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Rebiana 1996 By Glauco

– Posted in: Africa, Nord Africa, Resoconti di viaggio

By Glauco

Originally Posted Friday, August 13, 2004

 

“REBIANA 96” ( Testo di Martines Glauco)

 

DESTINAZIONE: LIBIA DEL SUD EST
PERIODO: 21/12/96 – 11/01/96
PARTECIPANTI: MARTINES GLAUCO & MARCHETTI DANIELA- TOYOTA BJ 70 VARESE
GRASSI CLAUDIO & DANIELA – LAND ROVER 90
MILANO
CRIVELLI ALFREDO & ROBERTA – LAND ROVER DEFENDER
MILANO
MAGANI ETTORE TOYOTA HJ 61
PAVIA
CARA’ GERMANO & CINZIA TOYOTA HJ 61
PARMA
TRAGITTO: GENOVA-TUNISI- RASSJDIR-MISURATA-ZILLA-TAZERBO- BUZYMA-REBIANA-KILINGUE-ZUMA-WAW AN NAMUS-WAW EL KEBIR-TMISSAH-MURZUK-UBARI-GAHT-AKAKUS-AL AWAYNAT- SEBHA-MIZDA-ZUARA-TUNISI
CHILOMETRI: 6300 ( DI CUI 2000 CIRCA DI PISTA/FUORIPISTA)

Il giorno 21/12/96 alle ore 12 siamo al porto di Genova. Partenza prevista ore 16.00.
Partenza reale ore 01.00 ! Come al solito sono stati venduti più biglietti dei posti disponibili e la situazione si è risolta, dopo risse e tentativi di assalto, solo con il carico delle macchine eccedenti ( tra le quali quella di Ettore ) su un cargo che arriverà circa un’ora dopo alla nostra nave, la mitica Habib.
*CONSIGLIO: Arrivare SEMPRE almeno 4 ore prima della partenza prevista, soprattutto nel periodo natalizio, altrimenti rischiate di rimanere a terra anche con il biglietto ( anche da Tunisi).
Usciti dalla dogana tunisina ( dopo circa un’ora di formalità ) alle 03.00 di lunedi 23, dopo aver mangiato un succulento panino a base di fegato di montone e salsa al peperoncino ( harissa) si parte immediatamente destinazione Zuara, cercando di precedere tutti gli altri fuoristrada caricati sulla nave ( oltre un centinaio ) che sembrano tutti diretti in Libia.
*CONSIGLIO: attenzione al benzinaio che si trova uscendo dal porto in direzione Tunisi in quanto è emerito delinquente.
Arrivati al distributore per il rifornimento di carburante, approfittando della stanchezza di Ettore che dopo un viaggio in poltrona di 2a classe tra risse, fumo e montagne di spazzatura per circa 35 ore, legge 125 dinari anzichè 12,5 ( paga circa 210.000 £ anziché 21.000 ), il benzinaio fa finta di niente e incassa la cifra.
Prova inoltre, questa volta invano, a fregare anche gli altri sul resto.
Almeno 60 chilometri prima della frontiera libica compaiono i tipici “sbandieratori” di banconote che cambiano da dinari tunisini a dinari libici e viceversa. Cambiano anche da dollari o franchi francesi a dinari libici. Il cambio nero (che è illegale) è circa un decimo del cambio ufficiale. Per il cambio ufficiale un dinaro vale 5000 £ al cambio nero 500 £. Dalla libia è illegale importare o esportare valuta locale.

 

Arriviamo in dogana a Ras Jdir verso le 13.00, e, constatiamo fortunatamente che vi sono pochissimi turisti, e quindi, a parte la solita attesa dovuta al pranzo dei doganieri, in circa 3 ore riusciamo a superare frontiera tunisina e libica.
*CONSIGLIO: Le formalità di ingresso cambiano in continuazione, anche da persona a persona lo stesso giorno !!.
Noi abbiamo fatto: esibizione passaporto al gabbiotto posto a dx, che viene timbrato senza compilazione di alcuna scheda. Non fate la coda, gli europei hanno la precedenza su tutti !!!!.
Recativi all’interno dell’hangar ( non occorre più portare l’automobile all’interno nè viene fatto alcun controllo )e per ogni veicolo ( auto o moto cambia solo l’importo dell’assicurazione) versate ad una delle due banche l’importo di 220 $ ( o l’equivalente in altre valute ). Vi daranno circa 70 DL ( di cui 50 vi verranno restituiti all’uscita dalla Libia e non potrete più convertire se non dagli “sbandieratori” ) e 2 ricevute di cambio da utilizzare una per l’assicurazione e l’altra per le targhe . Attraversate l’hangar ( direz. verso il mare e poi dx ) e raggiungete la baracca ove fare l’assicurazione ( esibire la ricevuta di 6/ 8 DL ) .
Tornare di fianco al gabbiotto della banca ( con l’assicurazione ) per fare il Carnet ( versare direttamente 50 $ ). Passare allo sportello a sx per fare le targhe, consegnando: passaporto, ricevute cambio, assicurazione, e carnet. Vi daranno la targa, ( che potrà essere anteriore o posteriore o entrambe) da applicare al mezzo. Fissatela CON MOLTA ATTENZIONE con delle ziptie o filo di ferro. Complimenti, ce l’avete fatta, potete entrare in Libia !
Pernottiamo all’ostello di Sabrata, che si trova sulla sinistra entrando in paese, nelle immediate vicinanze del teatro romano.
*CONSIGLIO Le camere dell’ostello sono in condizioni pessime, è meglio quindi piazzare le tende nel giardino lato mare.( 3 DL a testa.). Poco prima dell’ostello c’è anche un albergo ( in Libia “funduk”) le cui stanze, oltre ad essere a letto singolo (!) sono in condizioni da “colera”.
Ci dirigiamo, dopo una velocissima visita a Leptis Magna, verso Zilla, dove finalmente inizierà il “vero” viaggio.
Rapida visita al mercato coperto ( incredibile ) per acquistare pane e ottimi mandarini. Finalmente imbocchiamo la pista in direzione Tazerbo, circa 600 km e 3 giorni di viaggio.


La mattina del 26 sveglia alle 5,00 e partenza alla 6,30. Si attraversano splendidi plateaux e interminabili reg, ove affiorano qua e là i resti di campi di prospezioni petrolifere abbandonati da decenni. Stiamo percorrendo un fuoripista già fatto nell’agosto del ’95 , e quando ci fermiamo ad attendere il gruppo ad un wpt, con grande emozione scopriamo tre tracce parallele che qua e là si perdono nella sabbia; sì, sono le nostre tracce di un anno e mezzo fa! E’ incredibile come nel Sahara in alcuni luoghi una traccia scompare dopo pochi minuti ed altrove rimane anche per decenni !

tracce

Ma adesso comincia il bello. Ci troviamo di fronte ai primi cordoni di dune che sbarrano l’accesso a Tazerbo. Nel viaggio prima ricordato, dopo alcuni tentativi di attraversamento e altrettanti insabbiamenti, avevamo desistito e puntato tutto a sud per arrivare alla fine dei cordoni. Dopo una deviazione di circa 200 km. eravamo oltre , ma a 10 chilometri in linea d’aria dal punto abbandonato il giorno precedente.

Ma questa volta non desisto, siamo qui apposta!. A supporto abbiamo le coordinate prese dal libro di J. Gandini appena uscito nella edizione ( per ora solo in Francese ) sul Sud Est Libico che si affianca alla precedente edizione sul Sud Ovest. Ci accorgiamo subito che le coordinate non indicano i punti di passaggio ( le” porte”) ma solo le direzioni da prendere per raggiungere i “gassì” ( lunghi corridoi di terreno solido tra i cordoni di dune ). Quindi lunghissime camminate tra le dune a cercare i passaggi migliori, anche se, una volta trovati, non tutti riescono a superarli in scioltezza ( anzi…).
Comunque dopo un intensa giornata di cammino, spalate , spinte, traini ecc. ci fermiamo a dormire,
*CONSIGLIO . La preventiva esplorazione personale dei passaggi sulle dune E’ ESSENZIALE. Faticoso ( a meno che siate in moto) ma anche divertente, soprattutto vi permette di stabilire la reale velocità e le marce da utilizzare per ogni duna che dovrete affrontare. Troppo veloci ci si ribalta in avanti, troppo lenti non si sale, ci si insabbia, o ci si può rovesciare su un fianco nei passaggi in contropendenza. E’ importante andare decisi e con il motore sempre in tiro, non vi preoccupate se si “imballa”, lui non vedeva l’ora di venire qui! Essenziale è pure sgonfiare le gomme a circa 1,5 – 1 bar e anche 0,8 ( verificate la differenza ENORME dall’ averle a 2,5/3 come di solito). Le uniche gomme ideali disponibili in Italia per queste condizioni di terreno sono le Michelin XS 7.50-16. Rigonfiate subito le gomme sul terreno duro!


E’ opinione comune che le dune sono più facili da attraversare alle prime ore del mattino quando la sabbia è più fredda. Per esperienza personale, dopo avere fatto 5 viaggi in agosto ed attraversato erg alle 2 del pomeriggio a 47/50 gradi, posso dire che ci si insabbia alle 6 del mattino di dicembre a 15 gradi esattamente con la stessa facilità. Diverso è invece il dispendio di energie e il consumo di acqua necessario ( 2/3 litri al giorno pro capite in dicembre e almeno 8/10 in agosto) con conseguente aumento di carico del veicolo.
Oltrepassati i cordoni di dune, per diversi chilometri si trova nuovamente un “piattone” molto veloce e privo di grosse difficoltà. A circa 50/60 chilometri da Tazerbo, e fino alla cittadina, ci troviamo a zigzagare tra grossi cespugli di tamerici seguendo tracce recenti che però aumentano notevolmente le difficoltà di “galleggiamento”, tanto che nel tratto finale, si verificano alncora numerosi insabbiamenti.


Arriviamo a Tazerbo il giorno 27, facciamo carburante ( che finisce giusto quando tocca ad Ettore che per fortuna ne aveva ancora 250 litri) e facciamo le formalità all’ufficio del turismo. Creiamo un caos tale con la ns. organizzazione nel compilare i fogli che riusciamo ad ottenere in meno di un ora e senza allegare le foto richieste una autorizzazione (in arabo) per la circolazione fino a Tmissah che ci sarà molto utile per evitare lunghe attese nei vari posti di polizia seguenti.
CONSIGLIO* I poliziotti, i militari e i libici in generale, sono estremamente cortesi, gentili e ospitali, ma sono altrettanto inflessibili nelle procedure burocratiche anche più stupide e difficilmente corruttibili ( almeno loro…) Quindi cercate di essere sempre altrettanto gentili ed educati, ma allo stesso tempo cercate di essere simpaticamente insistenti se se ne presenta il caso. Parlate di Baggio, di Milano e dell’Italia che tutti ammirano spassionatamente ( beati loro ) e qualcosa si ottiene quasi sempre. Portate comunque alcune foto tessera, ed un elenco di partecipanti al viaggio e dei loro veicoli e generalmente tutti i dati che si riportano sul modulo di richiesta del visto, magari anche in arabo. Ricordatevi di fare timbrare il visto entro 48 ore ( o una settimana come sostengono i libici) perché alcuni amici sono stati rispediti indietro a lontani posti di polizia all’uscita dalla Libia per non averlo fatto, (nonostante alcuni libici sostengano che dal 97 non è più necessario).
Ci accampiamo appena usciti dal villaggio. Si parte la mattina alle 7.30, accompagnati per alcuni chilometri da file interminabili di piloni che portano elettricità ai numerosi pozzi della zona voluti da Gheddafi per realizzare il suo faraonico progetto : portare l’acqua dal deserto al mare!. Sembra un’assurdità, ma è invece una opera ingenieristica colossale ( oltre 1.500 chilometri di tubature interrate da 2 metri di diametro dirette fino a Bengasi, sulla costa mediterranea ) che permette di sfruttare le acque “fossili” presenti nel sottosuolo di Tazerbo aventi una capacità paragonabile alla portata del fiume Nilo per circa TRENTA anni !
Subito dopo ci accorgiamo cosa vuol dire “mare di sabbia di Rebiana”. Per oltre 50 chilometri si viaggia nel nulla assoluto su una sabbia non sempre consistente, senza alcun punto di riferimento, al punto tale che per capire se si è in movimento bisogna guardare il tachimetro. Improvvisamente ci accorgiamo di essere in salita, e con immensa emozione cominciamo a “navigare” in un mare sempre più agitato.

 

Morbide onde di sabbia alte 20/30 metri ci cullano dolcemente, fino a che, in vista di Buzayma, si fanno più tempestose causando qualche “affogamento” per il quale dobbiamo intervenire con le scialuppe (sottoforma di piastre metalliche ) di salvataggio. Per fortuna riusciamo a “sbarcare” all’oasi Buzyma. ( Circa 130 chilometri da Tazerbo )
Stupenda isola in un mare di sabbia, abbandonata alcuni anni or sono per volontà governativa di accentrare i piccoli insediamenti abitativi, è un massiccio montuoso vulcanico del diametro di una decina di chilometri che si erge improvviso dalla sabbia per una altezza di circa un centinaio di metri. Ogni picco che contorna quello principale è costituito da rocce di consistenza e forma differente, e quindi non possiamo fare altro che cominciare a girovagare per ore alla ricerca della forma più strana.


Ai piedi del monte, sul lato sud est si sviluppa, il palmeto che contorna parte del grande lago salato dal colore rosso intenso, ai cui bordi durissime incrostazioni di sale hanno provocato un insolito corrugamento del terreno. Pare che le acque del lago siano “curative” e che gli abitanti di Tazerbo e Rebiana vengano ancora qui per questo. Pranziamo all’interno di un cortile assolato, perfettamente a nostro agio in quel posto incantevole e completamente deserto, dato che tutti i viaggiatori che preferiscono l’ est della Libia all’ Akakus solitamente si dirigono direttamente a Tazerbo.


*CONSIGLIO In estate è popolato dalla più grossa quantità immaginabile di mosche fastidiosissime, al punto da rendere il soggiorno un vero inferno.
All’uscita del palmeto, costeggiando il lago, si troverà una zona di sabbia TERRIBILE, che bisogna affrontare a tutta potenza senza fermarsi mai, se non, in caso di emergenza , sugli sparuti cespuglietti sparsi qua e là. Attenzione però che ripartire sarà davvero difficile.
Ettore, data la mole e il carico della sua macchina si insabbia qui per oltre un’ora, e solo dopo decine di tratti fatti spalando e con l’aiuto di 4 piastre riesce a prendere velocità, giusto quando compaiono gli altri amici che per evitare quella sabbia si sono fatti quasi 3 chilometri a piedi per venire ad aiutarlo.
*CONSIGLIO Le zone di sabbia molle ( prive di dune ) e soprattutto quelle di fesh-fesh, vanno affrontate con il massimo della potenza del motore ( eventualmente sgonfiando le gomme ), utilizzando anche le ridotte ( soprattutto le Toyota che hanno le marce più lunghe delle Land Rover).
Se vedete un vostro compagno in difficoltà, non commettete l’errore di fermarvi di fianco per aiutarlo, perché invece di avere un problema ne avrete due ! ( antico motto Tuaregh ) Piuttosto date tutto gas tenendo sempre in tiro il motore, e se siete oramai in prima ridotta quasi fermi, provate a “remare” con lo sterzo, girandolo a più riprese a desta e sinistra. Spesso funziona.
Quando proprio la macchina non avanza più, fermatevi IMMEDIATAMENTE ( non usate i freni ovviamente). E’ inutile insistere se la macchina non ce la fa più perché non farete altro che scavarvi una fossa dalla quale uscirete solo con un elicottero. Dovete scendere e, se insabbiati, con la pala LIBERATE I PONTI e tutte le sporgenze del telaio ( non fate MAI l’errore di lasciare la ruota di scorta agganciata sotto lo châssis o il gancio di traino per roulotte montato).Una volta liberato tutto, posate la piastre sotto le ruote anteriori ( in modo da farle prendere anche dalle posteriori) se la macchina non è sovraccarica. Se invece in carico posteriore è eccessivo ( come sempre! ) allora posatele sotto le posteriori. Le piastre ( che devono essere innanzitutto leggere e sempre a portata di mano se nonno le userete mai per non fare fatica e vivrete sempre al piano seminterrato ) vanno posate il più possibile orizzontali, e soprattutto spinte con un piccolo calcio sotto le gomme per farle “prendere” subito” E’ essenziale la preparazione accurata dell’operazione, dato che continuando a fare tentativi inutili oltre ad insabbiare ancora di più il mezzo, i compagni di “sventura” ( che DEVONO sempre dare il massimo della collaborazione) incominceranno a pensare che è meglio seppellirvi in loco.


Il tragitto sino a Rebiana si svolge quasi prevalentemente a cavallo di dune di media altezza ( 10/15 metri) dove è importante mantenere sempre una velocità abbastanza elevata per evitare affondamenti nei frequenti tratti di sabbia meno compatta. A circa 180 chilometri da Tazerbo , quando oramai manca molto poco a Rebiana, perdiamo parecchio tempo a causa di un pianoro di sabbia morbidissima in fondo ad una discesa ove tutti si insabbiano, e dove verifichiamo che la binda di Claudio, da alcuni ritenuta essenziale per un viaggio in fuoristrada, è perfettamente inutilizzabile per sollevare la macchina dalla sabbia sulle piastre.
*CONSIGLIO L’utilità della binda solleva una diatriba di una tale complessità che al confronto la questione mediorientale si riduce ad una semplice discussione condominiale. Qui di seguito cercherò di esporre, con quanta più possibile imparzialità, le due opposte scuole di pensiero.
La binda ( grosso crick a funzionamento manuale tramite un sistema di leve ) è sicuramente utile per le escursioni fuoristradistiche, soprattutto impegnative, svolte nell’ambito “casalingo”. Infatti può venire utile per sollevare la vettura bloccata in una fossa, o spostare grossi tronchi. Il sottoscritto , non avendo quasi mai affrontato situazioni del genere, non può indicare altri usi particolari, ma nell’abito sahariano può sostenere quanto segue: il peso è eccessivo, ( anche 15/20 chili, e chi prepara un viaggio nei minimi dettagli sa che non è trascurabile ) è ingombrante ( più di un metro di lunghezza e quindi non sempre può essere tenuta a portata di mano ) deve essere tenuta al riparo dalla sabbia e non deve essere mai ingrassata in quanto il più piccolo granello può bloccare il meccanismo ( chiedetelo a Claudio che è riuscito a sbloccarlo solo ritornato nel garage di casa sua ), deve essere usata solo in presenza di specifici attacchi ( informatevi di quante persone hanno visto cadere la macchina priva di attacchi dalla binda durante un cambio di ruota e che ne hanno dovuta usare una seconda per sollevare il tutto ) Concludendo, la binda può servire realmente solo in condizioni di grave difficoltà ( raddrizzatura di parti metalliche ) o come barra di rimorchio di un veicolo in panne, e quindi ciascuno deve soppesare i molti difetti e i pochi pregi ( indubbiamente in rare ma possibili occasioni è effettivamente insostituibile.) Ah, dimenticavo, sicuramente fa molta scena!
Siamo quindi costretti, vista l’ora, a fare campo appena oltrepassata la cresta, passando la notte più fredda di tutto il viaggio ( 2/3 gradi sottozero).
Alla mattina si parte alla 7, e dopo 40 minuti arriviamo in prossimità di Rebiana ( attenzione alla ultima salita prima dell’oasi che è molto soffice ! ) E’ da tenere presente che attorno a tutte le oasi in genere ( e in particolare a Buzayma e Rebiana) la sabbia è MOLTO insidiosa, e quindi nel nostro caso è consigliabile dirigersi subito verso lo chott e seguire la pista molto battuta dirigendovi verso la grande antenna ( che contraddistingue ovunque in Libia l’ufficio postale ) che spunta tra le palme. Pur essendo molto sconnessa, è sicuramente la strada più sicura, e in circa 15/20 minuti sarete al benzinaio ( gonfiate le gomme o procedete molto lentamente. )

 

La sensazione che si ha entrando nella via principale ( oserei dire l’unica ) è difficilmente descrivibile. Il centro “abitato” più vicino è ad oltre 180 chilometri da qui, e per raggiungerlo non esiste una pista vera e propria, ma solo tracce tra le dune. La vita scorre con una lentezza e tranquillità inimmaginabile, tanto che arriviamo alla fine del paese senza accorgerci, e senza che nessuno faccia il minimo cenno di scomporsi per l’arrivo di 5 fuoristrada di certo ben vistosi.
Ritorniamo subito sui nostri passi per verificare se il distributore che qualcuno ha notato è effettivamente funzionante, dato che lo stato di abbandono dei mezzi “tecnologici” in Libia è a livelli ” scientifici”.
A questo punto la popolazione comincia a dare segni di vita, e come di consueto abbiamo modo di costatare la splendida ospitalità , cortesia e contestuale discrezione che viene sempre riservata in Libia a tutti i turisti, soprattutto italiani.
*CONSIGLIO Come risaputo la Libia si è aperta al turismo da pochi anni, e si può osservare come la scarsa presenza ( per ora ) di turisti ne abbia lasciata integra la antica concezione di “viaggiatore” al cui arrivo è d’obbligo (secondo la cultura araba e poi mediterranea), una accoglienza assolutamente amichevole e disinteressata. Purtroppo alcuni europei ( e qui nasce la differenza tra turista e viaggiatore) arrivano in questi luoghi con la presunzione di essere portatori di verità assolute, e che l’immagine di semplicità che si presenta davanti ai propri occhi è interpretabile come “povertà”. Quindi, per pulire la propria coscienza da chissà quale colpa, pensano bene di riempire bambini e adulti di tutto quello che prudentemente si è portato da casa per l’evenienza ( caramelle, giocattolini, e le maledettissime “stilo'”) Non vi è nulla da ridire se ciò avvenisse a seguito di un reale contatto umano, che vada oltre al contatto formale e che diventi un vero e proprio scambio di doni tra appartenenti a popoli lontani e differenti . Purtroppo qualcuno arriva al punto di lanciare i “cadeaux'” direttamente dall’auto in movimento pur di levarsi la gente dai piedi. Per favore, non riducete i libici come purtroppo alcuni tunisini , algerini e marocchini, a fornire un’immagine di insistente questuante che assolutamente nessun magrebbino merita.


Una prima persona ci conduce ad una tubazione per consentirci di fare il pieno di acqua, una seconda parte alla ricerca del benzinaio. E qui una sorpresa: fatto rarissimo ( a detta di colui il quale sarà la nostra futura guida ) riusciamo a trovare del gasolio direttamente alla pompa, senza dover ricorrere al mercato nero. In questa occasione conosciamo appunto Salem, ex poliziotto algerino fuggito dal suo Paese per problemi avuti con il Fis ed ora occupato part time alla locale centrale elettrica. Dopo una lunga discussione avvenuta a più riprese concordiamo nell’assumerlo come guida, dato che decidiamo ora di seguire fedelmente le coordinate fornite dal libro del Gandini le cui note riportano numerosi passaggi difficili , e soprattutto ” cercare i passaggi tra le dune”.
L’accordo sul prezzo è sempre una avventura, e dopo aver pattuito 600 dinari per un percorso di tre giorni che ci portasse all’imbocco della pista per Waw An Namus, ci comunica che la sua macchina è guasta e che il benzinaio sarebbe disposto a venire con la propria macchina in cambio di … 600 dinari giusti. Dopo una nostra risposta collettiva somigliante molto ad un “mavaffanculo”, decide di offrire la sua prestazione gratuitamente e di far pagare solo l’auto ( mah…! )
Accettiamo, anche se la cosa non ci garba molto. Mentre il benzinaio va a prepararsi per il viaggio, carico Salem sulla mia Toyota per iniziare le varie formalità burocratiche alla polizia e al posto militare. Parla un ottimo francese e inglese ( almeno per le mie conoscenze…) ed effettivamente sembra un tipo in gamba. Inoltre vengo a sapere che il nostro passaggio a Rebiana nell’agosto 95 è passato alla storia in quanto ” un bambino rubò del cioccolato ad alcuni italiani e finì in ospedale”
In realtà quello che il bambino aveva “trafugato” dall’auto di Ettore mentre eravamo ospiti del padre era una tavoletta di “meta” sostanza chimica che avevamo portato per accendere il fuoco !!!.
Per fortuna tutto si risolse solo con un forte mal di pancia.
Ho con me la foto del gruppo di ragazzini scattata ai tempi, tra i quali c’è anche lui. Consegno quindi la foto a Salem da regalare al povero malcapitato; dopotutto le colpe sono state espiate!!.
Torniamo al paese, e troviamo l’autista con il suo mezzo; sorpresa ! , si tratta di un rarissimo toyota pick up azzurro anni ’70. In realtà è la macchina ( e il colore ) più diffusa in assoluto in tutto il sud libico. Le condizioni sembrano discrete, e tanto sappiamo che di meglio non è possibile trovare. Comunque, loro a casa con quei mezzi ci tornano sempre. Miracoli della tecnologia … antica.
Percorriamo la pista lungo lo chott in direzione Buzayma per deviare, all’uscita dal palmeto, direzione cap 270, rituffandoci nel mare tempestoso. Dune di 20/30 metri abbastanza compatte vengono affrontate alla velocità massima consentita. In fondo alle discese il tachimetro indica 90 km/h !. E’ una sensazione indescrivibile, le “montagne russe” sono nulla rispetto alle “montagne libiche”.

 

Ai tratti segnalati con balise se ne alternano altri di sabbia “immacolata”, e più volte si cambia improvvisamente direzione per affrontare nella migliore maniera i continui cordoni.
Effettivamente sia il driver che la guida sanno il fatto loro e quando improvvisamente Claudio si blocca in una “pozza molle”, saltano come fennech dall’auto e cominciano a buttare le piaste sotto le ruote della Land a ripetizione, correndo davanti all’auto per non farla fermare!
Finita la sabbia percorriamo alcuni chilometri tra collinette pietrose per confluire in una delle classiche piste tracciate dai contrabbandieri che si snodano tra le dune e i passi pietrosi che fanno da anticamera all’imponente massiccio del Tibesti in territorio chadiano. Commerciano benzina e viveri con le popolazioni Tebu stremate dalla fame a causa del conflitto durato parecchi anni con la Libia stessa. Cosa ricevano in cambio non sono mai riuscito a capirlo, dato che denaro liquido non penso possa essercene disponibile molto.
Un susseguirsi di veloci plateoux ci permette di fare più strada del previsto e nonostante le classiche soste di attesa durante una delle quali scorgo una macina neolitica nel bel mezzo delle pista, Salem è soddisfatto dei nostri ritmi. Probabilmente avevamo dato una impressione ancora peggiore !
Ci conduce a fare campo all’interno di una duna a mezzaluna apparentemente inaccessibile. Qui saremo al riparo dal vento notturno.
Aprendo la portiera mi cade subito l’occhio su un piccolo frammento di legno fossile, e tutto contento della cosa mi volto verso gli altri per comunicare la “scoperta”. Vedo giusto Claudio e Daniela con in braccio ciascuno un tronco da almeno mezzo metro , e quindi desisto dallo “scoop”.
In realtà tutto il terreno intorno a noi è costituito da migliaia di frammenti più o meno grandi, di legno fossile, contornati da resti di utensili neolitici.
Passo la serata alternandomi davanti al fuoco da noi acceso per bruciare la spazzatura che abbiamo prodotto ( diventato oramai un rito ) e quello acceso da Salem per cucinare e scaldare l’immancabile “chai” ( il thè, rito sicuramente più conosciuto ).

 

*CONSIGLIO Non c’è nulla di più orrendo che trovare nel deserto del Sahara montagne di scatolette e rifiuti abbandonati ! Quindi, evitare innanzitutto il più possibile di produrne, ma dato che qualcosa per forza rimane, scavare sempre una buca PROFONDA e bruciate tutto il meglio possibile ricoprendo poi accuratamente . E’ praticamente inutile portare i rifiuti al più vicino centro abitato perché finiranno irrimediabilmente nelle discariche a cielo aperto che potete ben notare lungo le strade di accesso.
Tra un discorso e l’altro scopriamo che Salem ha accompagnato Gandini durante l’esplorazione che ha portato alla nascita del nuovo libro, e cosa non meno importante, che domani passeremo da Kilingue. Prendo in mano la carta e i miei improvvisi dubbi diventano realtà: ci sta portando sulla pista minata del passo anzidetto!. Lo comunico al resto del gruppo e comincia la classica discussione ma non ti aveva detto …. ma no, lo ha detto a te… ma va, ho sentito benissimo che ti diceva…. e scopriamo quindi che Salem parla tanto bene il francese a l’inglese, esattamente quanto poco lo capiamo noi. Ci guarda esterrefatto con l’aria di uno che pensa “ma che ..zzo avrò detto di strano ? ”
Poco male, dopotutto il campo minato è una esperienza che ci mancava e in previsione di un viaggio nel Tibesti è un allenamento insostituibile!.

*CONSIGLIO Cercate sempre di esprimevi il più chiaramente possibile con le guide, soprattutto in Libia dove la maggior parte di esse sono Tuaregh che parlano tamashek, a volte l’arabo ( sempre ammesso che lo sappiate voi ) ma quasi mai inglese e francese. A volte lasciano intendere di capire molto bene la lingua che state parlando, ma lo fanno esattamente come fate voi quando capite una parola loro su 10 e per tagliare corto dite ok, sa và, quaìss. Fategli quindi sempre ripetere più volte cosa hanno inteso, e a volte conviene fare giochetti del tipo ” a sinistra” indicando la destra oppure mostrando erroneamente la direzione in cui si trova un paese e vedere la loro reazione.
Soprattutto nell’Akakus (dove le guide sono obbligatorie) a causa dell’elevato numero di turisti che circolano in zona, la agenzie turistiche ( sorte in maniera esponenziale ) utilizzano come guide pastori che conoscono bene solo la zona che hanno frequentato magari per decenni, ma fuori dalla loro pista non hanno la più pallida idea di dove stanno andando. Oltretutto a volte non conoscono neppure il nome dei luoghi che vi stanno mostrando e tantomemo vi sanno dire qualcosa sulla pittura rupestre che vi indicano. Il sottoscritto lo ha constatato di persona, e ha avuto notizie di numerosi turisti che hanno dovuto arrangiarsi da soli magari per uscire dell’erg lungo la Ghadames Ghat o che sono dovuti tornare indietro sui propri passi.
Ciò non toglie che vi siano delle guide veramente valide e che vi sanno tirare fuori dagli impicci anche nelle situazioni più drammatiche, solo che il più delle volte ve ne accorgerete quando sarete già partiti. Se avete quindi un GPS, utilizzatelo, perchè oltre ad essere divertente, vi permetterà di seguire il percorso con coscienza, non sottoforma di ” bagaglio appresso”.
La notte passa in fretta, e comunque volenti o nolenti, oramai non possiamo tornare indietro se non sconvolgendo tutto il viaggio.
Seguiamo quindi fiduciosi le guide pensando che se loro ci vanno tranquillamente, non vedo perchè non dovremmo farlo anche noi.


Finalmente il GPS ci comunica che siamo in vista di Kilingue, e tutti rigorosamente sulle tracce del pickup, avanziamo un poco “irrequieti” pensando ai racconti di alcuni nostri amici che si sono accorti che la guida che li conduceva lungo il confine minato con il Chad si era addormentata proprio sul più bello!.
No, per fortuna Salem è ben sveglio, e dicendoci di aspettare un suo cenno spiega come affrontare il passaggio. Lui parte e comincia la salita , e scompare dietro una collinetta . Nel frattempo con incredibile sincronia, quasi tutti nel gruppo ( gli altri lo avevano fatto la notte precedente al ricevimento della notizia), si concedono una pausa per soddisfare impellenti bisogni fisiologici..
Dopo 5 minuti non vediamo ancora nessuno, e, chiedendoci ancora una volta se abbiamo capito bene quello che ha detto, decidiamo di salire sulla collinetta per vedere meglio dato che ” botti non ne abbiamo sentiti !”
Infatti lo vediamo che corre lungo una seconda collinetta e a grandi gesti ci indica di buttarsi tutto a destra lungo il pendio sabbioso da affrontare a tutta potenza, dato che in caso di insabbiamento la solidarietà sahariana qui probabilmente verrebbe meno.
Ettore, nota la sua conoscenza del problema in oggetto avendo più volte affrontato viaggi umanitari in Bosnia, viene democraticamente nominato apripista.
Il suo entusiasmo non è eccessivo, ma siccome in democrazia la minoranza si deve adeguare e soprattutto dato che è in testa al gruppo in una zona dove non è il caso fare troppe manovre , parte a tutto gas.
Non vediamo nuvolette sopette nè sentiamo rumori particolari, e quindi con Daniela al volante, faccio il video reportage con la telecamera che tanto “oramai è vecchia quindi, se anche fosse…”
In meno di un minuto siamo in cima, e da lì, raggiunti anche dagli altri, scendiamo dalle macchine e andiamo letteralmente sulle orme dei due Tuaregh. Ci mostrano un buon numero di mine anticarro sparse attorno, e ci conducono al relitto del camion camperizzato tedesco che li giace dal dicembre del 1991.

 

Con grande emozione all’interno troviamo numerose tracce della vita quotidiana che si svolgeva all’interno di esso, dentifricio, medicinali, scarpe. Tutto è rimasto bloccato come una fotografia di quel tragico giorno.
Salem ci rassicura dicendoci che gli occupanti comunque non hanno avuto conseguenze nello scoppio, contrariamente a quelli della toyota libica i cui resti anneriti giacciono a pochi metri dal camper. Era carico di benzina ed è saltato sulle mine posate dai loro stessi connazionali alcuni anni prima.


La cosa più tragica delle mine è che sono completamente indifferenti allo svolgimento delle guerre assurde che sconvolgono il mondo. Rimangono li anche a conflitto terminato, e nessuno verrà mai in questi luoghi a disattivarle. Si integreranno al paesaggio così come le dune, le montagne, i tronchi fossili, e rimarranno testimonianza, alla stregua delle macine, delle frecce e degli attrezzi neolitici, di quanto l’uomo è capace di creare con la propria “intelligenza”.
Amare constatazioni.

By Glauco
Originally Posted Friday, August 13, 2004

Oltrepassata la zona minate, Salem ci fa notare dei taffoni alti circa una ventina di metri, e tra le varie insenature e crepe notiamo dei graffiti e delle pitture preistoriche ben conservate. Ci conduce inoltre all’interno di quello che era un antico lago, e qua e là scorgiamo resti di accampamenti millenari con macine ancora in sito. Inoltre ci fa notare una grossa pietra in apparenza insignificante, che in realtà, ad una attenta osservazione, denota due intagli appositamente creati per legare delle funi che venivano poste in prossimità dei luoghi di abbeveraggio degli animali ( nella fattispecie probabilmente elefanti) in modo da creare delle vere e proprie trappole. Continuiamo così la giornata tra un sito e l’altro, e durante una sosta pranzo all’interno di uno ouadi, gironzolando costantemente con gli occhi puntati a terra, con grande emozione scopro delle grandi lastre di pietra poste verticalmente in cerchio : ebbene si, è una antichissima tomba, sicuramente preislamica e addirittura preistorica!.

Il nostro percorso subisce ora una impennata verso nord ovest, infatti sono oramai giorni che viaggiamo costantemente a sud ovest, abbondantemente sotto il Tropico del Cancro, e dobbiamo raggiungere Waw An Namus per la notte di Capodanno. Incrociamo una balise fatta con mucchi di sassi e una indicazione scritta con delle pietre probabilmente dagli Italiani negli anni 30, indicante il passo di Zuma. Passiamo la notte a Zuma, e al risveglio Salem ci mostra quella che era una antichissima miniera di Amazzonite, pietra preziosa per i Touaregh e per le popolazioni Tebu, che affrontavano viaggi di settimane per raccogliere qualche scheggia da vendere o da donare alla propria donna.

Pare che questa sia l’unica miniera di tale minerale azzurrastro, e che oggetti con esso realizzati vengano trovati addirittura sulle sponde del lago Chad, a Nguigmi, a un migliaio di chilometri da qui, così come dimostrato da F. Turco nel suo libro “Preistoria del Tenerè” ( Vedi sezione dedicata ai libri su Internet) .

Comunque, come da accordi (se poi come al soliti ci siamo capiti bene non lo sapremo mai !), ci separiamo dalle guide, che ottimamente ci hanno accompagnati fino ad ora e riprendiamo finalmente la “navigazione” con i nostri mezzi. Dopo neanche 10 chilometri ci accorgiamo di essere fuori rotta, e della pista che Salem ci aveva indicata come evidentissima , neanche l’ombra. Poco male, anzi ben felice di navigare in completo fuoripista tiro fuori tutto l’assortimento di carte che ho della zona: satellitari al 500.000 TPC (quasi inservibili) quelle americane al 2 milioni ottime ma di scala inadeguata, e le mitiche italiane anni 30 del Regio Esercito Italiano realizzate da un rilievo di un certo Tenente De Agostini (??!!), ottenute in fotocopia dall’ IGM di Firenze. Sono per nulla aggiornate, ma dato che a noi interessa sapere come è il terreno, sono ottime; tiriamo una riga dritta verso Namus, cercando di prendere una pista indicata come “fustificata” .

Risalendo uno splendido ouadi che sembra chiudersi ogni momento, arriviamo in cima ad un Djebel nei pressi di Eghei, e con immensa soddisfazione, dopo oltre un’ora senza vedere alcuna traccia, incrociamo lungo una discesa da favola tra bassi pinnacoli, una serie di bidoni con una pista ben evidente.

E’ lei, sui bidoni si legge ancora chiaramente la sigla del Regio Esercito. E’ incredibile come ancora una volta siamo testimoni di come il tempo si fermi quaggiù!.

Seguiamo le tracce ancora ben evidenti e i fusti per molti chilometri, fino a raggiungere un bivio, (sempre indicato artisticamente con delle pietre) indicante Waw el Kebir e Ouzu (in Chad). Ora la pista ci porta un poco fuori dalla rotta teorica, ed allora, decidiamo per un ennesimo fuoripista per riprendere i punti satellitari del Gandini che portano direttamente a Namus. Su uno splendido ciottolato abbastanza veloce e collinoso non vedo più i miei compagni, torno indietro e vedo la Toyota di Germano con il copertone distrutto . Impossibile sentenzio, qua il terreno è ottimo. Il tempo di dare un’occhiata per scrupolo alle mie gomme, e scopro che pure io ho bucato!. Incredibile, se non fosse che pure l’altra posteriore è nello stesso stato : 2 in un colpo solo!!!! (e solo io sono a quota 5).

Raggiungiamo la pista del Gandini, e poco prima di Namus finiamo in un “campo” di fesh fesh mostruoso, dove tutti rimaniamo avvolti un gigantesche nuvole di polvere e qualcuno ci rimane pure dentro. Arriviamo al vulcano al tramonto con una luce stupenda, e venendo da est, non vi è alcun indizio del vulcano (oltre ovviamente alla sabbia nera). Se non si è più che attenti e a conoscenza dell’esistenza del vulcano si rischia decisamente di finire giù dalla scarpata! Il luogo è indescrivibile, lascia senza fiato soprattutto se non siete al corrente di quello che potrete vedere, e di conseguenza non vado oltre nella descrizione.

Nonostante la mia idea contraria (non è bello lasciare tracce di sabbia chiara smossa dalle gomme e la risalita è davvero ripida) colto dall’euforia, come un fesso mi butto giù per la discesa con Ettore e la sua Hj. Dopo poche manovre in vicinanza del laghetto rimaniamo completamente insabbiati, fino alle portiere, e perdipiù sbranati dalle zanzare. Usciamo a fatica dopo circa mezz’ora e una salita al limite della trazione, giusto in tempo per fare i preparativi per il “cenone”.

Oramai all’apice dell’ebrezza naturalistico-alcolica, proviamo a fare uno scherzo al gruppetto che si appresta a risalire prima di noi lungo le pendici del cratere precedendolo con una corsa al buio in salita immersi nella sabbia nera. Arriviamo al campo prima di loro, spegnamo le luci e li prendiamo alle spalle con urli spaventosi. Alla fine non sappiamo se il cuore ha subito più danni a loro a causa dello spavento o a noi per la immane fatica (il dislivello è di almeno 150 metri veramente ripidi!) Riusciamo così a tirare la Mezzanotte, brindando chi con lo spumante, chi con il tè, o la birra e chi, non avendo più altri liquidi, con la grappa. Lanciamo i nostri razzi di emergenza che ci trasciniamo da almeno 5 viaggi e scopriamo che su tre se ne accende solo uno (che culo…!).

La mattina ci dirigiamo a Waw el Kebir, con una pista molto dura e a volte con fesh fesh, e l’ultimo tratto per arrivare alla sommità sabbiosa del passo (che è difficile da trovare dato che ci sono tracce in tutte le direzioni e non è visibile direttamente), è un incubo per Claudio, che è costretto far saltare giù dalla Land la sua Daniela per eliminare il “peso superfluo” (beata ragazza!). Inoltre troviamo il militare più negato dell’esercito libico che per indicarci di fermarsi un chilometro più avanti si insabbia a tal punto che occorrono le piastre “assassine” di Claudio per tirarlo fuori. E’ alla guida di un Toyota 4200 benzina pick up di circa 5 anni distrutta completamente, con una gomma diversa dall’altra per disegno, dimensione e diametro!.

Arrivati al posto di Polizia solite formalità (tè compreso), e alla nostra richiesta di fare gasolio ( che qui è assolutamente gratis!) mi indicano di accostarmi al generatore di corrente. Con orrore scopro che vogliono collegare i cavi elettrici (se così si possono definire) del generatore a gasolio alla mia batteria per fare partire la pompa del distributore. Declino gentilmente l’invito facendogli capire che adesso che ci penso di gasolio ne ho da vendere (balle). Piuttosto che veder saltare la batteria come successo in Algeria…

La pista che porta all’asfalto di Tmissah è la peggiore e più distrutta dalla tole ondulè che abbia mai fatto (ad eccezione forse di quella di Tarat in Algeria fatta con un Suzuki sj 410), e qui ho giurato di non tornare mai più a Waw an Namus per questo motivo.

Nell’ultimo tratto a circa 30 chilometri dall’asfalto la tole lascia lo spazio a un sabbione assai cedevole, da affrontare a tutta velocità. Bisogna abbandonare la pista principale per cercare alternative ai lati quando arriverete in prossimità di giganteschi rimorchi per il trasporto di ruspe o carri armati che vedrete abbandonati qua e là.

Probabilmente esiste una pista alternativa per evitare il punto (lungo circa 5 o 6 chilometri) dato che numerosissimi camion militari fanno quella pista. Io l’ho fatta 2 volte e non l’ho mai trovata (nè cercata a dire il vero). Comunque si viene nel Sahara anche per questo, no?

Al distributore di Timissah incontriamo un eterogeneo gruppo italo/svizzero/tedesco/sudafricano con moto e un bel Patrol Gr caricato su un camion in quanto ha la frizione esaurita a causa della imperizia della pilota. Infatti è riuscita a bruciare la frizione ai Laghi Mandara, dove (su di una duna!) è stata rifatta e bruciata nuovamente. Li incontreremo ancora sul traghetto e sapremo anche che le disavventure non erano finite lì.

Non sapevamo che anche noi avremmo dovuto tra qualche giorno cercare assiduamente un camion !.

Andiamo a dormire all’ostello di Zwuilah, (subito dopo il distributore a dx e avanti circa 200 metri ancora a dx) gestito dalla Winzrink dove è possibile dormire dentro alcuni alloggi prospettanti un cortiletto.

Si può cucinare (frigorifero imbottito di polli surgelati) fare una doccia, ma se ci tenete alla vita evitatelo. Lo scaldabagno elettrico scarica direttamente sui rubinetti, e se siete sotto l’acqua e li azionate ve lo raccomando!!!.

Da lì lungo asfalto verso Ghat. Si potrebbe andare a Murzuk e da fare Mathandoush, uscire in vicinanza del colle di Anai costeggiando l’imponente (provare per credere) Erg Murzuk, ma occorrono almeno 5 giorni che noi non abbiamo.

Dobbiamo purtroppo separarci da Claudio e Daniela che devono rientrare a casa, comunque soddisfatti per aver fatto un viaggio tanto vario in soli 17 giorni (compreso i traghettamenti.) .

Arriviamo a Ghat il 2 gennaio, praticamente padroni della città in quanto tutti i turisti che si recano li direttamente dalla sbarco (creando caos, penuria di guide ed un affollamento dell’Akakus che non ha paragoni in altri periodi dell’anno) sono già sulla strada del ritorno. In effetti ora sono le Agenzie che ci cercano, mentre a novembre ho faticato parecchio a trovarne una disponibile.

Pernottiamo all’hotel “prefabbricato” in prossimità della piazza del mercato di Ghat, prendiamo una suite a coppia (per circa 20.000 £) e dato che nella nostra camera non arriva acqua alla doccia, in aggiunta ce ne danno un’altra uso toilette. Che signori!! La camera, a parte per le pareti spesse 5 centimetri in cartone pressato è veramente “romantica”, dato che tutto l’arredamento, letto con baldacchino compreso, è realizzato con legno di palma, unico prodotto di reale artigianato libico trovabile. Inoltre è abbastanza pulita. Per la prima volta rinnego la nostra insostituibile Air Camping comprata usata, che ha più di trenta anni di vita.

Contattiamo la nostra agenzia e dopo un pasto discreto andiamo a dormire.

La mattina mi sveglio con un profumo strano nelle narici, già sentito ma che a causa del sonno non identifico subito. Mi vesto, attraverso la hall per andare in sala da pranzo e a momenti scivolo sul pavimento rischiando di spaccarmi la testa. Ora connetto: ecco cosa era il profumo. Gasolio. Infatti viene usato come detersivo, lucidante (e chi ne dubita) e anti-scarafoni ! Da insegnare alle nostre mamme! Una sola accortezza per i motociclisti, levatevi gli stivali prima di entrare (o tenete indossato il casco) perchè con il puntale metallico che avete e le suole in gomma rischierete di dire agli amici ” ebbene si, ho attraversato tutto il Sahara in moto e mi sono spaccato la testa nell’albergo di Ghat” .

Dopo aver fatto ottimi acquisti (e permute con magliette a scarpe da tennis) con Touaregh nigerini e algerini, partiamo con le due guide (chiamiamole così per distinguerle dalla loro Toyota) per il classico giro dell’Akakus. Purtroppo per noi (cioè per chi ama cercare i luoghi più belli da soli e fugge le zone di turismo “pesante”) ma giustamente per la salvaguardia del patrimonio archeologico e ambientalistico della zona , è impossibile addentarsi tra le mille “scogliere” del djebel in completa autonomia. I nostri due accompagnatori (soprannominati Gianni & Pinotto), sono purtroppo degli sprovveduti, guidano l’auto in maniera tale da far insabbiare sempre i nostri mezzi stracarichi e non sanno neppure il nome di alcuni dei luoghi che ci mostrano. Non parlano altro che arabo, la qual cosa è piacevole perchè così si è costretti ad imparare questa lingua affascinante, ma in caso di emergenza è dura imparare tutto in 5 minuti.

In meno di mezz’ora si sono già fermati tre volte, e alla fine devo provvedere io con una fascetta a fare la riparazione al loro acceleratore.

I luoghi attraversati sono affascinanti e maestosi, i pinnacoli di roccia rossa sommersi dalla sabbia sono spettacolari e danno una emozione impagabile ai motociclisti che li risalgono e discendono a velocità folli.

Ovunque tracce di civiltà remote emergono dalle sabbie e appaiono sulle pareti, è veramente un luogo unico per chi fa’ della passione archeologica motivo del viaggio.

Con nostalgia ricordiamo i luoghi simili (ma forse ancora più belli) che a pochi chilometri (non più di un centinaio) giacciono oramai privi di ammiratori , e chissà per quanto ancora, nel vicino massiccio del Tassili in territorio Algerino.

Al terzo giorno di esplorazione purtroppo succede quello che un sahariano sempre prevede, mette in preventivo e dà per inevitabile, ma che data la fortuna avuta in precedenti 6 viaggi sembrava oramai solo uno spauracchio.

La Toyota di Ettore (4000 turbodiesel con oltre 400.000 chilometri e tre viaggi sahariani all’attivo) pur essendo stata iper revisionata e controllata, comincia a emettere rumori strani dal cambio.

Non vi sto ad elencare i tentativi si smontaggio, rimontaggio, ipotesi, certezze e cazzate senza senso effettuate in una giornata intera di “passione”.

Alla fine un sonoro “crank” ci permette di sentenziare che il cambio o il riduttore sono andati in malora. Cerchiamo di fare affidamento su Gianni & Pinotto, che , dopo aver visto come erano abili a fare la Tagella (o pane di sabbia) avevano guadagnato qualche punto.

La loro soluzione è: loro vanno a Al Awaynat (150 chilometri di pista/fuoripista) , telefonano a Ghat, fanno partire un camion ( che può trasportare rimorchiare un Toyota passo lungo che a pieno carico pesa circa 3.000 chili ) arriva a Al Awaynat ( 120 chilometri di asfalto) vengono da noi (altri 150 di pista) e ci riporta a Al Awaynat (ulteriori 150) Tempo richiesto: circa 5 o 6 giorni!

Oggi è il 5 gennaio e noi abbiamo il traghetto il 10. Bocciato.

Grazie anche al consigli di guide “vere” che nel frattempo ci raggiungono e che ci confermano che non esistono collegamenti radio possibili per avvisare qualcuno, partiamo alle 12,15 dalla capanna dello Chebani (il capo dei Touaregh dell’Akakus) vicino a Teschuinat trainando a turno la ” vecchia cammella”. Alcuni tratti di sabbia li dobbiamo fare a “trenino”, con tre macchine che trainano la quarta che grazie al cielo, riesce a muoversi in 1a ridotta a velocità minima senza bloccarsi definitivamente. Alla fine dobbiamo fare noi strada perchè i due poveracci che ci ha appioppato l’Agenzia non sanno neanche loro che passaggi prendere.

Incredibilmente alle 20,00dello stesso giorno, con il buio pesto, arriviamo all’ostello di Al Awaynat con un sollievo inimmaginabile

La mattina dopo il meccanico del paese (l’unico) smonta un poco di pezzi dalla parte interna della macchina per cercare di arrivare alla scatola del cambio e sentenzia “cambiu mafish”. Il cambio è rotto.

Cominciamo a cercare un camion che possa trainare Ettore o caricarlo sul cassone dato che mancano oltre 2.000 chilometri a Tunisi. Si offre gentilmente un personaggio, che con fare molto umano dichiara che con l’equivalente di sole 600.000 la porta fino a Ubari (262 chilometri). Notare come si nota subito l’influenza del turismo diffuso.

Ringraziamo vivamente e mandandolo a cagare aggancio Ettore alla mia Toyota e partiamo.

Velocità massima 60 all’ora dato che oltre e fino a 70 /80 le mie ruote anteriori non sono equilibrate e sbandano alla follia. Arrivati a Ubari cerchiamo altri camion ma effettivamente è dura trovarne uno di quelle dimensioni.

Di paese in paese, da posto di blocco ad un’altro (tra l’altro sempre gentili e disponibili all’aiuto), arranco fino a all’albergo di Sebha. Grazie alla disponibilità di un dipendente dell’albergo Al Fatha (Mohamed Omar Alì) troviamo finalmente un camion adatto allo scopo: con circa 300.000 £ ci porta fino alla frontiera con la Tunisia. Alla mattina le mie perplessità trovano conferma : come caricare la macchina sul camion ? (un vecchio Fiat a sponde mobili) Ma chiaro, con una rampa! (in libico “buca”!!) Non sto a narrare i tentativi per trovarla., ve li lascio immaginare.

Partiamo da Sebha il 7 gennaio ad un’orario che non saprei precisare, dato che è la terza volta che ci fanno cambiare l’ora ufficiale! (manco stessimo viaggiando su un jet attraverso il pacifico).

Di sicuro non si tratta di un jet, visto che ora il camion, a tutta velocità in pieno rettilineo pianeggiante arriva quasi a 55 Km/h. Chi ha fatto la strada da Sebha alla frontiera mi capirà senz’altro.

Io e Daniela stiamo a volte dietro il camion, a volte facciamo sorpassi sul filo dei 70 all’ora , e poi guidiamo, a piedi fuori dal finestrino intenti a mangiare, leggere, . e a fare tutto quanto possibile su una strada deserta lunga circa 700 chilometri priva di curve, salite e discese, alberi ecc.

La notte ci fermiamo a dormire presso l’abitazione del giovane autista (il simpatico e bravo Mahmud) Anche qui ospitalità a non finire.

Finalmente nel pomeriggio del 9 arriviamo a Zuara, dove tutti ci avevano “garantita” la presenza della “buca” necessari aper scaricare l’auto. Anche qui tralascio cosa possa innescare la fantasia e precisione tipicamente mediterranea e decisamente “italiana” del nostro amico.

Alla fine, dopo avere mobilitata mezza Zuara, grazie all’intervento di un simpatico personaggio (che poi scopriremo essere fratello di Salah che già due anni prima ci aveva ospitati presso di lui), riusciamo nell’impresa.

Passiamo la frontiera ancora a traino, e arrivati a Medenine, (constatata la differenza di disponibilità tunisina rispetto a quale libica) Ettore carica nuovamente la macchina su un camion con tutte le oramai solite difficoltà dovute alla “buca”.

FINE.

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