By Nicola De Marinis
Originally Posted Wednesday, May 16, 2007
“Sulle strade dell’Africa”
12.000 km a bordo di una moto da Tunisi fino in una Missione del Burkina Faso e ritorno attraverso il Mali e la Mauritania fino a Gibilterra dove Africa ed Europa s’incontrano…
Testo e Foto:
Nicola De Marinis
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Da tempo volevo spingermi molto più a sud, oltre il deserto dell’Hoggar nel Sahara Algerino.
Due miei amici Enrico e Riccardo dovevano raggiungere con un fuoristrada la Missione dei Fratelli della Sacra Famiglia nello sperduto villaggio di Nanorò in Burkina Faso, in quell’Africa “nera” forse poco conosciuta ai motociclisti e non facile da raggiungere, ed io con la mia moto decisi di seguirli in questo lungo viaggio.
Al distributore di benzina appena fuori dal porto facciamo rifornimento, riempio i tre serbatoi della moto e lasciamo Tunisi ed il suo traffico serale alle nostre spalle. Il potente faro della moto illumina i rettilinei che portano a sud, facendo attenzione a qualche carretto privo di luci, cosa normale da queste parti.
Siamo a metà novembre, e l’aria fredda ci accompagna fino all’oasi di Gafsa a 350 km più a sud dove passeremo la notte.
Alle prime luci dell’alba passiamo per la colorata oasi di Tozeur per portarci verso il confine algerino passando da Nefta ed in fine al piccolo villaggio di frontiera di Azoua dove velocemente i gentili gendarmi della dogana ci congedano dalla Tunisia.
L’Algeria
Percorriamo i tre chilometri che dividono i due stati, così vicini ma così lontani nei modi e nelle estenuanti attese in dogana.
Il militare di guardia della frontiera di Taleb Larbi, con un gesto imperativo ci indica di fermarci e spegnere i motori a 100 mt dal posto di dogana; ormai e’ un rituale che conosco bene! Ci rechiamo negli uffici della dogana e ci viene incontro Youccef la nostra guida e con lui suo “zio”, solerte assistente che serve a mettere in moto con un cacciavite la vecchia peugeot degli anni ’70; il tutto per la modica cifra di 150 € al giorno! E’ dal gennaio 2004 che le autorità algerine hanno imposto l’obbligo delle guide per entrare nel paese.
Quella mattina eravamo gli unici tre stranieri ad entrare in Algeria, con una moto ed un fuoristrada e pur essendo presi in carico dalla guida che aveva tutti i nostri dati inviati dall’Italia un mese prima, ci sono volute più di tre ore per sbrigare le formalità di dogana. Negli anni non è cambiato nulla, stesse lungaggini, inutili attese per opporre qualche timbro e meno male che il visto viene rilasciato in Italia, ed il nostro transito in Algeria è stato rallentato non poco per problemi della stessa guida. E’ vietato anche lasciare l’asfalto se non nella regione dell’Hoggar dove le uniche strade di collegamento sono piste.
Nel primo pomeriggio finalmente partiamo ma dopo un km dalla dogana, dobbiamo fare un altro controllo dei passaporti alla Gendarmerie con un’altra ora di estenuante attesa.
Il viaggio è lungo, da Taleb Larbi ci sono oltre 2000 km fino alla sperduta frontiera di In Guezzam, il posto più a sud dell’Algeria e ci vogliono se tutto va bene circa 4 giorni di viaggio.
La transahariana
Un nastro di asfalto buttato la in mezzo al nulla che taglia in due il deserto, e più si va a sud la strada assomiglia ad un campo minato, con buche ovunque, e pensare che questa strada in tempi passati avrebbe dovuto collegare il mediterraneo al golfo di Guinea, ma i continui attriti tra gli stati del magreb ed i paesi sub sahariani, hanno fatto che la strada si arenasse tra le sabbie a Tamanrasset dove poi diventa una pista.
Ad El Gòlea siamo ospiti da Youccef nella sua casa dove pernottiamo. All’indomani percorreremo i 400 km che ci separano da In Sala
Il convoglio con i militari
Da In Salah ripartiamo con il convoglio militare, vale a dire uno o due fuoristrada davanti con militari a bordo e lo stesso in fondo al gruppo. Con noi ci sono altri due fuoristrada uno di turisti francesi ed uno di un gruppo di geologi.
Tutt’oggi dopo anni di viaggi in Algeria mi chiedo dell’utilità di questa “scorta” dato che in altre parti del paese non viene imposta, ma solo in questo tratto di strada che attraversa il Plateau del Tademait.
Anche se con la moto posso mantenere una buona media, devo sottostare alla velocità imposta dai militari che e’ di circa 60 70 km orari e ne approfitto per godermi il panorama circostante; ovunque dune che si stagliano a perdita d’occhio. Ma ecco l’imprevisto: il motore della vissuta peugeot di Youccef si stacca completamente cadendo per metà sull’asfalto. Lo ripariamo alla bene meglio legando i supporti del motore con una robusta cinghia e dopo circa un’ora riusciamo a far ripartire l’auto della nostra guida ma poco dopo l’automobile è nuovamente ferma per una foratura.
Sotto un cielo blu cobalto arriviamo alle Gole di Arak dove c’è una postazione militare, una stazione di benzina ed un piccolo “cafè restaurant“. Qui i militari ci impongono una sosta. Faccio rifornimento di benzina alla moto e ci riposiamo un po’. Durante la sosta mentre i militari del convoglio vanno alla locale caserma per il pranzo, i turisti francesi con il loro fuoristrada se ne vanno ed i militari ci chiedono dove sono andati non curandosi di seguirli o di fermarli e poco dopo siamo di nuovo in viaggio con la “pantomima” della scorta. Ad In Eker finalmente i militari finiscono la loro “missione” e si fermano alla caserma del villaggio e proseguiamo da soli.
Tamanrasset
Ormai è sera quando nel buio più totale ci fermiamo per un’altra foratura ad un altro pneumatico stile “slik” della peugeot dellla nostra guida. La macchina è ferma, non ha altri pneumatici di scorta e viene lasciata sulla transahariana con lo “zio” a bordo per evitare che venga rubata o smontata.
Youccef viene caricato sul Land Rover dei miei amici e decidiamo di proseguire.
Il G.P.S montato sulla moto mi indica che mancano a Tamanrasset circa 150 km dove arriviamo a sera.
Pernottiamo al camping 4×4 situato vicino alla pista fuori città che conduce sull’Assekrem.
Tamanrasset un tempo era crocevia di carovane di Tuareg, di scambi commerciali. Oggi ci si ferma per rimettere in sesto i mezzi duramente provati nella estenuante attraversata del deserto. Diverse le agenzie che oraganizzano tour turistici nell’Hoggar ed un moderno aeroporto collega Tamanrasset alle oasi del nord nonché alla capitale Algeri.
A notte fonda la nostra guida con la gomma riparata, va a recuperare lo “zio” e la sua macchina.
In Guezzam, dove finisce l’Algeria.
La mattina seguente finalmente mettiamo le ruote sulla sabbia.Alle nostre guide si aggiunge Mohammed, esperto autista di fuoristrada e conoscitore del deserto che si presenta con un potente fuoristrada Toyota sul quale prendono posto Youccef e l’inseparabile zio.
Partiamo in direzione sud. A Tamanrasset finisce l’asfalto ed inizia la pista per In Guezzam, sperduto villaggio di frontiera posto a 400 km più a sud.
Finalmente metto a dura prova la moto e la sua preparazione da deserto. La pista per i primi km e’ in ottime condizioni, si riesce a mantenere una buona media. Io faccio da contatto visivo tra la Toyata delle guide ed i miei amici con il loro fuoristrada decisamente più lento. Siamo in pieno deserto ed all’orizzonte ad est si vedono le ultime propaggini delle pendici dell’Hoggar.
Anche se la direzione è quasi sempre a sud, ci sono parecchi bivi e svolte repentine per trovare la pista o quel passaggio migliore. Nel pomeriggio facciamo una sosta sotto un’enorme acacia, e Mohammed ci prepara un ottimo tè degno della tradizione Tuareg. I km da percorrere sono ancora tanti.
Più andiamo verso sud più si vedono sparse qua e la carcasse di automobili, auto che non sono mai arrivate a destinazione, ma fermate inesorabilmente dal deserto. La pista diventa sempre più accidentata e diventa una toule ondulè che mette a dura prova la moto. E’sera arriviamo ad In Guezzam dove montiamo il campo fuori dal villaggio tra le dune e ceniamo intorno al fuoco; la notte stellata e la stanchezza ha la meglio su di noi.
Nel villaggio facciamo rifornimento di carburante e ci rechiamo al posto di frontiera.
Un fortino in mezzo alle sabbie, pesanti camion dove gli autisti sgonfiano un po’ i pneumatici per “galleggiare” meglio sulla sabbia del deserto e doganieri annoiati che aspettano il calar del sole o forse aspettano che piova. Stesse formalità per uscire dal paese e le stesse tre ore d’attesa per i passaporti. Salutiamo le nostre guide servite solo ad alleggerirci di 1000 € da una frontiera all’altra.
Qui finisce l’Algeria, poco più in la il Niger.
La frontiera di Assamakka in Niger
Dodici chilometri di pista inesistente, unico riferimento il way point del G.P.S posto sulla moto o le uniche due piante che a malapena si notano all’orizzonte; questo e’ il posto di frontiera di Assamakka in Niger.
Appena si arriva ad Assamakka, sembra di essere su un set cinematografico stile post nucleare.
Ovunque baracche e lamiere, capre, camion carichi di clandestini diretti sulle coste del nord’Africa, taniche di carburante e locali che tentano di venderti qualsiasi cosa o ci chiedono un invito per l’Europa per avere il visto. Ci viene in contro il “trafficone” di turno o meglio il mediatore tra noi e la dogana. Egli si prodiga a districare le formalità doganali con i militari. Io e Riccardo lo seguiamo nei suoi spostamenti tra una tenda di militari e l’altra, mentre Enrico è di guardia ai nostri mezzi circondati da numerosi curiosi.Entriamo in una tenda dove un giovane militare annota su un quaderno sgualcito dal vento e dalla sabbia le nostre generalità. Altri miliari con tanto di occhiali stile Rai Ban e fiammiferio tra i denti, sono sdraiati su vecchie brandine ci osservano e ci chiedono da dove arriviamo. E un continuo scrivere, mettere timbri, e tirar fuori euro e noi in poco meno di mezz’ora siamo “sdoganati”. Il tutto è costato circa 25 € per tre persone ed il mediatore intasca i soldi sotto gli occhi vigili dei militari che poi appena noi saremo lontani intascheranno la loro parte; niente domande niente risposte. Ho saputo di turisti che pur di non pagare “le formalità di dogana” sono rimasti bloccati in questa sperduta frontiera anche 2 giorni.
Verso Arlit
Ripartiamo in direzione est. La pista anche se larghissima e le tracce vanno ovunque e ben segnalata da un bidone ogni km. Con la moto riesco a mantenere una buona andatura ed a tratti supero anche i 130 km orari ma si deve prestare molta attenzione nelle zone dei solchi lasciati dai camion; li la sabbia e finissima e nasconde buche improvvise dove è facile cadere rovinosamente come è capitato a me, fortunatamente in quel tratto andavo decisamente più piano senza conseguenze per me, ma solo qualche graffio alla moto.
Al quarantesimo km come d’incanto, appare un cartello eroso dal vento che indica in direzione sud Arlit.
Percorriamo i 200 km che ci separano da Arlit in un paesaggio di dune e reg, ed il fondo della pista cambia di continuo, a volte sabbiosa ed a volte con pietre taglienti. Ogni tanto incontriamo degli accampamenti Tuareg i quali vedendoci arrivare all’orizzonte, si portano in prossimità del nostro passaggio per chiederci acqua e qualche cosa da mangiare. Incontriamo poi un camion carico di viveri diretto ad Arlit ed il giovanissimo autista ci chiede un po’ d’olio per il motore e foto ricordo. Su queste direttrici in Niger, si incontrano spesso enormi camion carichi di ogni cosa, ed il più delle volte sono anche in panne da parecchi giorni, aspettando che qualcuno passi da quella pista e possa in qualche modo dargli aiuto a riparare il motore; nel Sahara il tempo non esiste.
Nel tardo pomeriggio a sud est si iniziano a vedere le montagne del massiccio dell’Air e questo significa che siamo in prossimità dell’anonimo villaggio minerario di Arlit, e le ciminiere delle miniere di uranio lo confermano. Ad Arlit si può fare rifornimento di carburante e viveri.
Ad Arlit ritroviamo l’asfalto lasciato 650 km più a nord.Andiamo nel centro del villaggio e pernottiamo al campeggio di Monsieur Moustache, simpatico e baffuto ometto ma dai trascorsi un po’ ambigui. E’ consigliabile far registrare il pernottamento al locale posto do Polizia nel centro del villaggio. All’interno del campeggio notiamo diverse auto con targhe europee ben celate sotto teloni ed intuiamo che siano di dubbia provenienza; l’Africa è anche questa. Rimetto un po’ in sesto la moto dopo i primi 3000 km percorsi, controllando principalmente la bulloneria e facendo un’accurata pulizia all’aspirazione.
Sull’asfalto riusciamo a mantenere una buona media, e giornalmente percorriamo circa 600 km. La moto va benissimo e non ha avuto fin’ora nessun problema, ma il viaggio è ancora lungo e potrebbe riservare sorprese. Il giorno dopo di buon’ora ripartiamo in direzione di Agadez dove arriviamo nel primo pomeriggio e tra turbini di sabbia si erge il minareto color sabbia famosa cittadina arsa dal sole a metà tra il Sahara e l’Africa “nera”. Ad Agadez partono gli itinerari per il deserto dei deserti: il Ténéré.
L’Africa sub Sahariana
Il paesaggio è cambiato. Siamo nell’Africa sub sahariana, dove il deserto come girando una pagina dell’atlante, lascia il posto al sael. Le persone ed i piccoli villaggi che si incontrano sulla strada sono diversi da quelli da qui siamo passati nei giorni scorsi.
Il caldo si fa sentire mentre nel deserto molto più a nord la temperatura era decisamente più fresca. Nel villaggio di Teoua ci fermiamo per passare la notte ed i militari ci consentono di montare il campo vicino alla loro postazione.
Passando nei villaggi, io con la moto non passo inosservato ed a ogni sosta ci sono tanti curiosi tra cui molti bambini che vengono a guardarla, molti dei quali attratti dalla strumentazione di bordo. Nei villaggi si deve fare molta attenzione oltre che alle persone ed a piccoli animali che attraversano improvvisamene la strada; cadere da queste parti potrebbe essere un’avventura difficile da dimenticare ed ai lati della strada spesso si vedono dei piccoli laghi dove in prossimità di questi si vedono delle piccole fabbriche a cielo aperto di mattoni con operai poco più che bambini.
Il fiume Niger
Sono ormai dieci giorni che siamo in viaggio. Il G.P.S, mi indica che mancano 20 km a Niamey ed il traffico è notevolmente aumentato e man mano che ci si avvicina alla città il caos è totale degno di una metropoli africana. Percorriamo la lunga strada di fianco all’aeroporto che conduce al grande fiume: il Niger.
Ogni tipo di mezzo oltrepassa il grande ponte su questo fiume immenso. Il senso di marcia è alternato causato da una corriera carica di persone e pecore bloccata da ore par la rottura del motore. La temperatura del motore della moto è salita di molto e la ventola di raffreddamento fa il suo dovere.
Oltrepassato il ponte ci fermiamo per scattare qualche foto. Enormi barche scaricano centinaia di zucche ed angurie e facendole galleggiare, delle persone addette le fanno arrivare fino a riva dove vengono caricate su carretti per i mercati circostanti. Decine di persone lavano i panni sulle rive tra i canneti, tra pescatori che gettano le reti e bambini che si divertono a fare tuffi.
Siamo al confine tra Niger e Burkina Faso e precisamente alla frontiera di Foetchango.
Il Burkina Faso
Dal sael, ora siamo passati alla savana vera e propria. Al posto di frontiera i gentilissimi militari ci offrono un’aranciata freschissima, niente di meglio dopo chilometri e chilometri sulla moto sotto un sole torrido.
Sembrano lontane le lungaggini della dogane algerina, qui è tutto più sbrigativo e veloce, il tutto svolto con estrema gentilezza.Il comandante della dogana è molto interessato alla mia moto e mi chiede se sono disposto a vendergliela, ma si accontenta di salirci sopra per una bella foto ricordo.
Il Burkina Faso, si estende per 274,400 km quadrati ed è considerato uno degli stati più poveri al mondo.
Con la moto mentre passo dai piccoli villaggi, capisco subito la realtà di questo paese africano.
Capanne in fango con tetto di paglia e foglie di canne, e la gente è intenta ad accudire piccoli animali per il sostentamento. Lungo la strada, donne con anfore sulla testa e con bambino nella sacca sulla spalla camminano con andamento fiero verso il pozzo più vicino per attingere dell’acqua fresca. Chi è più fortunato possiede delle mucche dalle enormi corna, accudite il più delle volte da bambini. Sparsi nella savana si vedono degli enormi bao bab, gigantesche piante sotto le quali gli animali possono trovare un po’ d’ombra.
Percorrere queste strade africane con la moto è davvero entusiasmante, e le sorprese sono più delle volte dietro l’angolo. Un pomeriggio dopo una curva mi sono trovato un piccolo coccodrillo che velocemente attraversava la strada per rituffarsi nel lago oltre la cunetta; con la moto l’ho evitato per pochi centimetri.
Arriviamo a Fadà Gourmà, cittadina da dove partono le direttrici che portano a sud verso la Costa d’Avorio ed il Togo ed a ovest verso la il Mali ed il Senegal. Passeremo la notte in questa trafficata cittadina ed alla sera ci gustiamo dell’ottimo montone alla brace, specialità locale, suscitando non poca curiosità trai locali essendo gli unici “bianchi”.
Altri 300 km e siamo arrivati a Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso. Il traffico è al livelli limite come del resto l’inquinamento. Penso di non avere mai visto una città più inquinata di questa. Miriadi di persone sfrecciano su motorini alimentati da una miscela di benzina ed olio al 8/9% causando nuvole di fumo azzurro ovunque, in aggiunta camion carichi di ogni mercanzia e pulmini usati come taxi che trasportano persone, pecore e motorini. Ho gli occhi irritati da un alone di smog che aleggia ovunque.
Ci dirigiamo a nord verso la periferia di Ouagadougou per dirigerci al villaggio di Nanorò.
Il villaggio di Nanorò
Dopo circa 100 km, al villaggio di Bussè lasciamo l’asfalto e giriamo a sinistra, prendendo la pista in terra rossa che porta a Nanorò. Qui l’aria è decisamente pulita non c’è inquinamento. La pista si snoda in mezzo ad un vegetazione rigogliosa con parecchi laghetti ai lati. Lascio andare avanti i miei amici con il fuoristrada.
loro sanno dove si trova la Missione dei Fratelli della Sacra Famiglia.
Arriviamo a destinazione nel pomeriggio, i padri ed i volontari della missione che lavorano qui, sapevano del nostro arrivo, e la festa è grande. Veniamo letteralmente circondati da miriadi di bambini incuriositi dal nostro arrivo. Molti mi dicono “nassara nassara” che significa nella loro lingua “uomo bianco”.
La mattina seguente faccio un giro al coloratissimo mercato, e si è già sparsa la voce di un uomo bianco arrivato dal deserto su una grande moto. In ogni mio spostamento a piedi, vengo seguito da sciami di bambini e quando mi fermo a scattare delle foto molti dei quali vogliono guardare dentro il mirino delle macchine fotografiche.
Percorro in moto le piste tra i villaggi, mi fermo a scattare fotografie, la gente è curiosa e gentile e non invadente, ed i ragazzini non chiedono soldi o cadeau, ma ti offrono un sorriso. Mi fermo a visitare una piccola scuola elementare, ed il maestro mi dice che qui i bambini percorrono due volte al giorno la distanza di 8 km a piedi per seguire le lezioni. Bambini che arrivano dai villaggi circostanti, ma la cosa importante che a scuola oltre allo studio, trovano anche un pasto.
I padri della Missione mi avevano parlato di un villaggio dove la gente sopravvive estraendo delle pepite d’oro da dei corsi d’acqua. Mi informo, il villaggio si chiama Yako. Con la moto attraversando la brusse tra villaggi sperduti aiutandomi con il G.p.s, riesco ad arrivare a Yako. Oltrepasso le ultime capanne in fango alla periferia del piccolo villaggio di minatori, e lo scenario che mi si presenta è a dir poco Dantesco.
Decine di pozzi d’acqua a cielo aperto con rigagnoli d’acqua ovunque e donne e uomini chini dentro l’acqua fino alle ginocchia che setacciano con bacinelle in rame l’acqua sperando di trovare il prezioso metallo.
Chiedo del capo villaggio il quale mi concede gentilemente il permesso di scattare fotografie.
Ormai sono sono dieci giorni che sono qui alla Missione e decido riprendere al lunga strada di ritorno.
E’ l’alba sul villaggio di Nanorò quando saluto i miei amici che resteranno qui a lavorare come volontari per circa tre mesi.
Mi dirigo verso il Mali ed in due giorni raggiungo la caotica capitale; Bamako. Poi spingendomi a nord attraversando il lungo tratto di deserto fino a Niorò du Sael, ultimo villaggio di frontiera del Mali prima di entrare nell’immensa e caldisima Mauritania, dove i 47° di temperatura mi hanno accompagnato fino a Nouachott sull’Oceano Atlantico, dove le temperature scendono velocemente a 23° più ci si avvicina alla capitale lasciandosi il deserto alle spalle.
I venti freddi dell’Oceano mi accompagneranno impetuosi lungo le coste del Sahara Occidentale fin su in Marocco. Sento dentro me che il viaggio sta volgendo al termine e lentamente quasi a non voler che tutto questo finisca, attraverso lentamente Tangeri.
Le insegne al neon dei “Cafè de Paris” e “Hotel del la Ville”, annunciano un’aria di modernità. Sembra ieri che avevo lasciato il porto di Tunisi, ma sono passati quasi due mesi, ed il freddo qui sullo stretto di Gibilterra dove Africa ed Europa s’incontrano, si fa sentire.
Tra poco il traghetto in poco meno di un’ora mi sbarcherà a Tarìfa, altri 2.500 km attraverso Spagna e Francia ed in due giorni sarò a casa.
Inevitabilmente riaffiorano i ricordi di questo viaggio entusiasmante in questo continente meraviglioso.
L’Africa o l’ami o la odi; io ho scelto di amarla.
Altre foto del reportage sono archiviate protette dai diritti d’autore presso l’agenzia Marka di Milano e Roma
La moto del viaggio
Le moto utilizzata per il viaggio è una Honda Transalp 600 modello 1987′ modificata per grandi raid nel deserto.
Gli ammortizzatori di serie sono stati sostituiti con ammortizzatori maggiorati nelle escursioni sia nelle forcelle anteriori che nella molla centrale del retro treno.Con ammortizzatori del genere si evitano ad ogni buca o nelle asperità del terreno dei “fine corsa” dannosi per il telaio che si avrebbero con ammortizzatori di serie montati sulle moto enduro di serie perché oltre al peso del motociclista va calcolato il peso se pur ridotto al minimo del bagaglio personale e dei ferri per porre rimedio ad una eventuale guasto.
La moto ha tre serbatoi della benzina uno centrale di serie e due in alluminio posti sulle fiancate per un totale di 42 litri per un’autonomia di circa 800 km. Il serbatoio centrale è a “caduta” mentre quelli laterali vengono azionati da una pompa meccanica a “depressione” e durante il viaggio vengono svuotati per prima contemporaneamente per pareggiare il peso e per ultimo viene azionato quello centrale.
Un serbatoio per l’acqua in alluminio della capacità di 8 litri situato al posto del paramotore. L’mpianto elettrico indipendente per l’alimentazione del G.P.S Garmin Street Pilot Color Map cartografico posto sul manubrio sopra il serbatoio dell’olio dei freni su supporto Touratech. Sono stati usati pneumatici Desert Michelin con camere d’aria rinforzate.
Documenti necessari
Visti per Algeria, Niger e Burkina Faso. Mi sono servito dell’agenzia visti Ias di Roma.Il visto per la Tunisia viene rilasciato direttamente al porto a Tunisi.
Come già accennato nel servizio, dal gennaio 2004 per entrare in Algeria ci vuole la guida obbligatoria.La nostra è costata 150€ al giorno ed era la meno cara, ma so per certo che diverse agenzie chiedono anche 200€ al giorno.
Circolazione libera sia in Tunisia, Niger e Burkina Faso. Al porto a Tunisi ed alla frontiera Algerina è consigliabile nascondere il G.P.S, in Tunisia se lo trovano viene sigillato e trattenuto se si resta in Tunisia, se si è di transito viene “riaperto” alla frontiera di uscita. In Algeria in frontiera potrebbe essere sequestrato. Passate le dogane in entrambi i paesi le autorità di polizia sul G.P.S non dicono nulla.
Valuta
Tunisia dinaro Tunisino
Algeria dinaro Algerino
Niger e Burkina Faso franco c.f.a
L’euro viene preso ovunque.
Il viaggio
Personalmente non consiglio di intraprendere un viaggio del genere alla prima esperienza in moto in Africa, ma avvicinarsi per gradi.
I chilometri da percorrere sono tanti e le parecchie ore di guida sulla moto in un territorio sotto certi aspetti ostile, può causare se non si è preparati forti disagi.
Totale km percorsi 12.500