By Enrico Dario Caltabiano
Originally Posted Friday, December 15, 2006
Raggiungere il Sahara… zaino in spalla
di Enrico Dario Caltabiano
Un viaggio alla volta del Sahara, armati solamente di zaini capienti, dei consigli di chi “ci è già stato” e di tanto spirito di avventura e di adattamento. Questa la filosofia del nostro viaggio, che ci ha portato a percorrere tutta la Spagna da nord a sud, e ad attraversare il Marocco, dal porto caotico di Tangeri alle vette del Rif, dall’incanto di Marrakech alla sabbia rossa di Merzouga, la “porta del deserto”. Sulle tracce del film “Marrakech Express” di Gabriele Salvatores, noi quattro ragazzi, muniti di guide Routard e Lonely Planet (e di un pizzico di incoscienza), abbiamo voluto percorrere il Paese con lo spirito dei liberi viaggiatori, senza alberghi prenotati e muovendoci giorno per giorno con i mezzi disponibili in loco.
A tutti coloro che intendano intraprendere questa stessa esperienza, consigliamo di munirsi di pazienza e molto spirito di adattamento e, soprattutto, di leggere attentamente le guide turistiche nelle varie sezioni dedicate agli imbrogli e ai raggiri. Molto opportuna, inoltre, è una visita al sito degli inter-railers italiani www.inter-rail.it, dove potrete ricevere i consigli di quanti hanno già affrontato questo genere di viaggio.
Il turista occidentale “fai-da-te”, infatti, è facile preda di false guide e “procacciatori” che si offrono per pochi dirham e, sotto le mentite spoglie di persone affabili e generose, vogliono vendervi hashish o derubarvi. Ogni possibile cattiva esperienza in Marocco, comunque, viene compensata ed enormemente superata dalla bellezza dei luoghi e dalla ospitalità della gente berbera e, non ultimo, dall’emozione che si prova quando ad un certo punto, tra le foschie all’orizzonte, come per magia, si delineano le prime dune del Sahara.
Questa è la nostra esperienza.
Quando ci siamo imbarcati per il Marocco dal porto spagnolo di Algeciras, l’unica cosa che sapevamo era che avremmo raggiunto Merzouga, quella che le guide turistiche chiamano “la porta del deserto”. È da lì, infatti, che partono la maggior parte dei “tour del deserto” a dorso di dromedario. Il “come fare”, invece, non ci era ben chiaro. Una volta a Tangeri abbiamo preso semplicemente un grand taxi verso il sud, e ci siamo fermati a Chefchaouen, un grazioso paesino ai piedi della catena del Rif. È proprio qui che, in un certo senso, ha preso avvio il nostro programma sahariano: siamo stati letteralmente “ingaggiati” da un berbero del deserto che, con fare cordiale e deciso, ci ha condotto nella sua boutique chiedendoci se conoscevamo il film “Marrakech Express”. Ha cominciato a parlarci dell’oasi nella quale è stato girato il film, dicendoci di avere aiutato lo staff cinematografico durante le riprese e di essere diventato amico di Diego Abatantuono. Poi ha preso a mostrarci una serie di fotografie bellissime delle dune del Sahara che, a suo dire, cambiano colore tre volte al giorno. Infine ci ha fatto la sua proposta: 150 euro a testa per un giro nel deserto, vitto, alloggio e spostamenti inclusi.
Insomma, tutto sembrava troppo bello, troppo perfetto per essere vero. E noi, “quattro turisti per caso”, eravamo scettici. Poi però, data la cordialità di Amhid, questo il suo nome, ci siamo fatti consigliare sul ristorante migliore in zona dove poter gustare le specialità della cucina marocchina ad un prezzo “adeguato”. Ed è così che, su una splendida terrazza affacciata sulle montagne da un lato, sul minareto e i palazzi della medina dall’altro, ci siamo lasciati convincere.
Tre giorni dopo eravamo su un vecchio Mercedes bianco, in compagnia di altri due ragazzi di Valencia, alla volta di Merzouga. Un viaggio di otto ore nel caldo insopportabile dell’abitacolo battuto da un sole a picco, quattro incidenti sfiorati e una varietà sbalorditiva di paesaggi e, soprattutto, un susseguirsi di colori ed emozioni indescrivibili, mentre, man mano che procedevamo verso sud, tutto si faceva più secco, più arido… Fino all’oasi di Er-Rachidia, un lungo fiume di palme scavato nella roccia arsa. Quindi le prime costruzioni in fango e, dietro una grossa fontana naturale, nella luce del tramonto, le prime lingue di sabbia rossa all’orizzonte.
Dopo aver attraversato Erfoud, la strada, asfaltata solo di recente, diventa una lunga striscia protesa verso le dune. Quindi, nel vento tiepido della sera, abbiamo raggiunto il nostro albergo (Auberge des dunes): né più né meno che una costruzione di fango, ma con tanto di camere, bagni (maleodoranti ma funzionanti) e una vista impagabile sul deserto.
Abbiamo mangiato, lasciato i nostri zaini nelle camere, poi, una volta terminata la nostra cena a lume di candela fatta esclusivamente di frutta e verdura, ci siamo fatti accompagnare da Amhid su una duna, ed è lì che abbiamo trascorso la notte. Ci siamo addormentati sotto un cielo stellatissimo e nel ritmo tribale dei tamburi. Poi si è levato un vento fresco e insidioso, quindi la sabbia, sollevata in ampie volute, a graffiare la faccia: ma era già l’alba. E così, mentre la luce tenue del primo sole faceva passare rapidamente le dune dal marrone scuro all’arancio, abbiamo fatto ritorno all’albergo, dove abbiamo trascorso tutta la mattina (rigorosamente all’ombra!).
A questo riguardo occorre fare una precisazione: è vero che il periodo migliore per visitare il deserto è l’inverno, quando è possibile camminare anche di giorno. Noi però ci siamo stati ad agosto, e vi assicuriamo che, se il vostro “tour operator berbero” non è un irresponsabile, non verrete mai messi nella condizione di patire il caldo, né tanto meno la sete! Il nostro albergo, affiancato da una serie di altre più o meno comode sistemazioni per i turisti fai-da-te, era sempre fornito di bottiglie di acqua gelata, mentre il nostro secondo giro nel deserto, questa volta a dorso di dromedario, ha avuto inizio alle cinque del pomeriggio, quando il sole era già basso.
A questo riguardo mi sento di potere sfatare un mito: quello delle creme solari. Quando sono partito per questo viaggio infatti, ho dedicato una tasca intera del mio zaino da 70 litri a creme solari a diversa protezione, fino allo schermo-totale… ma non ne ho utilizzato nemmeno un grammo! Il fatto è che, sempre che non decidiate di incamminarvi da soli alla volta delle oasi (con la certezza quasi matematica che vi perderete), la vostra guida berbera avrà cura di tenervi sempre al riparo dal sole più caldo.
Noi abbiamo trascorso ore intere al riparo di graticci, o all’interno della costruzione in fango, a degustare ottimi the verdi e a discutere di proverbi berberi e ad ascoltare musica (…Ramazzotti!!). Alle cinque, dopo un giro in 4×4 alla volta del villaggio dei neri di Merzouga e di un lago popolato di cigni (spacciati per fenicotteri), siamo partiti, con i dromedari, per l’oasi di Dubira.
L’emozione che abbiamo provato, mentre i dromedari avanzavano in quel tutto e nulla fatto di sabbia che è il Sahara, è stata grande.
Poi il sole cala, e tutt’a un tratto ti volti e provi quasi una stretta allo stomaco: le luci di Merzouga sono definitivamente scomparse, e intorno non vedi altro che dune. È in quel preciso momento che comprendi a fondo lo spirito di tutto un viaggio: quando senti che le parole finiscono e a parlare è solo il vento tiepido del Sahara, la sua vastità e la totale mancanza di punti di riferimento. In quel preciso istante cala un breve silenzio… è come se tutti noi percepissimo la stessa identica emozione, la stessa paura sotterranea di fronte alla quale l’istinto si sente smarrito, confuso. Mi sfilo il turbante e ho la testa sudata. Ora che il sole è tramontato, la temperatura si abbasserà, anche se non faremo il freddo… dopotutto anche qui è piena estate. [Tratto dal mio reportage di viaggio: “Da Barcellona a Marrakech… attraverso le dune del Sahara”, www.ilventodelsahara.it ]
Dopo due ore eravamo all’oasi, davanti a una grande tenda berbera, a gustare il nostro immancabile “the nel deserto”. Alle nostre spalle l’Erg-Chebbi, una duna alta 120 metri, la più alta del Sahara marocchino. Una duna che è possibile scalare… anche se a gattoni. E vi assicuriamo che la vista, da lassù, specialmente di notte, è un qualcosa di indimenticabile.
Camminare su una duna è faticoso, e se questa duna è una montagna, lo è ancora di più. Arriviamo sul crinale ansimanti, e da qui l’unico modo per procedere verso la vetta è proseguire a gattoni.
Sì, si fa fatica, ma quando sei sulla cima ti rendi conto che varrebbe la pena di rifarlo altre mille volte: il panorama è di una bellezza paragonabile a quella del mare per chi lo vede per la prima volta. E, in un certo senso, anche qui di mare si tratta, un mare in chiaroscuro, con le sue onde e le sue risacche magicamente immobili, come ipnotizzate e cristallizzate dal chiarore della luna e sotto una cascata di stelle come non è facile vedere da nessun’altra parte. Seduto a cavalcioni sulla cresta, puoi saggiare la differenza di temperatura della sabbia sui due versanti, e quello esposto fino all’ultimo alla luce del tramonto è ancora tiepido, mentre in generale basta affondare una mano per scoprire che, appena sotto la superficie, il calore non si disperde mai.
Stiamo lassù parecchio tempo, e Seid ci spiega che la breve teoria di luci che si vede, in lontananza, è il confine con l’Algeria. È zona militare invalicabile. Poi scendiamo rapidamente verso le luci da presepe del nostro accampamento, e lo facciamo lasciandoci scivolare come fossimo sulla neve. Rimaniamo ancora un po’ sotto l’incanto di stelle a chiacchierare, ma cediamo abbastanza in fretta al sonno, mentre a pochi passi da noi i dromedari emettono strani versi… forse stanno sognando.
Insomma, il consiglio, per i “pazzi” come noi, che decidono di intraprendere questa avventura, è di arrivare in taxi fino a Merzouga (i grand taxi e i taxi collettivi sono il mezzo più comodo ed economico per le lunghe tratte in Marocco: vi portano ovunque voi vogliate; unica controindicazione: a volte non partono se a bordo non vi sono sette persone…!). Anche da Ouarzazate e da Erfoud partono escursioni interessanti ma, per quella che è stata la nostra esperienza, credo che il punto di maggiore interesse per un giro nel Sahara marocchino (tralasciando ovviamente il Sahara occidentale), sia certamente Merzouga. L’oasi di Dubira poi, raggiungibile nel giro di due ore a dorso di dromedario dalla “porta del deserto”, è il luogo ideale per le escursioni sull’Erg-Chebbi.
D’inverno gli albergatori berberi organizzano visite itineranti del deserto della durata di una settimana, e così potrete farvi scarrozzare di oasi in oasi dai dromedari, provando anche l’ebbrezza –non dimenticatelo-, di indicibili dolori all’osso sacro! Ad ogni modo la spesa “giusta” dovrebbe essere compresa tra i 250 e i 350 dirham (l’equivalente suppergiù di 25 e 35 euro) per notte. L’unica avvertenza è quella di portare con voi abiti sia leggeri che pesanti, dal momento che, come è noto, l’escursione termica nel periodo invernale è molto forte.
Per gli appassionati di internet:
Cinque chilometri a nord di Merzouga sorge il piccolo villaggio di Hassi Labied: tra gli alloggi a disposizione dei turisti c’è la Kasbah Mohajut, la quale dispone anche di un indirizzo di posta elettronica (mohamezan@yahoo.fr tel. 066 039185).
Il sito ufficiale dell’ufficio del turismo del Marocco è www.tourisme-marocain.com
In rete: Enrico Dario Caltabiano www.ilventodelsahara.it