By Nicola Ferrulli
Originally Posted Thursday, July 22, 2004
Appunti di viaggio
22/12/1999 – 7/01/2000
PREMESSE
ITALIA : Kmq 301.302; Abitanti 56.778.000;
TCHAD : Kmq 1.284.000; Abitanti ( stima 1998 ) 7.270.000; Capitale del Paese N’jamena ( ex Fort Lamy ) di 530.965 abitanti nel 1993;
B.E.T. ( Borkou – Ennedi – Tibesti ): Kmq 600.350; Abitanti 73.185 (Calendario Atlante De Agostini 2000) capitale Faya – Largeau di 5.200 abitanti;
IL Tchad confina a N con la Libia, ad E con il Sudan, a S con il Centrafrica e ad O con il Cameroun, la Nigeria ed il Niger.
CARATTERISTICHE DEL PAESE
Morfologicamente il Paese è divisibile il tre fasce geografiche: una settentrionale, desertica ( Erg di dune morte del Djourab e di Mourdi ), predesertica e montuosa ( sistemi montuosi del Tibesti e dell’Ennedi); una centrale saheliana, con ad O il lago Tchad e la regione montuosa del Waddai ed una meridionale pianeggiante e di savana.
Mentre il Tibesti occupa una superficie di 100.000 Kmq, con cime che superano i 3000 m. ed è di formazione vulcanica di origine tardo Mesozoica ( 70 mil. di anni ), l’Ennedi, è un altopiano arenaceo ed occupa una superficie di 60.000 Kmq., con una altitudine media di 1000 m. Caratteristici nell’Ennedi sono i ” pitons” di arenaria, che in qualche maniera lo accomunano al Tassili Algerino.
Il lago Tchad varia in estensione fra 10.000 e 25.000 Kmq, con una media di 21.000 Kmq, è alimentato dal fiume Chari, alimentato a sua volta dal fiume Logone.
Il Nord del Paese è abitato dai Toubou , termine kanouri per indicare gli uomini ( Bou ) che vivono sulla montagna ( Tou ) (TCHAD – Spazi d’Avventura pag 44) e che gli arabi definiscono Goran; ; il centro, da Kanembou, Daza, Kanouri, Kereda, Boulala ed Arabi, mentre il Sud, più densamente popolato, è abitato da Saras, Massao ed altre etnie.
Circa 10.000 anni fa la zona del lago Ciad era abitata dai pigmei che, a partire dal 6° millennio A.C. con l’inizio della desertificazione, si ritirano sempre più verso il Sud per lasciare il posto a popolazioni Sahariane di razza nera, che premono dal Nord.
Alla fine del primo millennio d.C. si costituisce uno stato centralizzato nei territori situati al nord del lago, il Kanem-Bournou; alcuni secoli dopo seguirono quello del Baghirmi, attorno al fiume Chari, più a Sud e successivamente quello del Ouaddai sulla frontiera sudanese ad Est.(Franco Martellozzo – Alla scoperta del Ciad – EDN 1998)
Tali Stati, fondamentalmente schiavisti, lasciarono il posto nel XIII secolo a sultanati musulmani.
Diviene colonia francese agli inizi del XX secolo fino al 1960, quando ritorna ad essere Paese indipendente. Primo presidente Francois Tombalbaye.(Per maggiori informazioni si rimanda a TCHAD – Spazi d’avventura pag 58-73)
Un colpo di stato, il primo dei quali condotto da Kamugué, aiutato dai francesi, contro Tombalbaye, ucciso nel 1975, portò alla presidenza Felix Malloum, che nel 1978 formò un governo presieduto da Hissène Habré.
Già nel febbraio del 1979, gli oppositori scatenarono la guerra civile ed il FROLINAT ( Fronte di Liberazione Nazionale ), sostenuto dalla Libia, occupò la capitale.
Il 29 Aprile 1979 Goukouni Weddei , capo del FROLINAT ed originario del Tibesti, diviene Presidente di un Governo di unità nazionale.
Attualmente, dal 1990, deposto con la forza Hissène Habrè, il presidente è Idriss Deby, ma l’opposizione interna, rappresentata dal suo ex primo ministro, dislocata nel Tibesti, si fa sentire con operazioni di terrorismo e di vero e proprio banditismo, rendendo quei luoghi assolutamente impraticabili al turismo.
Quanto alle prime tracce dell’uomo, una missione paleontologica Franco-Tchadiana, il 23 gennaio 1995 scopriva, nel deserto del Djourab nel Bourkou, la mandibola di un australopiteco, inserito in un ambiente la cui datazione oscilla fra i 6 ed i 3 milioni di anni, retrodatando così lo scenario delle origini dell’uomo che si facevano risalire a 2,5 milioni di anni fa.
Reperti litici del Paleolitico inferiore sono presenti abbondantemente nel B.E.T.( mono facciali e bifacciali ), vi sono pure presenti abbondanti tracce litiche del Neolitico, che si fa risalire a 10.000 anni B.P., ( asce tenereane, macine, pestelli, punte di freccia).
Sempre al neolitico risalgono i primi ” rupestri “, termine con cui si indicano graffiti e pitture su roccia
“Nel Tchad,( che fa parte del bacino di arte rupestre dello Zaire ), e più precisamente nel massiccio dell’Ennedi e nella zona di Borku, si è sviluppata un’arte rupestre che fa parte dei grandi complessi sahariani” ( pag. 562 )(STORIA GENERALE DELL’AFRICA – Vol 1 La preistoria- a cura di J. Ki Zerbo – Jaca Book), con il Tassili n’Ajjer ed il Fezzan.
E’ il tedesco Nachtigal, nel 1869, che nel Tibesti scopre le prime pitture rupestri, ma il massimo impulso alla ricerca sistematica viene dato da Paul Huard, che vi si dedica a partire dal 1948 e finalmente da G. Bailloud, fra il 1956 e 1957 su incarico del Musée de l’Homme.(Arte Rupestre nel Ciad – Ed Pyramidis – 1996)
In ” Arte rupestre del Ciad ” vengono segnalati rupestri nel B.E.T. in 35 localizzazioni diverse.
Mancando rupestri risalenti al periodo Bubalino, i più antichi risalgono al periodo Bovidiano ( fase pastorale antica ), per arrivare al periodo Cavallino ( fase pastorale media 3200 – 1700 B.P ) ed infine al Camelino (fase pastorale tarda ) (MASSIMO BAISTROCCHI – Antiche civiltà del Sahara – Mursia pag. 273 – 289)
IL VIAGGIO
Con l’organizzazione di Piero Ravà – Spazi d’Avventura – si parte da Milano alle ore 15,20 del 22 dicembre, per raggiungere, Via Roma e Addis Ababa, N’ndiamena, capitale del Tchad.
Fra coincidenze, soste e ritardi il viaggio dura 24 ore.
A N’Djamena si arriva alle 15,15 ora locale del 23 dicembre.
E’ previsto per il giorno successivo un ulteriore collegamento aereo con Faya Largeau, capitale del B.E.T. ( Borku Ennedi Tibesti ).
Apprendiamo invece che l’aereo che avrebbe dovuto accompagnarci è stato requisito dal Governo Centrale ed impegnato in Tibesti per il trasporto di feriti a seguito di una improvvisata ennesima operazione di guerriglia dei ribelli.
In effetti aerei militari si sentono volare a bassa quota sul Novotel, dove abbiamo preso alloggio.
Si decide pertanto di proseguire con mezzi recuperati in N’Djamena per una parte del percorso, fino a Burkia ubicata nella depressione di BAHR EL GHAZAL, dove i mezzi che avremmo dovuto trovare a Faya, per la prosecuzione del viaggio in Ennedi, si sarebbero invece portati per venirci incontro.
Il gruppo di 10 è formato da 6, di cui una sola donna, tutti provenienti da Brescia e già sperimentati in altri viaggi nel Sahara, da una coppia sui 60 anni di piemontesi e da un’altra coppia della stessa età proveniente dalla Toscana. Anche questi ultimi sono all’ennesimo viaggio in Africa.
Fra noi un medico, Enrica, che oltre ad essere stata coccolata dai “maschiacci” del gruppo, si è resa utile in diverse occasioni con piccoli interventi operati su occasionali pazienti, per ferite andate in suppurazione, o per neonati con dolori intestinali, o per morsi di serpente. Le siamo tutti comunque pubblicamente grati per la sua innata capacità di ispirare entusiasmo in chi la circonda.
Partiti nel primo pomeriggio, il primo campo, siamo alla vigilia di Natale, viene fatto poco dopo Messeguet.
La pista, abbastanza buona, costeggia la nuova strada in costruzione, per ora frequentata da pedoni, che in un lontano futuro dovrebbe dotare la zona di N’Djamena di una importante arteria di collegamento con il nord.
Piantagioni di sorgo bianco la costeggiano.
Cous-cous e Pandoro per festeggiare il Natale.
L’atmosfera è buona e la compagnia omogenea lascia ben sperare nella prosecuzione del viaggio e comunque sin dall’inizio si delinea una frattura fra i ” Bresciani ” che fanno gruppo a sé, ed i Toscani e Piemontesi che iniziano il viaggio conoscendosi fra di loro.
La temperatura di notte è fresca ma non rigida. Si tirano su le tende ed alle 21, tutti a nanna.
25/ 12 Sabato Natale
Si parte alle 6,30, dopo una colazione a base di thé, caffè o cioccolata.
Alle 7,30, la prima gomma parte, completamente distrutta per averci inavvertitamente camminato, forata, per qualche chilometro.
Si viaggia a tappe forzate per tutto il giorno in un paesaggio monotono e senza particolari attrattive.
Il sole è coperto da una tetra caligine di polvere sollevata da un harmattan teso e forte che non dà tregua.
Allontanandosi da N’Djamena, il fondo stradale diventa pesante, pieno di buche che mettono a dura prova mezzi e uomini.
Si sorpassa Massakory, e Mouzarak e ci si ferma a Chéddra alle 9 del mattino per ricompattare il convoglio dei tre mezzi, la cui marcia a vista è ostacolata dalla polvere che si fa sempre più compatta.
Ci si accorge invece ben presto che il terzo Toyota non arriva.
Uno dei due perciò ritorna sul percorso fatto alla sua ricerca e dopo un paio d’ore ritorna per avvertire gli altri che il terzo mezzo è fuori uso per la rottura irreparabile del semiasse.
Scopriamo che Cheddra, è un punto di smistamento importante dei mezzi che vanno o che ritornano dal Nord.
Pick-up e camion, sia gli uni che gli altri sovraccarichi all’inverosimile, caricano e scaricano uomini e merci: in tre ore di attesa ne passano nei due sensi quattro o cinque.
Intorno al pozzo, alcune povere case; bambini che sciamano e che chiedono “cadeau, cadeau”, subito scacciati dagli adulti preoccupati che non ci infastidiscano più di tanto; la moschea affiancata dalla medersa da dove, incuriositi dal nostro passaggio, alcuni bambini si affacciano con le loro tavole coraniche sotto il braccio, immediatamente richiamati al dovere dalla maestra; alcuni ” cammelli” pascolano indifferenti o si riposano.
Donne-bambine, sedute in gruppo, ci offrono del buon latte di cammella.
Noi offriamo ai bambini caramelle e qualche biro ai più grandi.
La rottura del semiasse ci costringe ad un cambio di programma.
Si affitta un pick-up che va a caricare dal mezzo disastrato, che viene così abbandonato al suo destino, le scorte di viveri, benzina ed acqua, oltre alle tende e ci stringe tutti nei due mezzi rimasti.
Sono quasi le 14, si riparte dopo cinque ore di sosta forzata e sotto un forte vento che non dà tregua.
Si fa il secondo campo ad una cinquantina di Km da Salal in piena depressione in un paesaggio lunare velato dal vento che ci fa tirare su le tende con fatica.
Scosse furiosamente, gonfiate come vele, le ancoriamo saldamente al terreno quasi a volerci garantire un riparo che ci ricordi la nostra casa in mattoni e pietra.
Si cena svogliatamente e si trova finalmente riparo al vento nelle tende, dopo aver chiuso per bene le lampo.
26/ 12 Domenica
Sveglia alle 5, rapida colazione , si smonta il campo e si riparte.
Chi ha lo shésh lo usa per proteggersi dalla polvere e chi non ce l’ha annoda un fazzoletto dietro il collo per proteggere bocca e naso dal vento che intasa la respirazione.
Si viaggia in un paesaggio grigio, nebbioso, reso irreale dalla polvere finissima, quasi borotalco, di diatomee che forma il fondo del paleo – lago che stiamo attraversando. Il cielo e la terra si congiungono davanti a noi a pochi metri, rendendo il resto del mondo invisibile ai nostri occhi.
Ombre, fantasmi di arbusti sospinti dal vento si materializzano e con la stessa rapidità scompaiono.
Si viaggia lentamente ed a non più di dieci metri gli uni dagli altri, cercando di non perdersi di vista e soprattutto di non perdere la guida toubou, l’unico che riesce miracolosamente ad orientarsi in quel nulla.
Arriviamo poco dopo a Salal e ci concediamo una breve sosta.
Le case si intravedono o scompaiono grazie alla minore o maggiore intensità del vento che sospinge la bianca polvere di diatomiti.
Richiamati dal rumore che fanno, nella nebbia intravediamo un centinaio di cammelli che blaterano intorno ad un pozzo per l’abbeverata.
A qualcuno questo vento continuo incomincia a far saltare i nervi: normale in un viaggio del genere e nessuno ci fa caso.
Si riparte e poco dopo si raggiunge Beurkia, dove ci attendono le Toyota inviate da Faya per rilevarci.
Nuovo trasbordo dal pick-up preso a Cheddra sul pick-up che ci seguirà poi per il resto del viaggio.
Si riparte alle 12,30, dopo una breve colazione.
La carovana ora è formata da 8 mezzi e si può così disporre, al loro interno, di maggior spazio a disposizione di ciascuno di noi.
Alle 14,45 siamo a Kouba Olanga, fermati dal posto di polizia per uno dei non molto frequenti, rispetto ad altri paesi africani, ” vu au passage”.
Si riparte e continuano il vento e la maledetta polvere di diatomee che ci accompagneranno per tutto l’attraversamento del fondo del ” Lago Nord “.
Prosegue la lenta marcia nella nebbia fossile: di tanto in tanto qualche balise piantata in bidoni cementati ci dà conferma dell’abilità della nostra guida nella scelta del percorso.
Alle 17,30 ci si ferma per fare il campo all’avvistamento della prima barcana dell’Erg du Djourab che ci accoglie fra le sue larghe braccia.
Il terreno sotto di noi è pulitissimo, ma per lo stesso principio per cui si formano le barcane, il vento, aggirandola, ci scarica addosso sabbia in una pioggerella che batte incessante sulle tende in uno sfrigolio continuo.
Riuniti a cena intorno al fuoco, si considera che, nonostante la fatica, lo spettacolo offerto dall’harmattan è stato un regalo impagabile che la natura ci sta offrendo: questa considerazione dà inequivocabilmente la dimensione di quanto il morale del gruppo sia ancora alto.
27/ 12 Lunedì
Alla solita ora, verso le sette, si attacca l’erg.
Inizia piatto, sembra insignificante, lo si raffronta con quello di Dammer o del Teneré per darlo perdente senza appello.
Poco alla volta però incomincia a farsi, le dune si alzano, si infittiscono e finalmente il paesaggio che si va aprendo è quello classico della sabbia dorata a perdita d’occhio.
Ci accorgiamo anche, e piuttosto in fretta, che l’abbiamo sottovalutato: è più difficile del previsto: continui insabbiamenti in strati di fech-fech, reso invisibile dal vento che ha reso il paesaggio uniforme, rallentano la marcia e costringono gli autisti, e noi con loro, a spalare sabbia, a infilare piastre ed a spingere i mezzi per trarli in salvo dalla stretta insidiosa della sabbia.
Al superamento di due tre dune, ci si ferma ad aspettare quelli che seguono: il più delle volte qualcuno manca ed allora bisogna tornare a piedi, cercarli e dargli una mano per ripartire.
Ora è un susseguirsi continuo di dune e barcane: un erg bellissimo che avevamo sottovalutato e gli avvallamenti fra le une e le altre si rivelano trappole insidiose di fech-fech da evitare.
Il vento continua a soffiare incessante ma la sabbia, più pesante della polvere di diatomee, dà ora meno fastidio alla respirazione ed agli occhi, ma grandina sui vetri, facendoli friggere.
Dopo 4 ore avremo fatto non più di 10 Km, sugli 80 dell’intero attraversamento dell’erg.
A sera inoltrata, finalmente si arriva a Faya, la capitale del B.E.T. e meta della nostra prima tappa.
Distesa in una piana, mostra in lontananza il palmeto e, mano a mano che ci si avvicina, le case in stile sudanese.
Siamo alloggiati in una casa recintata che all’interno ha un grande spazio dove, chi vuole, può montare le tende, in alternativa ad alcuni spazi al chiuso messi a disposizione di chi voglia utilizzarli.
Finalmente una notte, la prima, al riparo dal vento: dormiremo tranquilli senza spifferi e scuotimenti della tenda, dopo una cena a base di zuppa calda e pollo con contorno di patate fritte.
E finalmente ci si può anche lavare non solo, e frettolosamente, le mani i denti ed il viso.
Decido di fare una visita notturna al centro abitato, che tutti ritengono imprudente e per cui una guida decide di accompagnarmi.
La cittadina è completamente immersa nel buio, illuminata solo da qualche rara luce di negozietti aperti.
Vendono vestiti colorati, bibite, sigarette, saponi, musicassette, chincaglieria varia.
Si avverte una diffidenza verso lo straniero, tipicamente toubou, allorché si tenta di instaurare un dialogo, anche perché non sono in tanti che parlano francese.
Niente di particolare: si limitano semplicemente a non risponderti.
Vista l’aria che tira, dopo una mezz’oretta di inutili passi, si ritorna al campo base per dormire, approfittando della prima notte di pace assoluta.
28/ 12 Martedì
Sin dal primo mattino, avvisati del nostro arrivo, alcuni venditori di souvenir in argento, coltelli e collanine si sono appostati nella speranza di riuscire a vendere una parte della loro mercanzia ai nuovi arrivati. Si fa qualche acquisto più che altro per aver modo di scambiare qualche utile informazione e per conoscerli un po’ più da vicino.
In realtà sono meno scorbutici di come la prima impressione notturna ce li aveva fatti apparire.
La mattinata passa in un rilassante far niente, si fa colazione e nel primo pomeriggio si è tutti pronti a partire.
Un piccolo incidente mette di buonumore la compagnia.
L’ultimo Toyota, mentre gli altri sono già usciti dal cancello e sono in attesa di formare il convoglio, nel far manovra in retromarcia per potersi accodare agli altri pronti per la partenza, sprofonda, per fortuna con una sola ruota, in una voragine che gli si apre, rischiando di farlo sprofondare nella fossa biologica.
Tutto finisce in una gran risata ed in uno sforzo richiesto ad un altro Toyota per trarre fuori dalla buca il mezzo che ci era finito dentro.
Si parte, alla fonte si fa rifornimento di acqua e si riparte verso l’erg, dove il vento ha accatastato barcane maestose e solitarie.
Direzione est-nord-est e si ritrova il vento che ci aveva dato tregua per una notte.
Alle 17,30 ci si ferma ai piedi di una grande bellissima barcana per preparare il campo. La barcana ferma il vento ma, aggirandola, crea mulinelli che scuotono violentemente le tende, fortunatamente solidamente picchettate.
La temperatura nella notte scende intorno allo zero: sarà la notte più fredda.
29/ 12 Mercoledì
Si riparte alle sette: il vento continua a spirare ma non riesce ad offuscare un caldo sole che si sta alzando maestosamente nel cielo. Incominciamo finalmente a sentire ed a godere l’influsso del pulito caldo sole africano. Sentiamo che la parte più difficile del viaggio è passata e ci prepariamo, in allegria a coglierne gli aspetti più piacevoli.
Ancora insabbiamenti, ma ormai tutto si fa in un clima di allegria e rilassatezza estrema.
E’ quasi mezzogiorno quando arriviamo alla sorgente di Ajous, nella regione di Anoa,zona di Ouori.
Abitata dalla etnia Gaeda, si incominciano ad intravedere i primi rilievi dell’ Ennedi.
Ci fermiamo per sgranchirci le gambe e visitare l’oasi deserta.
Si tratta di un laghetto di acqua salata, e perciò disabitato, contornato da dune, che bisogna superare per raggiungerlo, da palme dum dum e da piante di salvadore persiche da cui i locali staccano i rami per farne spazzolini che usano per la pulizia dei denti.
Tracce di iene, sciacalli, dromedari e topolini-canguro sono impresse nel terreno circostante.
Si fa un rapido spuntino e si riparte, destinazione il cuore dell’Ennedi dove si arriva in serata per accamparci e preparare il campo.
La zona dove ci si ferma per il campo è in una radura circondata da una diecina di superbi ” pitons ” di arenaria che si stagliano contro il cielo arabescandolo con le loro flessuose silouhette.
Si scopre presto di essere capitati in un paleosuolo e si parte così alla ricerca di reperti litici: il campo è infatti letteralmente invaso da pezzi di macine, da pestelli e da resti più o meno grandi di ceramica, decorata a cordicella sottile ed a bordi finemente lavorati.
Pezzi di pietra a corona circolare di colore rosso mattone che fanno pensare a bracciali o, per quelli più pesanti, ad armature di bastoni usati per la caccia, sono frammisti a ” bolas ” perfettamente rotonde.
Si cercano punte di freccia, inutilmente, ma si trova qualche raschietto e coltellino neolitici.
30/ 12 Giovedì
Ci siamo svegliati alle 6 del mattino nella regione di Anoà, circondati dai grandi pitons che ci avevano fatto da cortina nella notte stellata.
Intanto il paesaggio si sta incendiando rapidamente delle prime luci già accecanti dell’alba.
Finalmente il vento non c’è più: l’harmattan si è calmato, dopo aver spirato ininterrottamente per due cicli continui da tre giorni ciascuno.
E’ una gioia ritrovare e gustare il piacere di vivere l’Africa, i suoi paesaggi e le sue atmosfere in quella concentrazione in se stessi che gli elementi scatenati della natura impedivano.
Si parte alle 7 e verso le 11 ci si ferma al pozzo di Ouai, dove si fa rifornimento di acqua e ci si lava con acqua un po’ più abbondante del solito. Tracce della guerra, pezzi di camionette, cassette di munizioni e bossoli di cannoni, sono sparsi intorno.
Si fa sosta per il pranzo.
Ormai le formazioni rocciose si infittiscono. Belle da vedersi, ci circondano in continuazione, sempre più fantasiose e sempre più grandi. Incominciamo a vedere le prime pitture rupestri: eleganti figurine femminili color ocra del periodo Bovidiano ed un paio di bei cammelli bianchi in corsa del cammellino.
Ci si ferma nella zona di Bichagara e fra le dune si fa il campo. Finalmente questa notte c’è la temperatura giusta per dormire all’aperto, fuori dalle tende a rimirare i milioni di stelle che punteggiano ininterrottamente il cielo da orizzonte ad orizzonte.
La luna piena, che nei giorni scorsi aveva inutilmente illuminato il deserto, ora in fase calante, compare in piena notte, dopo averci concesso a sazietà la visione nitida delle costellazioni.
31/ 12 Venerdì S. Silvestro
Continuano, sempre più fantasiosi i pitons, entriamo nella zona di Bechiché, abitata dai Gaeda dove una guelta consente l’abbeverata a vari animali.
La stagione delle piogge, da aprile a settembre, quest’anno è stata particolarmente generosa di acque, cosicché ancora a dicembre le guelte sono ancora piene, il terreno è ancora coperto di erbe e gli animali ( gazzelle, dromedari ed asini ), potendo mangiare e bere a sazietà, sfoggiano tutti un mantello lucido e sano che li rendono bellissimi.
Il cram cram, graminacea del sahel con un chicco spinoso che si attacca ai vestiti, continua ad infestare fastidiosamente i nostri abiti.
Si prosegue per Deli e qui i pitons scatenano la fantasia.
Chiese, volti, maschere, cattedrali, panettoni, cariatidi, troni, enormi falli, palazzi e funghi, guglie, figure di santi oranti, un S, Francesco che parla agli uccelli, canne d’organo e prue di navi.
Alcuni ricordano i profili di intere città italiane: vi si riconoscono i profili della rocca di Orvieto e delle torri di S. Gimignano.
Ed ancora archi e figure di animali.
Una allucinazione, un sogno?
E’ il trionfo della fantasia che si scatena e che vede, costruite dal vento e dalle acque, immagini familiari e mostri della fantasia.
Viene da pensare che mentre il deserto è natura allo stato puro, ma morta, l’Ennedi dà l’idea, piuttosto, della natura che lentamente ma continuamente si crea, si fa, per poi inarrestabilmente autodistruggersi.
La sera, intorno al fuoco del campo, si decide che il capodanno verrà festeggiato alle 21, usando il fuso orario del Dubai, di tre ore avanti rispetto al fuso del Tchad.
Alcuni restano a godere del riverbero del fuoco anche dopo aver festeggiato, ma tutti, cinque minuti prima della mezzanotte, sono andati a letto sui materassi stesi sulle dune.
01/ 01/2000 Sabato Capodanno
Ci si alza un po’ più tardi del solito, si fa colazione, ci si augura ancora vicendevolmente ” Buon Anno “, si monta in auto e ci si dirige verso Terkey.
Si arriva dopo essere stati shakerati violentemente dai Toyota a passo lungo che viaggiano su un terreno roccioso ed a spuntoni che fuoriescono dal terreno.
Ne vale però la pena: numerosissime e stupende pitture del cavallino, di colore rosso ocra, rappresentano cavalli al galoppo, flessuose figure femminili, movimentate scene di caccia.
Un gruppo di una quindicina di cavalli al galoppo evolve stilisticamente, i cavalli tendono sempre più le zampe, si inarcano verso l’alto, diventano ali di farfalle dispiegate.
L’eleganza e la grazia delle figure femminili sottolineano il movimento sotteso che l’artista ha voluto cogliere, raffigurandole.
Gli uomini imbracciano, nelle scene di caccia, lance e sono ripresi nel momento del lancio; i bovidi danno un’idea di pace bucolica, spesso rappresentati bicolori: ocra a macchie bianche.
Tutti i disegni hanno uno spiccato senso plastico che li rende vivi e che rendono perfettamente l’idea che l’artista neolitico ha voluto in esse infondere.
Sono di una bellezza assoluta pur nella loro semplicità espressiva.
I pitons continuano a susseguirsi, ma domani sarà il grande giorno, il clou del viaggio: la visita alla guelta di Archei.
La giornata lascia tutti soddisfatti e si chiude, dopo la cena, in un sacco a pelo su di un materassino, sotto le stelle.
02/ 01/2000 Domenica
E finalmente la Guelta di Archei.
Ci si arriva dall’alto dopo una marcia di avvicinamento dopo ¾ d’ora di salita fra massi e spuntoni di roccia.
Nella zona mancano le fantasiose formazioni di arenaria che si sono trovate altrove: si tratta infatti di compatti bastioni a picco di arenaria di colore marrone scuro tendente al nero, alti un centinaio di metri.
Arrivati in cima, su una roccia piatta ed ospitale, con la vista sulla guelta, si ha l’impressione di essere sul torrione di una fortezza megalitica imprendibile.
La vista che si apre verso il basso della guelta è di una straordinaria bellezza.
La roccia, le rocce precipitano a picco da un’altezza di circa 100 metri, si tuffano nell’acqua verde della guelta, articolata a forma di Z, lunga e stretta; lo sfondo si allarga sull’ocra della sabbia. Quando il sole riesce a penetrare, quella roccia si accende di toni intensi, giallo-ocra, rosso, marrone
Abitata da 7 coccodrilli del Nilo che, arrivati qui in epoche preistoriche, si sono adattati all’ambiente e continuano a riprodursi, anche se si teme che la possibile mancanza di femmine potrebbe in un prossimo futuro impedirne la riproduzione.
Poco dopo il nostro arrivo, preceduti dal loro blaterio che si ingrossa sempre più mano a mano che si avvicinano, e da un velo di polvere che si infittisce sempre più, sul lato meridionale della guelta, arrivano i dromedari per l’abbeverata.
Sono centinaia, che si riversano in acqua per bere.
L’ordine di arrivo è stabilito dai nomadi, calcolato in base alle lune.(Arte Rupestre nel Ciad pag 80- Ed Pyramidis – 1996)
Il loro blaterio rimbomba fra le pareti creando un’atmosfera irreale che fa pensare a quella di un mondo-bambino, popolato da mostruosi pterodattili e dinosauri.
Impressiona la loro quantità, tanto che l’intera guelta, salvo la parte abitata da coccodrilli, ne è invasa.
Piegando i lunghi colli, si abbeverano a lungo senza fretta.
Poi, sempre lentamente, defluiscono e tornano disordinatamente sui loro passi, compattati da cammellieri-bambini: di non più di dieci anni corrono sui loro cammelli.
Cavalcano snodandosi come bamboline per adattare i loro giovani corpi ai volteggi ondeggianti dei loro animali.
Fuori i primi, un altro gregge, altrettanto grande si fa avanti.
Il Tchad, con i suoi 350.000 dromedari è, fra i paesi del Sahel quello che ne ha di più.
Decidiamo di non rifare il percorso che ci ha portato in cima alle rocce che contornano la guelta e di attraversarne invece le sue acque, che nel punto più profondo, in questo periodo dell’anno non supera il metro e mezzo di profondità.
Ci ritroviamo, bagnati, nella gola da cui provenivano gli animali, chiusa da un’enorme grotta, dentro cui, si racconta, nel ‘600 i mercanti di schiavi racchiudevano e custodivano la loro preziosa merce mentre riposavano, lasciando che i loro animali si abbeverassero.
05/ 01/2000 Mercoledì
Alla Guelta di Ba Cikelé si arriva attraverso una gola di quasi un chilometro di lunghezza.
E’ un’altra delle meraviglie dell’Ennedi.
Il bordo sinistro della gola, alta un centinaio di metri, è popolato da babuini che emettono il loro abbaiare rivolto al visitatore-intruso.
Sul fondo, il terreno che inizialmente è sabbioso, diventa sempre più umido, per trasformarsi in un rigagnolo sottile, che aumenta via via di portata mano a mano che ci si avvicina al centro vero e proprio della guelta.
Giganteschi ficus verdi, dall’enorme sistema radicale, e grandi palme spruzzano di verde il color sabbia della roccia che viene giù a strapiombo, creando un ambiente di piacevole frescura.
Tracce evidenti di mani di babuino sul terreno, che assume colorazioni che vanno dall’iniziale sabbia al verde al verde smeraldo in funzione della minore o maggiore umidità presente.
La guelta, non molto grande, è però ricca di acqua limpida.
Non sembra venga usata né da dromedari né da capre, che probabilmente utilizzano altre riserve d’acqua più accessibili.
L’ambiente, fresco e ventilato, non richiede per essere raggiunto a piedi, di particolari doti fisiche.
04/ 01/2000 Martedì
Fra le meraviglie dell’Ennedi, un posto a sé merita certamente l’arco di Aloba a nord-ovest della guelta di Ba Chikelé
Imponente ed elegante, con i suoi 40 metri di larghezza e gli 80 di altezza, fa pensare ad una imponente opera di ingegneria a cui la natura si è dedicata con lo scopo di sfidare le sue stesse leggi.
E’ purtroppo destinato, come d’altronde tutto l’Ennedi, ad essere corroso dal vento e, sabbia, a ritornare sabbia. Forse fra 100, 1000 o 10000 anni.
Siamo alla fine del viaggio.
Si punta verso la pista che collega Fada a Abeché e la notte si fa il penultimo campo all’imbocco della pista.
Sparito l’erg, si è in piena savana: il terreno è coperto da tane di topi-canguro e da una enorme , perfettamente tubolare, tana di sciacallo a più uscite di sicurezza: meglio per questa notte dormire in tenda, non si sa mai.
05/ 01/2000 Mercoledì
Sulla via del ritorno, troviamo un villaggio dei Tama, etnia di origine araba.
Si tratta dei discendenti di quell’esercito di ” mercenari arabi ” che i Turchi, a partire dal 1272, avevano assoldato fra gli ultimi della società del tempo per sconfiggere il regno cristiano di Nubia.
Dongola, la sua capitale, cade nel 1289 e la sua cattedrale trasformata in moschea nel 1317.
Gli Arabi non riescono però ad organizzarsi per sostituire le precedenti dinastie ed inizia così un flusso di tribù nomadi verso le piane del Tchad che, fra il XIV ed il XX secolo, formeranno l’ossatura della popolazione araba del Tchad.(Spazi d’Avventura – pag 60)
Il villaggio è costituito da capanne, a pianta rotonda e con tetto conico, fatte da foglie intrecciate di palma. Sul bordo del villaggio, enormi giare di terracotta conservano le riserve di granaglie della collettività.
06/ 01/2000 Giovedì
Il rientro avviene sulla pista Fada – Abeché, scorrevole ma insidiosa per buche improvvise e, in alcuni punti, per cedimenti del fondo per effetto della azione disgregatrice dell’acqua corrente.
In giornata il rientro a N’Djamena, avendo noleggiato un aereo ad Abeché.
Il viaggio è finito: arrivederci al prossimo.