Marzo 2012
Alla scoperta della sconvolgente bellezza del vulcano Trou au Natron, a contatto con la fiera e ribelle etnia dei Teda delle oasi di Zouar, YeBi Bou, YeBiSouma.
Iniziamo da Faya il nostro viaggio in Ciad agognato da tempo ma mai intrapreso fino a marzo 2012, causa decenni di guerra civile e invasione libica. Prendiamo possesso della nostra vettura apprezzando appieno l’insperata libertà e comodità di essere in macchina solo in compagnia del nostro autista Altri 2 compagni con cui avremmo dovuto condividere lo spazio e il viaggio, si sono.fermati in aeroporto e non sono partiti! Non è una barzelletta ma, complice la partenza alle 2 del mattino, si sono addormentati e non si sono risvegliati per l’imbarco! Dopo aver fatto rifornimento di acqua in bottiglia a scopo precauzionale per evitare di bere l’acqua dei pozzi potenzialmente contaminata, prendiamo da Faya la pista che conduce verso Sherda e Zouar e ben presto cominciano i primi problemi al motore della nostra vettura molto fatiscente, con le balestre rotte , tenute insieme da listelli di pneumatici e fili di ferro.
Il nostro autista Idris, in compenso, è molto valente e ripara velocemente il guasto, alla maniera africana s’intende!
Lungo il percorso incontriamo il primo pozzo, dove i tebu portano i loro animali ad abbeverarsi. Sono per lo più ragazzi giovani che hanno il compito di far dissetare capre, dromedari e asini. Ne approfittiamo per fare anche noi provviste d’acqua .
Il nostro primo campo è montato a ridosso di un’alta catena di dune. Saranno le ultime catene di dune che incontreremo lungo il percorso prima di addentrarci nel massiccio vulcanico del Tibesti. Il paesaggio all’alba, rischiarato dalla luce dei raggi mattutini, ci riserva la visione delle acacie in fiore: uno spettacolo!
Il risveglio ha in serbo per noi pure la visione al campo di uno dei più temibili e pericolosi animali delle sabbie: lo scorpione. L’esemplare in questione appartiene a una specie mortale per i bambini ed è seriamente pericoloso anche per gli adulti qualora non siano tempestivamente trattati con l’antidoto.
Arrivati al villaggio di Sherda, costituito da pochissime capanne di paglia, il piccolo nucleo di tebu ci avvicina con piacere, desideroso di scambiare qualche parola con i nostri autisti. Man mano che ci avviciniamo all’oasi di Zouar notiamo che il paesaggio diventa sempre più aspro con la scomparsa definitiva di dune e le piste sempre più impegnative. Enormi bastioni di arenaria si stagliano verso il cielo. Il vento da moderato a fastidioso è una costante che non ci abbandonerà mai.
Arriviamo in tarda mattinata all’oasi di Zouar, sede del Derde’, capo tribale dei teda. Il Derdé rappresenta la massima autorità politica e religiosa tra i Teda del Tibesti, con funzioni di arbitro, giudice di pace nelle contese. E’ eletto fra tre grandi e prestigiose famiglie che a turno offrono un loro rappresentante di clan come capo supremo.
Ed è proprio il Derdé in persona che ci accoglie dandoci il benvenuto, ci ristora e ci augura buon proseguimento di viaggio.
Nelle immediate vicinanze di Zouar giacciono i resti dell’armata del generale Leclerc che durante la seconda guerra mondiale intraprese dal Ciad un’azione epica contro l’armata italiana che controllava l’oasi libica di Kufra. Nel 1941 l’oasi libica cadde nelle mani dell’armata francese.
Attraversiamo le bellissime gole dello Zouarke’ in un tripudio di roccioni che le erosioni e i millenni hanno trasformato in una miriade di forme fantasmagoriche. Qua e la compaiono sulle pareti di arenaria graffiti preistorici di epoca camelina. Ci imbattiamo in un reperto litico, una macina, utilizzata dai nostri antenati preistorici.
L’accoglienza al villaggio di Zouarke’ non è tra le più calorose, le foto non sono gradite, soprattutto le donne si negano.
Da qui transitano i migranti disperati ciadiani e nigerini che sono espulsi dalla Libia. Più di 1.220 africani dell’africa sub-sahariana sono stati evacuati dalle provincie del sud della Libia nel novembre 2011. Le condizioni di vita sono disperate, al limite della sopravvivenza.
Questo è anche il crocevia del contrabbando di droga, armi, sigarette e carburanti.
Il Tibesti è il massiccio di origine vulcanica più elevato del deserto del Sahara. Man mano che si inizia a salire fino ai 2.265 metri del vulcano Trou au Natron il paesaggio diventa sempre più roccioso : pietre, lastroni, pinnacoli, forre, canyon, ci accompagneranno per tutto il resto del percorso su sentieri impervi e talvolta pericolosi.
Questo panorama aspro e selvaggio, a perdita d’occhio, ci emoziona.
Stiamo salendo progressivamente oltre i 2.000 metri di quota.
Il cratere del vulcano Trou au Natron è ancora poco distante. II vento soffia implacabile rendendo l’aria frizzante. Il Trou au Natron finalmente! La sua visione dal bordo del cratere, a 2.265 metri di altitudine ci mozza il fiato! E’ uno spettacolo sorprendente che nessuna parola o immagine potrà mai descrivere e rappresentare a dovere.
Si percepisce l’illusione di essere sbarcati su un altro pianeta, fantasmagorico, irreale.
Ai piedi del Pic Tousside’ il Trou au Natron è uno dei fenomeni naturali più sorprendenti del Sahara: 700 metri di profondità, 6 km di diametro.
Tra le pareti di basalto scuro, sul fondo del cratere s’inserisce un tappeto di cristalli di carbonato di sodio con tre coni eruttivi, il più altro è circa 200 metri.
Attraverso un sentiero sospeso nel vuoto, i tebu conducono capre e asini sul fondo del cratere per la cura degli animali con il sale e il trasporto dello stesso.
Anche se la visibilità non è delle migliori, ci godiamo questo panorama magnifico in completa solitudine.
I più sportivi del gruppo si cimentano con la discesa sul fondo del cratere.
Ci confermano che lo spettacolo è magnifico con piccole sorgenti di acqua calda su un tappeto di carbonato di sodio, ma la fatica è tanta e taglia le gambe e il respiro .
Continuiamo il nostro viaggio verso Bardai su piste impegnative, circondate da campi minati per decine e decine di km.
L’ordine tassativo è di stare sul sentiero per la pericolosità delle mine anti-uomo e anti-carro. Procediamo quindi con molta circospezione e con un po’ di apprensione.
Ora la pista diventa sempre più infernale, a lastroni di sassi che il nostro valente autista riesce a superare non senza difficoltà.
Le mine sono purtroppo un retaggio della guerra libico-ciadiana. La Libia invase il Ciad nel 1975 occupando nel Tibesti settentrionale la striscia di terra conosciuta come striscia di Aouzou.
Nel 1987 i libici furono sconfitti e costretti ad abbandonare il Ciad grazie all’aiuto dato al governo ciadiano da parte degli Stati Uniti e della Francia.
L’oasi di Bardai ci accoglie con il suo bellissimo palmeto. Siamo circondati da un tripudio di picchi, pinnacoli, faraglioni di ogni dimenzione che danno al paesaggio una patina di irrealta’. Le capanne sono costituite da costruzioni stabili, rotonde con muretti di pietre saldate con argilla, con un tetto di stuoie. La sosta alla scuola è molto piacevole e crea molto scompiglio negli alunni incuriositi nel vederci ma per nulla timidi o intimoriti. Il maestro spiega che siamo italiani e li esorta a continuare gli studi con l’augurio che un giorno possano completarli in Italia.
A circa una ventina di km da Bardai imbocchiamo a piedi un sentiero e dopo qualche km arriviamo a un enneri, un grande wadi con enormi rocce che presentano interessanti incisioni rupestri alle pareti. Non sappiamo come si chiamo il sito, sicuramente non è il sito rupestre di Gonoa dove ci viene impedito di recarci causa pericolo mine. Ma le sorprese non sono ancora terminate!
A qualche km da Bardai l’enneri Bardagué ci offre le ultime emozioni della giornata con i suoi mille pinnacoli, picchi, torrioni che riflettono la luce del sole al tramonto. Un paesaggio da fiaba!Alcune rocce sono state dipinte di rosso e di bianco da un artista francese che, a nostro parere, ha deturpato il paesaggio. Meglio la bellezza selvaggia del sito al naturale!
Il viaggio continua riservandoci ancora scorci stupendi. Il percorso da Bardai verso Ye bi Souma e Ye bi Bou presenta inequivocabilmente i segni della guerra con relitti militari sventrati a lato pista e rudimentali indicazioni di campi minati per parecchi kilometri. L’attenzione e’ massima e la precauzione di non andare fuori pista né con il fuoristrada nè a piedi e totale. Postazioni militari, trincee, carro armato abbandonato sono a testimonianza di vaste zone teatro della guerra libico-ciadiana.Il villaggio di Ye bi Souma presenta quattro capanne in croce nella desolazione ambientale più completa in un ambiente per nulla ospitale.
Le condizioni di vita durissime hanno spinto i tebu alla nomadizzazione stagionale abbandonando le zone poco ospitali e impervie del Tibesti alla ricerca di zone piu favorevoli alla loro sussistenza. La fiera mentalità nomade ha comunque permesso che questa etnia mantenesse i tratti originali delle loro concezioni riguardo l’onore, la moralità , il matrimonio, che nessuna legge colonialista ha mai potuto imbrigliare o modificare. Le leggi del clan sono ancora molto severe: in tema di matrimoni c’e l’interdizione totale di congiungersi con consanguinei.
L’uccisione di un avversario a tradimento non e’ mai stata considerata un’azione riprovevole e il tutto si risolve con un indennizzo in dromedari. La quantita di bestiame offerta regola quindi il prezzo della vita umana.
I tebu sono anche molto frugali in tema di alimentazione. Si sono adattati ad una alimentazione modesta a base di farina di orzo, grano e a base di datteri secchi mischiati a farina di miglio. Il percorso fino all’oasi di Ye bi Bou ci riserva ancora paesaggi grandiosi, aspri, selvaggi e un verde palmeto ne preannuncia l’arrivo. Qui i tebu sono accoglienti, per niente scontrosi e ci invitano accogliendoci nei recinti delle loro capanne. La nostra avventura sta volgendo al termine. Stiamo abbandonando i contrafforti montuosi del Tibesti per far ritorno all’oasi di Faya.Viaggio impenativo, difficoltoso ma inequagliabile e imperituro nel nostro ricordo