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Tanzania 2014

– Posted in: Africa, Africa Est, Resoconti di viaggio

Tra BAOBAB e MOSCHE TSE TSE

 TANZANIA 2014

di Gian Casati

Se mi chiedessero cosa mi viene in mente d’acchito del nostro viaggio in Tanzania risponderei : i baobab e le mosche tse tse. Il perché risulterà chiaro se si avrà la pazienza di leggere queste note di viaggio.

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Dopo un tragitto aereo al solito stressante arriviamo nel primo pomeriggio del

03 ottobre 2014

a Mombasa (Kenya). L’Africa ci accoglie con una bella botta di caldo umido. Siamo nel continente di Ebola e se anche ci separano migliaia di kilometri dai luoghi dell’epidemia i controlli (che in Europa arrivando dall’ Africa non esistono) sono accurati. Dopo aver compilato un questionario ove dichiariamo di non provenire dalle zone a rischio, di non avere i sintomi della malattia, ci viene provata la temperatura corporea. Tutto a posto, possiamo entrare in Kenya. Salim, l’agente doganale che si è occupato delle pratiche di sdoganamento della nostra Toyota spedita da Genova in container, è venuto a prenderci all’aeroporto e subito ci porta a prendere la macchina che ha parcheggiato a casa sua  dopo aver fatto un po’ di gasolio (la macchina per ragioni di sicurezza era praticamente senza carburante nei serbatoi) e rigonfiato le gomme che noi avevamo sgonfiato per riuscire ad entrare nel container. Alloggiamo all’hotel Radiance nel centro di Mombasa, pulito, a buon mercato, tipicamente africano.

 04 ottobre

La giornata è dedicata alla sistemazione della macchina, in particolare al montaggio dell’Air Camping che ha viaggiato insieme alle ruote di scorta all’interno della Toyota. L’operazione montaggio è alquanto difficoltosa e avviene, come direbbe Camilleri, santiando non poco. Non riesco a capire perché i piedini della tenda che devono essere imbullonati al portapacchi non coincidono coi buchi che l’amico Paolo con tanta precisione aveva praticato. Non sto qui a farla tanto lunga: a casa di Paolo avevamo provato il tutto ma poi io, dopo aver dato l’antiruggine a questi piedini, li ho infilati nelle canaline che stanno sotto la tenda esattamente…….al contrario. A questo punto a Mombasa inizialmente non mi sono accorto dell’errore, non riuscivo proprio a capire perché la tenda assolutamente non si potesse montare. Poi la mia mente, come noto, poco scientifico-meccanica, ha avuto uno scatto di orgoglio e mi sono reso conto del madornale errore. Comunque, malgrado l’aiuto di due baldi giovani locali in un caldo-umido atroce abbiamo impiegato un paio d’ore per il montaggio. Sistemata la tenda e l’interno della Toyota, acquistati gli ultimi rifornimenti, nel pomeriggio veniamo raggiunti da Augusto e Gianfranco che sono arrivati da Nairobi.

 05 Ottobre

Si parte! Lasciamo l’islamica Mombasa sotto la pioggia, c’è black -out in città e non possiamo fare gasolio, siamo in Africa quindi niente di strano. L’inconveniente per fortuna dura meno del previsto e così possiamo finalmente rifornirci e partire. Dopo pochi kilometri raggiungiamo la frontiera di Lunga Lunga dove non piove, diluvia. Velocemente sbrighiamo le formalità ed entriamo in Tanzania. Subito dopo la frontiera imbocchiamo la pista delle Umba Steppe, il cielo è plumbeo e di tanto in tanto scarica un bel po’ di acqua. Questo meteo ci preoccupa un po’: dovremmo essere al culmine della stagione secca e le piogge dovrebbero (appunto, dovrebbero) iniziare solo a fine mese. L’abusato detto “non ci sono piu’ le stagioni di una volta” non ci consola per niente. Non ci preoccupa tanto la pioggia quanto le pessime condizioni per le fotografie. La pista è bella, rossa, scorrevole,  l’ideale per prendere confidenza con la Toyota hzj 78 per me totalmente nuova. Attraversiamo il versante orientale delle Usumbara Mountains senza in verità vedere molto a causa del cattivo tempo. A Korogwe raggiungiamo l’asfalto che percorriamo per una quarantina di kilometri fino a Mombo; da qui entriamo nei monti Usumbara attraverso una spettacolare gola, la strada asfaltata e molto stretta  si inoltra nelle montagne tra cascate ed enormi massi. Arriviamo quindi a Lushoto che è il centro più importante della regione e qui ci fermiamo al St. Eugene Lodge, una struttura immersa in un giardino molto ben curato gestita da una congregazione di suore molto brave ed efficienti che producono e vendono marmellate e conserve ed un vino di banana che non possiamo assaggiare perché non siamo nella stagione giusta per la produzione di questa inusuale bevanda. Carlo, a disagio con l’inglese, può dare sfogo alla sua incomprimibile necessita’ di colloquiare cinguettando con suor Romana, una estroversa tanzaniana che parla un discreto italiano. Siamo in montagna e fa piuttosto freddo.

 06 Ottobre

Il tempo oggi pare migliore e tra nuvole e nebbia diradanti ci inoltriamo nei monti Usumbara. La pista attraversa una stupenda foresta dagli immensi alberi dove avvistiamo delle scimmie del genere colobi (quelle bianche e nere dalla folta pelliccia). Ad un certo punto la pista scollina ed il paesaggio cambia radicalmente.

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La foresta scompare per lasciare il posto a zone di eucalipti (alberi che io non amo perché hanno invaso l’Africa prendendo il posto della vegetazione autoctona molto più caratteristica ed anche esteticamente molto più interessante) che delimitano ampie superfici coltivate. Attraversiamo molti villaggi con case di mattoni rossi sormontate da funzionali (anche col caldo torrido?) ma orrendi tetti di lamiera. Incrociamo gente molto cordiale cui spesso ci rivolgiamo per avere , con qualche difficoltà per intendersi, indicazioni sulla pista da prendere. Infatti pur seguendo le precise tracce di T4Africa orientarsi nel dedalo di piste con varianti e deviazioni varie non è affatto facile. Purtroppo la visibilità è molto precaria, siamo immersi nelle nuvole, e solo a tratti riusciamo, più che a vedere, ad intuire gli strapiombi e le ardite creste di queste montagne che certo non fanno parte dell’immaginario africano. Quando ad un certo punto si piega ad Ovest la pista non è adatta a deboli di cuore, strettissima, a strapiombo su dirupi impressionanti senza, ca va sans dire, alcuna protezione. Meglio non chiedersi cosa succederebbe se incrociassimo qualcuno. Quando poi dal villaggio di Mtae si scende verso il piano inizia la parte peggiore. La pista è un tratturo strettissimo rovinato dalle alluvioni ove nessuno si prende la briga di fare un minimo di manutenzione. Si scende lentissimi, piloti e macchine sono messi a dura prova. Ma lo spettacolo di questi dirupi e di queste scoscese valli, dove più che intrepidi tanzaniani hanno costruito le loro abitazioni coltivando impensabili pendii, ripaga della fatica e dei rischi. Arrivati al piano allentiamo la tensione della guida con un veloce spuntino. Costeggiamo poi le Pare Mountains incontrando i primi baobab dei moltissimi che incontreremo nel corso del nostro viaggio e misteriose piante dal bianco tronco perfettamente liscio senza rami fino all’altissima chioma e tratti di fittissima foresta. Nel tardo pomeriggio siamo a Same dove ci riprendiamo dalle emozioni della giornata con una bella doccia al simpatico Elephant Motel.

07 Ottobre

Oggi attraverseremo le Maasai steppe. Siamo piuttosto curiosi di vedere cosa ci aspetta in questo territorio poco conosciuto e di cui anche la guida Lonely Planet non fa cenno. Il tempo è ancora brutto, minacciose nuvole di pioggia ci accompagnano e ci precedono. Da Same raggiungiamo Hedaru e da qui ci inoltriamo nel territorio Maasai. Non so perché la chiamino steppa, in realtà e per fortuna, il paesaggio non è stepposo ma varia tra la boscaglia ed il sahel. Lungo la pista si incontrano Maasai che qui sono meno “appariscenti” dei loro fratelli che abitano più a Nord, ma comunque sempre fasciati nelle loro tipiche e coloratissime coperte ed appoggiati al lungo immancabile bastone. All’inizio la pista costeggia il fiume che scende da Nord dal lago Nyumba ya Mungu e che ha una discreta portata. Qui incontriamo delle donne Maasai che sono venute con gli asinelli a far scorta d’acqua coi loro contenitori di plastica gialla, quelli che hanno ormai invaso tutta l’Africa mandando in soffitta i fascinosi  ma ormai poco pratici contenitori come le zucche essicate e tagliate a metà (le calebasse). Ci fermiamo per immortalare la scena. La pista, buona e scorrevole, si dirige a Nord-Ovest sfiorando villaggetti maasai per la verità non particolarmente caratteristici (non ci sono capanne ma case di mattoni coi tetti spesso di lamiera), attraversando una natura sempre bella e selvaggia. E’ ormai pomeriggio quando arriviamo a Loikisale, un villaggio ai piedi del monte omonimo da cui secondo la carta geografica (e le tracce di T4Africa) parte la pista che porta direttamente a Makuyuni ove vorremmo arrivare prima di sera. La boscaglia è molto fitta e non riusciamo ad imboccare la pista giusta, un paio di tentativi lungo tracce apparenti ci portano a vicoli ciechi. Chiediamo lumi a locali ed un cortese motociclista (ci sarebbe da scrivere un libro su questi motociclisti africani che a bordo di piccole moto stradali compiono percorsi incredibili, insensibili alla polvere, ai sassi, alla sabbia o al fango, magari in tre o quattro in sella!) ci scorta nella boscaglia per diversi kilometri su una pista incerta che a volte fa lunghi giri per evitare voragini causate dall’acqua. Poi dicendoci che siamo sulla pista giusta ci lascia. Proseguiamo che fa quasi buio, la boscaglia punteggiata di baobab è bellissima ed il tramonto finalmente spettacolare ci precede ad Ovest, ma ad un certo punto ci rendiamo conto che la pista piega decisamente a Sud cioè dalla parte opposta a dove vogliamo andare.1a

Stiamo costeggiando il Parco Tarangire, forse su una pista di bracconieri. Breve consultazione con Augusto e decidiamo di tornare sui nostri passi. Riusciamo grazie alla bussola del gps a prendere la giusta direzione e trovare una pista che pare sufficientemente battuta e sopratutto segnata su T4Africa, ma ormai è buio pesto. Dopo breve consulto decidiamo di proseguire, il posto non ci sembra sicuro per fare campo e poi giudichiamo che non dovrebbe mancare molto alla nostra meta. In realtà c’é sì una pista “principale” ma ci sono un sacco di deviazioni che vanno verso strutture connesse al Tarangire e pur con l’aiuto basilare dei nostri strumenti di navigazione (sopratutto lo schermo da 10″ del computer) facciamo molta fatica a navigare nel buio. Siamo vicini ma fuori dal parco e nell’oscurità incrociamo qualche fantasma di animale, sopratutto giraffe e zebre ma non abbiamo il tempo di ammirarli, la stanchezza e la tensione sono palpabili. Dopo quasi due ore di guida al buio finalmente raggiungiamo l’asfalto e quindi l’agognato Twiga Lodge and Campsite che si trova al vertice settentrionale del lago Manyara. Sono le 9 di sera ma riusciamo a strappare un’ottima cena dopo una veloce doccia ristoratrice. Due giornate, ieri ed oggi, intensamente africane. Un bel battesimo per Gianfranco, il non più  giovane compagno di Augusto, che non era mai salito su un fuoristrada per viaggi di questo genere. Abbiamo guidato per 12 ore e fatto ben 400 kilometri di pista.

08 ottobre

Oggi ce la prendiamo un po’ comoda dopo le fatiche degli ultimi due giorni. Stasera dobbiamo incontrarci con Alessandro e Luigi che arrivano da Nairobi, l’appuntamento è ad Arusha che dista una ottantina di kilometri dal nostro Twiga Lodge. Il tempo si è messo finalmente al bello e seguendo le indicazioni della Lonely Planet decidiamo di andare a visitare l’etnia Hadzabe che vive vicino al villaggio di Barasani non lontano dalla sponda orientale del lago Eyasi. Si ritiene che gli Hadzabe abitino questi luoghi da 10.000 anni mantenendo praticamente intatto il loro stile di vita estremamente primitivo, basato sulla caccia con arco e frecce e sulla raccolta di quanto commestibile la foresta fornisce. Sono stati in qualche modo accomunati ai San (boscimani) per il loro parlare a schiocchi con la lingua. Pagato l’ingresso nell’area e presa a bordo la guida obbligatoria, attraverso una breve pista nella fitta boscaglia raggiungiamo il villaggio degli Hadzabe posto in una radura dominata da un  gigantesco baobab.02

Qui la guida ci dice di aspettare un poco (ufficialmente per avvisare del nostro arrivo il capo villaggio, in realtà, sospetto, per dare il tempo agli Hadzabe di preparare la scena). Abbigliati con pelli di babbuino ci mostrano come accendono il fuoco con il classico bastoncino sfregato su un legnetto di base, come fumano strane pipe che procurano una sorta di asma rituale, come conciano le pelli degli animali catturati, come suonano strumenti primitivi, come danzano e come cacciano con l’arco.03 04

Alla fine della visita, per tutte queste belle scene di vita primitiva ci chiedono un compenso extra (rispetto al pedaggio di ingresso nell’area) mostrando di ben conoscere il valore della vil moneta anzi, per essere precisi, del dollaro. Non siamo nel mezzo della foresta amazzonica ma  a poche decine di kilometri da famosissimi siti turistici come il Ngoro Ngoro e il Serengeti visitati ogni anno da migliaia di persone quindi questa presunta primitività lascia alquanto perplessi…..che vengano pagati dall’ente del turismo perché rimangano primitivi ? Mah! Non sono un antropologo, ma anche la presunta parentela coi San per via degli schiocchi linguistici mi pare una panzana. Ho sentito parlare in Namibia i San e loro sì che parlano a schiocchi. Lasciamo le nostre perplessità sui moderni primitivi e raggiungiamo Arusha dove ci riuniamo ad Alessandro e Luigi che ci hanno portato da Nairobi le attrezzature per il campeggio che, svuotata la vecchia Toyota hj61, avevo lasciato nella capitale kenyota.

09 ottobre

Il gruppo ormai è al completo. Sistemato definitivamente il 78 con tutte le attrezzature possiamo partire verso il lago Natron forse, considerato a posteriori, la parte più interessante del viaggio. Pochi kilometri fuori Arusha, al paese di Monduli, lasciamo la strada asfaltata ed attraverso brulle montagne ci dirigiamo verso Nord -Est per raggiungere la pista che dal lago Manyara sale verso il Nord del Serengeti dopo aver costeggiato il lago Natron. Questa pista è una meraviglia della natura (che ahimè si paga abbastanza salata perché per ogni zona amministrativa che si attraversa, e sono tre, si deve sganciare un balzello piuttosto consistente). Il paesaggio è sempre vario ed affascinante, sopratutto quando si costeggiano zone vulcaniche con crateri profondi, coni vulcanici ed infinite praterie dorate. Al tramonto siamo alle pendici dell’ Ol Doinyo Lengai, il monte di Dio in lingua maasai , un cono vulcanico quasi perfetto che arriva a tremila metri, la cui ultima eruzione risale al 2008. In questo luogo suggestivo e straordinario a pochissima distanza dal lago Natron facciamo un dei più  bei campi di tutto il viaggio.05

10 Ottobre

Dopo una notte di vento furioso che ha messo a dura prova la tenuta della nostra Air Camping (che ha più di trent’anni ma è ancora in splendida forma), una incantevole limpidissima alba indora la montagna sacra.06

Ci avviciniamo alla costa Est del lago Natron abitato da migliaia, anzi probabilmente centinaia di migliaia di fenicotteri rosa.07

Curiosi cuscini di erba verdissima e molto corta, nascondono sorgenti di acqua termale tiepida che alimentano minuscoli laghetti popolati da piccolissimi guizzanti pesciolini che mi ricordano i lebistes che avevo in casa anni fa quando avevo la passione per gli acquari.08 09

Costeggiamo il lago tra branchi di zebre e gnu che pascolano pacifici per raggiungere, a Engare Sero, la pista  principale che sale dal lago Manyara, piu’ precisamente da Mto we Mbu. Da qui si comincia a salire, lo sguardo spazia su aspre montagne da ogni parte, fino a raggiungere dei punti panoramici da cui si gode una vista stupenda sulla piana del lago Natron dal predominante colore rosa.10

Attraversiamo diversi villaggi maasai, molti animati da colorati mercati, per poi raggiungere il parco nazionale Serengeti attraverso il Klein’s Gate. Facciamo campo al Lobo Campsite ed ancora una volta devo constatare la trascuratezza di questi Public Campsites dotati di servizi  a dir poco pessimi. Capisco che la Tanzania punti ad un turismo di élite che alloggia in costosissimi campi tendati o lodge ma poichè il campeggio libero non è consentito (comprensibile) ed il Public Campsite non è regalato, un minimo di servizi non sarebbe sgradito. Nel campeggio chiacchierando con un locale, forse un driver di turisti, veniamo a sapere che la famosissima migrazione degli gnu (che non avevamo pensato di poter ammirare non essendo la stagione giusta, per quanto ne sapevamo) è ancora in corso seppure non nel pieno. L’amico (?) ci consiglia di raggiungere a Nord il fiume Mara, lontano forse un centinaio di kilometri, per assistere allo straordinario spettacolo. Non era nei nostri programmi ma la cosa appariva molto attraente per cui convincerci non è stato difficile.

11 Ottobre

La giornata della mezza sòla, un classico ineludibile di ogni viaggio che si rispetti! Seguendo il consiglio dell’amico driver ci dirigiamo verso il fiume Mara, ai confini col Kenya. Pochi animali, gazzelle e gnu sopratutto e una leonessa. Paesaggio non particolarmente eccitante. In prossimità del Mara costeggiamo un piccolo campo d’aviazione; diversi aerei da 10/15 passeggeri atterrano di continuo scaricando molti turisti abbigliati come si conviene : pantaloni e camicia rigorosamente cachi, cappello da safari a larghe tese, occhiali da sole firmati, binocoli e zoom esagerati. Fuori dal campo di atterraggio numerosi Toyotoni , quelli a passo allungato tutti aperti tipici dei parchi dell’Africa Orientale, attendono i ricchi clienti. C’è  folla, forse è un buon segno anche se non particolarmente gradito. Speranzosi costeggiamo il Mara per un bel tratto ma della migrazione neanche l’ùmmira (per dirla sempre alla Camilleri). Qualche tranquillo animale al di qui ed aldilà  del famoso fiume, un paesaggio molto bello ma niente di piu’. E’ evidente che c’hanno preso per i fondelli, gli gnu, lo constateremo poi, sono tranquilli a centinaia di kilometri di distanza. Non valeva certo la pena di fare questa lunga cavalcata. Vabbè pazienza, una sòla, purché l’unica, ci può stare ! Con un lungo giro che ci porta ad uscire ed a rientrare poi nel parco raggiungiamo Seronera, nel cuore del Serengeti, per fermarci al Public Campsite Pimbi (un filo meglio di quello di ieri). Avevamo riposto molte speranze nel Serengeti, era stata un’esperienza entusiasmante quando nel 2009 passammo da queste parti ma oggi ci ha deluso. Riponiamo speranze di riscatto per l’indomani, siamo nel cuore del parco, al culmine della stagione secca, basterà avvicinarci all’acqua e domani vedremo animali in quantità.

12 Ottobre

Ci alziamo di buon’ora come si conviene quando si vanno a vedere animali e ci inoltriamo nel parco. Subito mandrie degli onnipresenti gnu, seguite da molte iene, poi bufali e qualche gazzella.11

La giornata promette bene, pensiamo. Ma poi scendendo nelle famose piane del Serengeti il deserto quasi assoluto. Giriamo a lungo poi decidiamo di abbandonare la zona che stiamo battendo per avvicinarci ai simba kopies (le tipiche formazioni rocciose che si elevano isolate nella pianura) con la speranza di trovare i leoni. Per fare questo troviamo una vecchia pista sicuramente poco battuta ma comunque segnata che va nella giusta direzione e noi la seguiamo fino a sboccare nella strada principale che attraversa il parco. Qui ci incrociamo con delle macchine con a bordo turisti i cui driver ci contestano di avere fatto del fuoripista, cosa non consentita. Spieghiamo loro che così non è sperando che la questione sia chiusa. Poco più avanti attorno ad un battutissimo kopie, dove avvistiamo un vecchio maschio di leone con un paio di femmine, incrociamo diverse macchine di turisti ed ancora il  driver di prima che con fare molto scortese prende nota delle targhe delle nostre macchine affermando che abbiamo calpestato le leggi tanzaniane.12

Abbastanza contrariati ce ne andiamo verso l’uscita Ovest del parco incrociando ancora molte macchine ferme  a vedere i pochi animali presenti tra cui una leonessa con un bel collarone di cuoio al collo (……..che tristezza!!). Uscendo dalla parte ovest del parco si segue il corso del fiume Grumeti e noi per risollevarci il morale un po’ scosso dalle delusioni patite e dalla grana col driver non vedevamo l’ora di arrivare ad un punto dove la volta scorsa vedemmo tanti ed enormi coccodrilli, come avevamo decantato ai nostri compagni di viaggio. Arrivati al punto giusto (non si poteva sbagliare perché  vicino ad un piccolo campo di atterraggio) altra delusione: manco un coccodrillo! Proseguiamo con un retrogusto amaro per gli scarsi avvistamenti e per la grana che, temiamo, ci attenderà al gate di uscita. Infatti arrivati al cancello vediamo che i rangers esaminano con cura le nostre targhe e poi, accertato che eravamo noi i trasgressori, ci contestano la violazione delle regole. Spieghiamo che non  abbiamo commesso alcuna infrazione, diciamo che nei nostri gps c’è la traccia di tutto il percorso e quindi possiamo dimostrare quanto affermiamo. Il ranger gentilmente ci dice che ha ricevuto ordini dalla direzione e che lui non ha nessun potere. Per poter uscire dal parco dobbiamo pagare l’ammenda. Se vogliamo contestare dobbiamo tornare a Seronera (distante un paio d’ore) e discutere con la direzione del parco. Temiamo che la multa sia molto salata e quindi non escludiamo di tornare indietro. Quando però apprendiamo che l’importo da pagare è di 50 euro a macchina decidiamo che non è il caso di fare questioni di principio e di perdere tempo, saldiamo e ce ne andiamo. Proseguiamo per il lago Vittoria e poco a Nord di Mwanza ci fermiamo al lussuoso Malaika Beach Resort costruito a picco sulle rocce che si bagnano nel lago. Dopo due giorni deludenti in quello che ormai è diventato, o perlomeno a noi questa volta è apparso, quasi uno zoo-safari una bella doccia ed una cena con bottiglia di vino ci consolano.

13 Ottobre

La sostituzione della batteria della macchina di Ale ed il taglio a metà di una parte del letto della mia macchina (per rendere più funzionale l’accesso ai bagagli) ci prendono parte della mattinata. Ci dirigiamo verso Sud, la strada è asfaltata, il paesaggio è piuttosto noioso, i kilometri di questo trasferimento sono tanti e “pesano”, sopratutto perché dopo Shinyanga lasciamo l’asfalto pensando di fare una furbata prendendo una pista che sulla carta sembra farci risparmiare un sacco di strada. Invece è lenta e assai poco attraente e per di più a causa di una indicazione sbagliata fornitaci da locali (siamo un po’  maliziosi…sbagliata di proposito ??) facciamo un bel po’ di strada in più ). Arrivati a Singida che è buio, dopo aver percorso 460 km, ci fiondiamo nel primo albergo che incocciamo. E’ lo Stanley Hotel, dalle camere spaziose e pulite ma dalla cucina veramente scadente (oltre che indicibilmente sporca).

14 Ottobre

Da Singida raggiungiamo velocemente Manyoni dove contiamo di imboccare la pista, sconosciuta alle mappe di T4Africa, che attraversando ben tre grandi riserve di caccia ci dovrebbe portare all’entrata Nord del parco Nazionale Ruaha. Cerchiamo di avere indicazioni dai locali ma ci rendiamo conto che, al di là del fatto che pochissimi parlano (poco) inglese, molti non conoscono nemmeno località distanti anche solo 30/40 kilometri dal loro villaggio e non riusciamo ad avere indicazioni utili. Tentiamo ugualmente ma dopo qualche kilometro desistiamo e torniamo sui nostri passi perché  l’orientamento delle piste che proviamo non va bene per la nostra meta. Allora da Manyoni via Itigi prendiamo il pistone che scende verso le località del Sud della Tanzania, il fondo è brutto e la tole ondulee’ massacrante per noi e sopratutto per le macchine. Quando ormai è pomeriggio avanzato, cominciamo a pensare dove fermarci per la notte constatando che non ci sono posti adatti per fare campo. All’uscita di un villaggio piuttosto disastrato, Mitundu, costeggiamo una bella scuola con costruzioni annesse e proviamo a chiedere ospitalità. E’ un complesso delle suore di San Vincenzo e la prima suora che incontriamo, un po’ imbarazzata per l’insolita richiesta di ospitalità (da queste parti turisti non ne passano proprio), dice che deve sentire la superiora che arriva di lì a poco : è suor Maria Carmen altoatesina che parlando un misto di italiano, tedesco e swahili ci accoglie con grande gentilezza. Ottima cena preparata dalle suore e belle stanze singole con bagno e doccia.

15 Ottobre

Prima di proseguire il nostro viaggio, guidati da suor Maria Carmen, visitiamo il sito delle religiose soffermandoci ad ammirare la chiesa, il chiostro e sopratutto il giardino fiorito (che pare di essere in Alto Adige), il frutteto, con un geniale sistema di coltura delle banane che vengono piantate in profonde buche così che, quando sono cresciute e fruttificano, i caschi sono a portata di mano senza dover usare scale od altro per cogliere i frutti. Da Mitundu il paesaggio, fin lì piuttosto monotono, cambia radicalmente, grandi massi granitici emergono dalla fitta foresta di alberi giganteschi, in gran parte ora spogli per la stagione secca. Poco prima di Rungwa giriamo a sinistra imboccando la lunga, bellissima pista che ci porterà al Ranger Post di Mukululu da cui passeremo per entrare nel Parco Nazionale Ruaha. Pare di essere nell’ Africa di “Continente Nero”, di quando la Tanzania si chiamava Tanganika, lo Zambia e  lo Zimbabwe si chiamavano Rodhesia, di quando c’era il Congo belga, l’Africa di Hemingway, l’Africa dei romanzi di Wilbur Smith, un Africa in qualche caso “sbagliata” ma senza dubbio alcuno affascinante, un’Africa antica. Foresta fittissima, panorami incontaminati e senza fine, pista accidentata, nessun villaggio, nessun umano. Ci fermiamo per il solito veloce spuntino di mezza giornata ma veniamo assaliti da orde di voracissime mosche tse tse. Augusto, organizzatissimo, tira fuori non si sa da dove (ricordate Eta Beta nei fumetti di Topolino?) una specie di casco con veletta tipo quello degli apicoltori, Ale e Luigi una zanzariera volante.13

Ma non c’è niente da fare, le tse tse sono più forti di ogni precauzione, desistiamo dall’idea di mangiare all’aperto e ci fiondiamo in macchina. Ma le auto ormai sono piene di questi terribili insetti e le tse tse che non hanno fatto in tempo ad entrare ci inseguono furiose appiccicandosi letteralmente ai finestrini. Inizia una battaglia senza esclusione di colpi perché  le tse tse non si abbattono semplicemente colpendole ma occorre schiacciarle con forza ed insistenza altrimenti, non si sa come, riprendono vita ed aggressività. A rischio della nostra salute decidiamo di utilizzare le armi chimiche, finestrini ermeticamente chiusi, aria condizionata con riciclo a palla e atmosfera satura di Autan. Ma non basta, le armi chimiche riescono solo ad intontire le tse tse che poi vanno finite con le armi convenzionali. Per fortuna la zona infestata è abbastanza circoscritta altrimenti non so proprio come avremmo potuto resistere. E’ ormai pomeriggio molto tardi quando arriviamo al Ranger Post di Mukululu, vicino ad un bellissimo corso d’acqua ed imponenti baobab. Armatissimi rangers ci accolgono e ci lasciano campeggiare all’interno del loro posto. Combattiamo la possibile malattia del sonno trasmessa dalle tse tse con un salutare gin and tonic bello fresco (la Land di Augusto è dotata di un fantastico frigo!)14

16 Ottobre

Attraversiamo il parco da Nord a Sud per l’unica pista. Boscaglia fittissima, radure con enormi baobab, di tanto in tanto vedute su panorami immensi ma animali quasi niente. Poche gazzelle ed un lontano branchetto di elefanti molto nervosi.15

Siamo lontanissimi dalle zone più frequentate del parco ed il nervosismo di questi pachidermi mi fa pensare che qui sia zona di bracconieri che, come e’ noto, sono una vera piaga per la conservazione della fauna selvatica. L’avorio, il cui commercio è proibito, è richiestissimo sopratutto nel mondo asiatico e per gente senza scrupoli (bracconieri ma anche, pare, fiancheggiatori a livello politico) è fonte di notevoli guadagni. Se gli elefanti che incontreremo vicino al gate principale sono quasi domestici e del tutto tranquilli mentre quelli incontrati nella zona Nord del parco sono molto nervosi e non si fanno avvicinare, una ragione ci sarà. La scarsità di animali comunque è ampiamente compensata dalla spettacolarità dell’ambiente naturale. Nella zona Nord-Ovest sopratutto fitta boscaglia, in quella Sud-Est trionfo dei baobab, alberi primordiali dal fascino inquietante . Arrivati nella parte del parco vicino al fiume Ruaha, ora praticamente in secca, gli animali si fanno numerosi, tantissimi elefanti che cercano l’acqua scavando buche nel letto asciutto del fiume, giraffe, gazzelle impala e scimmie. Augusto che è stato qui tre mesi fa e che ha visto il Ruaha scorrere con tanta acqua è sorpreso nel vedere il fiume ora quasi in secca. Allora il fiume era pieno di ippopotami e coccodrilli che non si sa bene dove siano andati a rifugiarsi. A sera prendiamo alloggio in comode ma soffocanti e un po’ squallide casette con vista sulla valle del fiume.16

17 Ottobre

In mattinata continuiamo il nostro giro nel parco seguendo il corso del fiume. Molto belli sono alcuni punti dove ci sono grosse pozze d’acqua con uccelli, ippopotami, coccodrilli e gli immancabili baobab.17

Usciti dal parco un pistone con molta tole ci porta ad Iringa e poi asfalto fino a Dodoma tra scenografiche colline e migliaia di baobab che si stagliano come strani mostri preistorici al sole calante. Entriamo in Dodoma che è buio e trovare il Kilondoma Inn, la guest house segnalata dalla Lonely Planet, non è per niente facile. Questo albergo è una struttura un po’ demenziale con camere adatte a pigmei che si incrociano e si intersecano in angusti corridoi con porte in alluminio e vetro che si aprono, a capocchia, ora in un senso ora in un altro. In questa struttura non danno da mangiare e ci consigliano di andare al poco distante Grand Hotel (che di grande non ha assolutamente niente!). Nel ristorante ci sono solo due avventori, l’unica cameriera non pare molto entusiasta di doverci servire, il menù è limitatissimo o pollo o pesce. Aspettiamo più’ di un ora per veder arrivare dei piatti con pollo che più duro non si può, con contorno diverso da quello proposto mentre chi ha chiesto il pesce riceve un misto pollo/pesce ! Alla faccia del Grand Hotel!!

18 Ottobre

Lasciamo Dodoma su un bell’asfalto che ci illude per poco, seguito dal massacro delle strade in costruzione e poi dal vecchio pistone che attraverso una fitta boscaglia ci porta a Kondoa, grosso centro dai soliti orribili tetti in lamiera. Poco dopo Kondoa lasciamo l’asfalto e ci dirigiamo verso est per prendere una pista, che aggirando un’ aspra catena di montagne, corre quasi parallela alla direttiva principale Sud/Nord. Siamo nella zona delle pitture rupestri che visitammo nel 2009, zona rurale con campi strappati all’incombente sassosa montagna coltivati sopratutto a cereali ed abitata da coltivatori di etnia Warangi gente cordiale ed affabile. Augusto, che era già stato da queste parti, ci porta ad Itololo nella missione dei padri Passionisti dove vive padre Riccardo, una bella figura di missionario “d’altri tempi”, originario della bresciana, gran cacciatore come tutti i suoi conterranei. Padre Riccardo è un missionario come dovevano essere i primi religiosi venuti in Africa nei secoli scorsi. Solitario, assolutamente refrattario alle cose terrene, alle piccole comodità, ad ogni forma di “carriera” o di onore. Vive da solo (anche se in altre strutture della missione ci sono altri religiosi tra cui il parroco tanzaniano ed alcune suore) non ha televisione, non ha computer, le stanze sono spoglie (a giudicare dalla confusione che c’è in alcuni locali direi che non si intravede mano di donna ). Abbiamo l’impressione che anche il nutrirsi sia per lui un fatto di secondaria importanza e così, poiché noi asceti non siamo, decidiamo che a sera saranno i nostri magnifici cuochi Rosalba ed Ale a cucinare, con padre Riccardo nostro ospite. Un ottimo risotto innaffiato da un buon vino tanzaniano (siamo vicini ad una zona di produzione viticola) e’ quello che passa il convento ed anche l’ascetico padre Riccardo pare apprezzare l’opera dei nostri cuochi.

19 Ottobre

Visita alla missione, completamente autosufficiente con orto, piante da frutta ed animali per latte e carne. Padre Riccardo ci tiene a farci ammirare il piccolo ospedale che sta sorgendo, ove spicca ed è già operativa la sezione maternità. E’ una struttura di grande importanza per i Warangi perché il primo presidio medico si trova a molti chilometri di distanza e le strade per raggiungerlo sono particolarmente brutte. E’ domenica e tutta la comunità cristiana della zona arriva alla bella chiesa per la messa. Padre Riccardo, veste una lunga tonaca bianca, cinto da un grande Rosario, in testa il tricorno, quel tipico copricapo nero con, appunto, tre “corni” che usavano una volta da noi i curati.18

La messa è in swahili e anche se, chiaramente, non capiamo un tubo è commovente vedere la partecipazione di questa gente. Accompagnano la funzione, come sempre in Africa, struggenti canti e musica ma qui non ci sono le assordanti percussioni che abbiamo sentito in altre parti del continente, ad esempio in Uganda, e l’atmosfera è decisamente più mistica. Lasciamo la missione accompagnati da un parrocchiano in motoretta che ci guida nel labirinto di piste che collegano i vari villaggi rurali e che ci porta ad ammirare un plurisecolare baobab che ha una grande cavità dove nel 1907 celebrò messa uno dei primi missionari (anche lui passionista come padre Riccardo) nel suo viaggio di evangelizzazione in queste terre. Accanto al grande albero è stata costruita una piccola chiesetta al cui interno c’è un bel quadro naïf che ricorda l’avvenimento.19

Poco dopo il sacro baobab ritroviamo l’asfalto che ci porta verso il parco Tarangire. A Kwa Kuchinja, proprio all’imbocco della pista che porta al parco, ci fermiamo attratti da un vivace, coloratissimo mercato maasai.20 21

Ci sono anche i soliti asfissianti venditori di improbabili souvenir, ce ne liberiamo a fatica non senza aver fatto qualche acquisto. Tra lo scetticismo per non dire ribrezzo di qualcuno di noi, acquistiamo dei bei cosciotti di capra che i venditori lasciano frollare al sole, alla polvere ed alle mosche. Nello stesso paesotto del mercato sostiamo per mangiare un boccone per pranzo. Ci fermiamo presso un ristorantino sulla strada e per non perdere troppo tempo comandiamo tutti la stessa cosa (che poi in pratica è anche l’unica cosa che hanno): una specie di spezzatino alle verdure cotte. Ingannati dalla nostra mente occidentale non abbiamo pensato che le verdure si trovano in qualche orto distante kilometri e che l’animale che diverrà spezzatino sta ancora pascolando nel bush. Come al solito non abbiamo fatto mente locale: l’africano non dice mai di no, l’attesa paziente per l’africano fa parte del suo patrimonio genetico, l’africano non disdegna di guadagnare due soldi anche se la cucina è chiusa, il cibo non è immediatamente disponibile, il cuoco è andato a fare la siesta etc etc. Dopo un’interminabile attesa arriva il nostro pasto, obiettivamente ottimo ed abbondante.

Satolli entriamo nel parco Tarangire, un po’ preoccupati per i numerosi visitatori che incontriamo all’ingresso. D’altra parte il parco si trova a due passi da Arusha e dalla strada che porta agli universalmente noti parchi del Serengeti e Ngoro Ngoro e non possiamo pensare di essere soli nell’Africa selvaggia e sperduta che, sotto sotto, ognuno va cercando. Questo parco invece è una sorpresa, il paesaggio è caratterizzato da una quantità di baobab che lungi dallo stancare (ma quanti ne avremo incontrati in questo viaggio ?) affascinano sempre. I baobab sono uno diverso dall’altro e con un po’ di fantasia si possono paragonare di volta in volta a mostri, ad animali fantastici, a forme impensabili, un po’ come facciamo guardando le nuvole di un cielo tempestoso. Io poi non mi stanco mai di fotografarli, alla luce dell’alba, al pomeriggio, al tramonto sempre pensando che il prossimo sarà  piu’ interessante del precedente o illudendomi di immortalare il baobab perfetto. Ma naturalmente in un parco si va sopratutto in cerca di animali e qui troviamo tanti elefanti, sopratutto nel greto del fiume in cerca di acqua, giraffe, impala, bufali, zebre e waterbuck. A sera ci concediamo delle belle camere in una struttura interna al parco, per cena i cosciotti di capra comprati al mercato, insaporiti con aromi vari e cotti in pentola pressione. Anche i più scettici tra noi ne riconosceranno la squisitezza.22 23

 20 Ottobre

A zonzo per il Tarangire, elefanti, due ghepardi, una decina di leonesse, gazzelle, coccodrilli nelle poche pozze rimaste e naturalmente tanti e tanti…….baobab. A sera siamo ancora al Twiga Lodge and Campsite, tipico luogo di sosta per turisti, campeggiatori ed overlanders. Cena d’addio per Augusto e Gianfranco che domani andranno al Ngoro Ngoro.24 25

 21 Ottobre

Abbiamo un giorno a disposizione e siamo solo ad un centinaio di kilometri da Arusha nostra meta finale e così decidiamo di concludere il nostro viaggio con una cartolina dall’ Africa, una di quelle cartoline con un vecchio maschio di elefante sotto una grande acacia ad ombrello col sole che tramonta (o che sorge? mah, dubbio amletico ) dietro l’innevata vetta del Kilimanjaro. Per trovare la giusta inquadratura decidiamo di fare l’intero periplo alle falde del famoso monte. Ma gli dei della montagna non sono con noi, niente vecchio elefante, niente acacia e sopratutto niente Kilimanjaro. Evidentemente sul Kili dimorano gli stessi dei del monte Kenya; ci sono passato sotto almeno quattro/cinque volte e lui non si è fatto mai vedere. Le falde del Kilimanjaro sono molto accattivanti (e come non potrebbero esserlo con tutta la pubblicità che gli ha fatto Hemingway), la vista sulle piane dell’Amboseli spettacolose, le gente che ci abita, gli Chagga, allegra e socievole ma del Kili….niente.

Pazienza, la cartolina sarà per la prossima volta. Da qualche altra parte dell’Africa.

 

PARTECIPANTI

Gian, Rosalba e Carlo su Toyota hzj 78 (Yuma)

Alessandro e Luigi su Toyota pzj 75

Augusto e Gianfranco su Land Rover 110

km percorsi 4984

26

3 comments… add one
lucio December 28, 2014, 11:57

molto interessante e coraggioso,certo che viaggiare così è ancora un viaggiare e non da inscatolati turisti da spenacchiare (giustamente).

gianni testa "magiardo" February 12, 2015, 15:56

..a parte le mosche e gli gnu lontani, il tuo racconto mi ha molto catturato.
…sto preparando, per il prox inverno
un viaggio come il tuo con 4×4 a noleggio da Nairobi….magari ci sentiamo… complimenti. G.T. Magiardo

Michele October 15, 2015, 15:47

Ciao complimenti per il viaggio, se riesci a contattarmi per email volevo chiederti informazioni e costi per parchi e safari
grazie
ciao

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