tutti i giorni con un camion simile a quelli che si vedono nelle nostre città. Facciamo il bagno e verso le 18 rientriamo per la doccia.
Ceniamo a base di pesce e sotto un piccolo temporale serale (molto frequenti da queste parti) rientriamo in camera.
Dopo una mezz’ora il temporale si trasforma in un uragano (letteralmente) che sembra volersi portare via anche le case, fa volare i tavolini e le sedie dei locali all’aperto, piega le palme, distrugge i lampioni del lungo mare e devasta le bancarelle vicino alla spiaggia. Grazie al cielo noi siamo al coperto e, ancora più fortunatamente, il fenomeno si attenua in meno di un’ora.
06/09/2003 TABARKA
Sveglia alle 6 (accidenti, ormai siamo “tarati” su quell’orario), bighelloniamo fino alle 8 e poi scendiamo a fare colazione.
Il tempo non è bellissimo in quanto gli strascichi dell’uragano sono ancora all’orizzonte. Decidiamo di fare un giretto per la cittadina e lungo la passeggiata detta “Les aguilles” in quanto vi sono delle formazioni rocciose che sembrano aghi. Verso le 11 il sole fa capolino e ne approfittiamo per vedere l’altra spiaggia che si estende verso la zona turistica. Qui c’è meno spazzatura e il mare ha un colore più vivace poiché davanti c’è il mare aperto e non la caletta come nel porto vecchio.
Facciamo il bagno e, per pranzo, ci concediamo degli spaghetti ai frutti di mare che, sembrerà pazzesco, sono un piatto tipico del posto adottato dalla nostra cucina.
Nel pomeriggio cadiamo in coma e solo verso le 16,30 riusciamo a tornare in spiaggia (prima è comunque impossibile per il caldo) per un altro bagno. Ceniamo e, dopo un breve giretto sul lungo mare, andiamo a letto.
07/09/2003 TABARKA – CAP SERRAT – TABARKA (km 160)
Decidiamo di andare a vedere questo “capo” ad un’ottantina di km da Tabarka su consiglio di nostri amici.
La strada, abbandonata la principale, diventa molto ondulata e qui possiamo apprezzare al massimo le molle nuove della nostra moto. Dobbiamo rinunciare a vedere Cap Negro perché la pista che condurrebbe lì è un fiume di fango profondo 30/40 cm. Dopo un bel po’ di sobbalzi durante i quali possiamo vedere le devastazioni provocate dall’uragano di 2 notti prima, arriviamo alla deviazione per Cap Serrat. Ci inoltriamo nella foresta di eucalipti dove sembra di stare in una confezione di “Pastiglie Valda” tanto l’aria è profumata.
Sbucati dall’altro lato la macchia mediterranea la fa da padrona e, finalmente, all’orizzonte spunta il blu del mare.
Dopo pochi chilometri la strada finisce. Lasciamo la moto e andiamo verso la spiaggia di sabbia bianca, cosparsa di residui della mareggiata di due notti prima, di spazzatura e punteggiata di… mucche.
Mentre camminiamo un “guardiano” ci avvicina e ci dice che a fronte di una piccola somma (7 dinar) possiamo affittare una capanna di paglia (sopravvissuta alla tempesta) e avere la custodia delle borse. Accettiamo anche perché il sole promette di arrostirci per bene.
Dopo esserci sistemati Abid, questo il nome del custode, ci racconta che nei mesi invernali fa il massaggiatore negli alberghi di Djerba e dà dimostrazione delle sue capacità su di me: devo dire che, se si sopravvive al trattamento, la sensazione che si prova dopo lo “shakeramento” è di scioltezza.
Facciamo il bagno e passeggiamo lungo la spiaggia -ove c’è anche un relitto di un peschereccio (o affine)-, godendoci la magnifica giornata.
Rientriamo in albergo per la doccia e per cenare.
Andiamo a letto dopo un breve giretto.
08/09/2003 TABARKA
Ancora una giornata interamente marittima: riposo assoluto e pigrizia dominano la giornata.
Durante una breve passeggiata scopriamo una antica chiesetta (XIX sec.), poi adibita a museo archeologico (in disuso), ricavata in un cisterna romana. Vale la pena di visitarla, ma, per poterlo fare, dovete chiedere al custode di aprirvela.
Chiudiamo la giornata con una cena a base di pesce: ottimo il branzino, pessimo il servizio (troppo frettoloso).
09/09/2003 TABARKA – BIZERTE – TUNISI (km 220)
La nave per rientrare in Italia salpa alle 19,30 e, quindi, partiamo con comodo verso le 8. Decidiamo di sfruttare un po’ la giornata facendo una pausa a Bizerte.
Scopriamo che è una città molto caotica la cui unica attrattiva sono il porto vecchio e la Kasbah con le mura antiche (XVII secolo).
Trascorriamo un paio d’ore in un café affacciato sul porto e verso le 13,30 ci dirigiamo verso Tunisi.
In un’ora (via statale) siamo al porto dove, sbrigate le formalità, alle 17 ci imbarchiamo.
I passeggeri, contrariamente all’andata, sono molti e, a causa di ciò, salpiamo con mezz’ora di ritardo per di più sotto un forte temporale.
La perturbazione è molto vasta e ci regala mare forza 7 fino alle 4 del mattino.
10/10/2003 NAVE – GENOVA – MILANO (km. 180)
Grazie al maltempo e ad altri non meglio precisati imprevisti, arriviamo a Genova alle 23,30 con “solo” 5,5 ore di ritardo: siamo veramente stanchi anche se, per fortuna, la traversata è andata bene.
In mezz’ora scendiamo dalla nave e puntiamo su Milano.
Il vantaggio di quest’orario è che l’autostrada è deserta e, senza correre perché siamo veramente a pezzi, in 2 ore siamo a casa dove stramazziamo a letto.
CONSIDERAZIONI GENERALI
Quest’esperienza in Tunisia ci ha permesso di entrare in contatto con molte persone con cui abbiamo potuto approfondire le tradizioni e abitudini di questo Paese, scambiare opinioni sui diversi sistemi di vita, farci un’idea di come siamo visti noi e anche di spiegare la nostra realtà che, come ben sappiamo, non è quella promessa dalla pubblicità o dai programmi televisivi che possono essere captati con una parabola satellitare.
Tutti sono sempre stati gentilissimi e nulla ci è mai stato fatto mancare pur di metterci a nostro agio anche dalle persone più povere. Questo ci ha fatto riflettere spesso sul fatto che nella nostra “ricca” società siamo molto egoisti mentre chi non ha nulla, spesso, condivide quel poco che ha per il piacere di stare insieme, di condividere un’esperienza e perché magari, un’altra volta, saremo noi ad ospitare qualche viaggiatore.
Siamo stati piacevolmente colpiti dalla grande tolleranza e dal rispetto che abbiamo sempre riscontrato nei confronti della nostra cultura, ma va anche detto che noi siamo stati sempre molto rispettosi delle regole locali, evitando abiti succinti, comportamenti “invadenti” nei dintorni dei luoghi di preghiera, facendo cioè del turismo “educato”.
Questo non significa che le tradizioni relative al ruolo marginale e sottomesso della donna non siano profondamente radicate.
Prima di chiudere questo (lungo) racconto desidero spendere due parole sul turismo organizzato: fermo restando che rispettiamo ogni forma di turismo, dobbiamo dire che la maleducazione delle persone che compongono i gruppi organizzati spesso supera la decenza minima richiesta a qualsiasi persona in viaggio in qualsiasi luogo.
Trovo intollerabile il vociare in posti dove la pace dovrebbe regnare, trovo irrispettoso che a Ksar Hallouf la gente ci entri in camera anche se la porta è chiusa (anche se non a chiave) senza preoccuparsi del fatto che una parte dello Ksar è adibita ad alloggio, trovo indecenti le donne praticamente svestite che si aggirano per la Tunisia ignorando le norme religiose e culturali di questo Paese di cultura musulmana.
I maleducati fanno fare brutta figura a tutti ed è un vero peccato perché penalizzano chi viaggia e si comporta in modo diverso. Per fortuna, i locali sono capaci di distinguere tra i due tipi di viaggiatori e comportarsi di conseguenza (niente di tragico: col tipo “gruppo” sono più distaccati).
NOTA “TECNICA”: i conducenti dei fuoristrada dei viaggi organizzati, dato che devono fare il giro programmato in un certo tempo, corrono parecchio, superano anche se sarebbe sconsigliabile e non rallentano quando incrociano altri veicoli quindi bisogna avere “cervello” anche per loro soprattutto quando le ruote sotto il sedere sono, come nel nostro caso, solo due.
Per chiudere: la Tunisia è un Paese che va “assaporato”, per poterne godere le sfumature della cultura, la gentilezza delle persone, la bellezza dei panorami. È un luogo da ammirare e conoscere con un ritmo “lento” in modo da poterlo vivere al meglio.
BAGAGLIO
Abbigliamento e affini
Per questo viaggio ci siamo portati il minimo indispensabile; oltre ai vestiti che avevamo addosso alla partenza abbiamo messo “in valigia” quanto segue (a testa):
- Un paio di pantaloni di scorta (jeans)
- 5 t-shirt
- biancheria intima (5 di ognuna)
- un telo doccia
- un maglione (utile durante il rientro notturno e, se siete freddolosi, sulla nave)
- ciabatte di plastica
- materiale da toeletta
- t-shirt e campioncini di profumo da regalare
Abbigliamento motociclistico
Non abbiamo materiale particolarmente tecnico:
- due giacche impermeabili (quelle leggere che si possono piegare e mettere nel bauletto) e relativi pantaloni (Motoline)
- anfibi per me e scarponcini da trekking (impermeabili) per Cristina: in questo modo abbiamo evitato scarpe di scorta. In ogni caso evitate sandali e sandaletti (in particolare le ragazze) perché, oltre che pericolosi in moto, nelle medine si calpesta un po’ di tutto
- guanti leggeri
- giubbetto jeans da usare sempre… a meno di non desiderare un’ustione di 3° grado dopo 5 ore in moto sotto il sole
- un giubbetto multitasche in cui mettere documenti, chiavi e cose da non mollare mai. In moto lo tenevo sotto al giubbetto jeans
Materiale generico
- Tenda completa
- Sacchi a pelo leggeri
- Sapone e corda per il bucato
- Carta igienica (non è sempre scontato trovarla negli alberghi e in nave)
Materiale per la moto
La moto è equipaggiata con crash bars (utilissime per piccoli urti e cadute), cavalletto centrale (utile per la manutenzione, cambio gomme, regolazione catena e quant’altro). Rispetto all’anno precedente, abbiamo sostituito le molle originali con un set fronte/retro di molle progressive Hyper Pro: una spesa da fare (come quella per le crash bars) in quanto la moto migliora nettamente il suo comportamento e su strade anche molto ondulate/dissestate si va via tranquilli (per i riferimenti dell’installatore contattateci pure).
In aggiunta abbiamo portato:
- Kit riparazione foratura (tubeless) con bombolette di CO2 liquida
- Bomboletta di riparazione foratura (schiuma)
- Kit di attrezzi standard della moto (più fusibili, lampadine e un pezzo di tubetto per benzina)
- Cavo acceleratore e cavo frizione nuovi
- Qualche cavetto d’acciaio extra con fermagli (tipo lambretta)
- Falsamaglia catena (2)
- ½ chilo di olio
- Grasso spray per la catena
- Pinza e cacciaviti extra
- Brugole e bussole extra (con cricchetto): in realtà sono sempre a bordo della moto!
- Set di lime di piccole dimensioni
- Nastro americano… se serve tiene insieme di tutto!
- Una corda di nylon con carico di rottura a 900 kg
- Martello (più per i picchetti della tenda che per altro ;)) )
Farmacia
Nulla di speciale sotto questo punto di vista:
- Dissenten: più che altro una precauzione
- Gastroprotettore
- OKI (tipo Aulin) per mal di testa e infiammazioni varie
- Garze sterili, cerotti e disifettante
- Crema solare (consigliata la Piz Buin protezione 10 per i primissimi giorni e 8 per i successivi)
- Autan Barriera (per insetti e affini)
- Prep: antico rimedio per tutto ciò che riguarda la pelle (secchezza, vesciche, infiammazioni al sedere e dintorni per le ore in moto)
Per il viaggio
- Cartina Michelin 744
- Lonely Planet: utilissimo per tutto, rispetto a quello del Marocco è più preciso sui prezzi.
- Macchina fotografica, ottiche 28-80 e 50, polarizzatore sul 28-80, skylight su entrambe. Pile di scorta.
Tutto quanto sopra ha trovato posto in tre bauletti, nella borsa sul serbatoio e in uno zaino in cui stava, tra l’altro, la scorta d’acqua. Peso totale circa 30 chilogrammi.
MOTO
Il nostro mezzo è una Honda Varadero XL1000V anno 2000. Prima di partire l’ho equipaggiata con un set di gomme nuove. La moto si è sempre comportata alla grande (anche a pieno carico) in ogni situazione e sempre con un buon comfort. Solo sulla sabbia è quasi impossibile da gestire: troppo pesante. Non si sono mai avuti problemi di surriscaldamento del motore (dei sottoscritti qualche volta si!) anche nei tratti più caldi dove abbiamo sfiorato i 60°C al sole.
Consumo medio: circa 16 km/lt
Olio: circa 300 gr. per tutto il viaggio
COSTI E CHILOMETRAGGI
Km totali percorsi: 2952
Costi:
- traghetto Genova – Tunisi Grandi Navi Veloci, andata e ritorno in poltrona tipo pullman per due persone: 608 €
- TUTTO IL RESTO: 774,12 €
(NOTA: questo non include il materiale di consumo: gomme, olio etc. etc)
INFORMAZIONI UTILI
- Traghetto Ge-Tunisi. Abbiamo prenotato in una agenzia di Milano, dopo abbiamo scoperto che in piazza Diaz si poteva prenotare senza pagare i diritti di agenzia. Provate a vedere se nella vostra città è possibile prenotare direttamente in un ufficio GNV. La COTUNAV (tariffe analoghe) non aveva posti.
- Carta Verde: la nostra assicurazione (Genialloyd o Lloyd 1885 che dir si voglia) copre la Tunisia.
- Cambio: 1 dinaro = 73 centesimi di Euro (arrotondando a 1400 lire i conti sono più semplici… per intenderci, il cambio esatto era circa 1372 lire)
CHI SIAMO
Cristina e Alessandro Bignami
E-Mail: abignami@virgilio.it