By LeManiDelChaos
Originally Posted Friday, February 10, 2006
SENTO LA TESTA PESANTE, ANZI, SBILANCIATA…
Finalmente un giro che sa di antico, affidarsi al caso poi nei paesi arabi non é così male, anzi si segue la filosofia locale inshallah. E il caso ci ha fatto incontrare e conoscere a Douz (tunisia) presso l’hotel “sahara paradise” e più precisamente nel parcheggio, l’ultimo di cinque fratelli che tra le varie cose che fanno per campare é mettersi a disposizione dei turisti con auto 4×4 per fare da guide e accompagnatori nei posti più sperduti del deserto tunisino.
Il contatto sopra menzionato si fa chiamare Bel Gazel ma questo non é certo il suo vero nome, ma fa niente ci si da appuntamento per la sera per prendere accordi. Il giorno noi l’abbiamo passato per farci un primo giro con le nostre rispettive moto di 90 km facendo un anello a sud di Douz giusto per prendere contatto con la sabbia e verificare se tutte le teorie divenute poi modifiche o integrazioni del mezzo e dei suoi strumenti erano all’altezza delle aspettative. Arriva l’ora e all’appuntamento si presentano 3 persone: Bel Gazel, suo fratello maggiore Abdullah e un altro componente della famiglia, Ali, forse un cognato. Le spiegazioni prima e le trattative poi vanno avanti per due ore, un po’ in italiano-arabo, per il resto in francese. Cioé chi di noi che aveva poca proprietà di linguaggio con il francese parlavamo in italiano e WB traduceva e lo stesso facevano loro, parlottavano in arabo e Bel Gazel e Abdullah traducevano in francese. Alla fine raggiungiamo un accordo che ambo le parti ritengono soddisfacente e lo mettiamo nero su bianco con tanto di firme.
Io sono le mani del Caos ed ho scritto questo per mostrarvi come sia la vostra mente a dipingere i colori del tempo che attraversate.
Tanta abbondanza di precisione non si era mai vista, l’accordo prevedeva l’ingaggio di alì e abdullah per 5 giorni, su toyota pik up 4×4, il trasporto dei bagagli, della benzina (120lt) e il vettovagliamento per colazione e cena. prezzo pattuito 1000 dhiram (compreso l’acquisto della benzina) 50% subito e 50% alla fine. A proposito il giro prevedeva, douz, timbaine, petite decanis, lago, el mida, ksar ghilane, douz, ci informano subito che loro in auto fino al lago non arrivano e che ci aspettano a 13 km al piccolo decanis. La mattina dopo loro sono partiti, mentre noi “sboroni” dedichiamo un altro giorno all’allenamento, sentendoci talmente forti da poter fare in un solo giorno quello che loro fanno in due. L’allenamento si é rivelato più duro e massacrante di quel che si voleva e li ci siamo giocati Simone. L’euforia e l’eccitazione che ci aveva pervaso appena concluso l’accordo, l’avevamo spesa tutta il giorno dopo, per cui la mattina del dì fatidico, ci siamo trovati con zero adrenalina e per giunta con un tempo insolitamente uggioso. Risolti i problemi tecnici sulla mia moto (una cara vecchia suzuki dr 350 alla sua 16^ africa) batteria nuova ko, partiamo con il classico atteggiamento di coloro che devono andare ma che preferivano starsene a letto per partire in un altro momento. Partire per il deserto con freddo e vento va bene ma anche con la poggia non si era mai visto, e lì abbiamo immaginato che avremmo dovuto dare fondo a tutta la nostra preparazione e tenacia se volevamo rivedere le guide prima che facesse buio.
E così fu. Dopo i primi 40 km di quel che é rimasto della pista che da douz porta verso sud est al bar “la porte du desert” gestito da ibrahim, raccogliamo il forfait ormai scontato di Simone, viste le sue condizioni psicofisiche ha preso una decisione saggia, in africa non bisogna MAI sottovalutare le difficoltà, se non ci si sente al 100% meglio lasciar perdere, ci sarà sempre un’altra occasione. Rimasti in tre i mitici PP WB e AG, memori anche di traversate di deserti fatte come prime assolute per le moto, ci guardiamo in faccia per ripetere mentalmente il giuramento di totale fiducia e solidarietà reciproca necessario in momenti come questo per trovare l’assenso di ciascuno nell’affidare se necessario il proprio destino ai compagni. OK si parte e boia a chi molla, ancora 30 km di pista conosciuta e fatta il giorno prima e poi come pianificato a tavolino, operiamo un taglio verso sud ovest totalmente fuori pista per altri 30 km per arrivare direttamente a timbain. Il taglio si era reso necessario per evitare un giro molto più lungo a seguito della creazione del parco naturale che impedisce di percorrere la vecchia pista.
I trenta km di fuori pista di dunette tunisine significano un giorno di tempo se fatti con l’auto, noi essendo in moto, avendo trovato sabbia compatta per via della pioggia, con la nostra esperienza e dovendo recuperare tempo sulla tabella di marcia impieghiamo un’ora e venti minuti, niente male. Il maltempo ci accompagna inclemente, ormai anche i pantaloni e le vecchie giacche in gore-tex cedono e l’acqua comincia a filtrare negli indumenti sottostanti con grande disappunto e disagio da parte nostra. La muscolatura soprattutto quella delle gambe si era impietrita vuoi per lo sforzo e vuoi per il freddo la guida ne risentiva non potendo più contare sull’elasticità di queste preziose masse muscolari. In una collinetta a qualche centinaio di metri dal nostro obiettivo – Timbaine – provvidenzialmente PP si ferma per fare una foto e mangiare qualcosa, e quasi immediatamente WB allarmata grida PP la tua moto perde olio, tanto olio. PP con sangue freddo, in due secondi decide di togliere le bisacce laterali, e appoggiare la moto per terra su un fianco opposto a quello in cui una pietra aveva divelto una vite sul cater motore squarciandolo. Porca vacca, non abbiamo con noi olio motore, lo troveremo all’appuntamento se riusciremo a raggiungere Alì e Abdlullah! PP previdente ha con se stucco metallico bi componente e così in meno di mezz’ora riusciamo a chiudere lo squarcio e a ripartire. E l’olio? “Ghe nè che basta”! In effetti il progetto del motore sul suo Suzuki dr 400 con carter secco aiuta. In questi momenti di estrema difficoltà ho sempre visto i miei compagni con una particolare luce negli occhi, una strana eccitazione che faceva trovare soluzioni che altrimenti non sarebbero mai venute in mente. Mi ricordo di Pollo che con il suo BMW rs80 ad un certo punto prima gli é scoppiato l’ammortizzatore e poi a furia di sobbalzi non ammortizzati, si é staccato l’occhiello superiore dall’ammortizzatore stesso, elemento fondamentale per tenerlo ancorato al telaio, eravamo in mezzo al deserto e non avevamo l’attrezzatura adatta ad una riparazione, e in quelle condizioni non poteva fare neanche un metro; in un quarto d’ora l’abbiamo fatto ripartire, come? con molta fantasia e creatività, tutt’ora penso che gli ingegneri tedeschi sarebbero stati ammirati da tanto ingegno. Il guaio era molto grave in quanto in compressione la testa dell’ammortizzatore avrebbe sfondato la sella e se la sarebbe trovata puntata sul sedere e in fase di rilascio il cardano e la ruota posteriore non avrebbero avuto alcunché per stare ancorati al telaio se non il solo perno del forcellone.
La soluzione: una vite dove andava ancorato l’ammortizzatore sul telaio molto più lunga in maniera tale da contenere la spinta verso l’alto, una cinghia fissata tra cardano e telaio per limitarne l’estensione fino al punto desiderato e attenzione attenzione un elastico collegato tra il telaietto portaborse esterno e la cinghia in modo tale che durante la compressione quando la cinghia si sarebbe allentata e poteva finire nei tasselli della ruota veniva invece continuamente tirata verso l’esterno. Magnifico! … e così ha percorso senza problemi centinaia di km incontrando terreni di tutti i tipi e così é arrivato a casa!
Dopo questa parentesi, nella quale eravamo entrati in un’altra dimensione, quindi non avevamo più fatto caso al freddo alla pioggia e al vento, improvvisamente siamo tornati alla realtà, che poco a poco e in modo subdolo mina la resistenza fisica e psicologica delle persone. PP nostro apripista nonché primo navigatore delegato decide di percorrere una rotta già da lui più volte fatta verso il lago di …….. , ma la ricerca del paesaggio impresso nella sua memoria non dava frutti nonostante la strumentazione gli dicesse “ce l’hai sotto al culo”. Quante volte ci è successo di stare in un posto che ricordavamo in un modo e ce lo troviamo davanti completamente diverso? Figuriamoci riconoscere dei tratti di dune che il vento sicuramente ha in parte modificato e con una situazione di luce e meteo completamente diversa. Sono le due del pomeriggio, e PP da buon navigatore comincia a farci fare un percorso abbastanza agevole, aggirando gli ostacoli peggiori in quell’ottovolante che è il deserto tunisino, il risultato è che in 30 minuti abbiamo percorso ben 15 km non male ma in linea d’aria ci siamo avvicinati all’obbiettivo di soli 5 km un percorso così comodo era un lusso che non ci potevamo più permettere. Rimanevano ancora 2 ore di luce e 20 km in linea d’aria di un susseguirsi ininterrotto di dune. Vista l’ora si decide di prendere la direzione diretta che ci avrebbe rallentato ulteriormente ma contavamo di coprire comunque la distanza rimanente.
Allora divagazioni zero e attacco spietato alle dune, nel frattempo l’acqua aveva reso il terreno sabbioso molto compatto rispetto a quando è asciutto, ma il vento contrario alla nostra direzione di marcia ci spruzzava continuamente gocce d’acqua sugli occhiali rendendo la visuale molto deformata a tal punto che siamo stati costretti a toglierceli. A 5 km dalla meta scorgiamo l’altura del piccolo decanis, ciò ci infonde ulteriore vigore, le residue forze si moltiplicano come se fossimo stati ricaricati dell’energia spesa durante tutto il giorno. L’euforia dura ben poco sostituita dal timore di non trovare le nostre guide all’appuntamento, potevano essere state vittime di un banale guasto meccanico. E chi di noi sarebbe riuscito a resistere per tutta la notte all’aperto sotto la pioggia senza l’attrezzatura da campo bagnati e infreddoliti? Meglio non pensarci, abbiamo acceso le luci delle nostre moto, illudendoci di poterci far vedere, visto che noi al momento non vedevamo alcun ché. Finalmente arrivati ai piedi della collinetta scorgiamo Abdullah che nonostante la sua mole, scendeva il pendio accidentato saltellando con la naturalezza di un ballerino, sembrava la scena di un film, quando la vedetta scorge il nemico o la cavalleria che corre in soccorso e va ad avvisare i compagni. Il sorriso sul suo faccione tondo era largo e generoso, in quel preciso momento lo preferivamo anche a Claudia Schiffer, preparato il campo ci troviamo una minestra bollente da assaporare, e tra il suo calore e una dose esplosiva di peperoncino ci lacrimano gli occhi e ci cola pure il naso, nonostante questo ce la siamo sorbita tutta d’un fiato e la sensazione del freddo era svanita.