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Marocco 2002 di Alberico

– Posted in: Africa, Nord Africa, Resoconti di viaggio

By Alberico
Originally Posted Monday, July 19, 2004

 

Marocco 2002

Viaggio effettuato dal 20/04/2002 al
10/5/2002

a cura di alberico@alberico.com

www.alberico.com

Per la quinta volta torno in Marocco. Il programma prevedeva un equipaggio di tre persone che si sono ridotte a due a poche ore dalla partenza.

Tralascio la descrizione del percorso da Torino ad Algeciras, eccettuato per le indicazioni del tempo impiegato, 32 ore, ed il costo tra autostrade, traghetto e gasolio, 500 euro circa.

Il mezzo utilizzato è un Toyota HDJ80 automatico del 92, acquistato da un mese (importazione dalla Germania).

 Lunedì 22 aprile.

Sbarchiamo a Ceuta alle 17 e, acquistato un po’ d’olio per il ponte anteriore, che perde dalla partenza nonostante la sostituzione del paraolio, ci apprestiamo a superare la frontiera.
Contrariamente al solito ci si mette poco, anche se il fatto che il Toyota sia provvisto del solo foglio temporaneo in luogo del libretto ci fa perdere un po’ di tempo in discussioni.

Passata la frontiera ci dirigiamo a Martil. Il camping pubblico è sempre sporchissimo (evitare i cessi).
L’accoglienza amicale del solito guardiano-factotum che ci guida a fare provviste è provvidenziale e ci permette di non fare tardi.

Anche il montaggio della nuova tenda, una Salewa Atlante, si rivela facile e la stessa spaziosa.

Martedì 23 aprile

Martil ore 7 locali. A quest’ora il guardiano dorme e non ci guarda con occhio benevolo…

La città è vuota, anche la circonvallazione di Tetouan è sgombra: anche i gendarmi dormono.

Dopo un po’ di chilometri incontriamo la nuova autostrada (che per ora non imbocchiamo) che porta a Rabat.

Proseguiamo per Larache in un paesaggio bucolico.

Arriviamo a Larache Plage per fare una sosta tecnica (leggi defecatoria) con pausa thè presso baretto locale. Il bivio si trova sotto le rovine di Lixus, lungo la statale.

Tornati al bivio svoltiamo a destra verso la città dove ci fermiamo per fare gasolio. Imbocchiamo finalmente l’autostrada che ci porta velocemente a Rabat (pappa da Mc Donald, sarà troppo “global”?) e poi a Casablanca.

Lungo il percorso Aleale cerca di convincermi che la “Feroce” non è la rovina di Torino… ma non ci riesce! No! Non ci posso credere. L’Auberge de la lagune non c’è più. E Oualidia si è ingrandita; tutta la zona circostante è coltvata intensivamente ed il livello economico si è visibilmente elevato.

Sarà per questo o per il fatto che, grazie all’autostrada abbiamo guadagnato tempo, fatto sta che decidiamo di tirare per arrivare a Sidi Kaouki, bella spiaggia, 20km a sud di Essaouira.

Arriviamo a Sidi Kaouki ormai con il buio e troviamo da dormire e mangiare in una graziosa casetta messaci a disposizione dai proprietari dell’Etoile de Mer, a 500m dal marabout che domina la spiaggia. Tagine di pollo sgalfa e un po’ bruciata, letti comodi, toilette “berber”.

Mercoledì 24 aprile

Risveglio lento. Colazione, abluzioni di Aleale, pagamento dei nostri ospiti ed imbocco della pista che, seguendo la spiaggia verso sud si ricongiunge alla strada principale per Agadir all’altezza della “foresta” di Smimou. Le piante spinose che la compongono portano frutti che sembrano limoncini: si tratta di argoum, dall’uso simile alle nostre olive.

A proposito di questa pista, imponenti lavori di allargamento e sistemazione fanno presagire un prossimo asfaltamento…

Do Smimou la strada prosegue verso Agadir attraverso zone collinose molto coltivate fino a Tamri, piccolo paese situato all’interno della foce di un oued. I due lati dello oued sono coltivati a bananeto, ma le piante, nonostante l’evidente presenza di acqua, sembrano bruciate (dal sale?).

Superato Cap Rihr comincia una zona con belle spiagge e tante nuove costruzioni, in parte eleganti: le case di vacanza dei ricchi agadiregni.

Arriviamo nella metropoli. Aleale, da bravo architetto, filma i palazzi anni 70 della ricostruzione dopo il terremoto. Prima tappa…Mc Donald a turare le brecce. Poi al supermercato. E i giornali all’aeroporto?
Mancati, distratti da un confronto su quale siano i tempi funzionali ad uno sviluppo possibile e non controproducente (come vedete siamo viaggiatori “impegnati”). Le posizioni, come al solito sono distanti…

Tiznit. Sarà anche una città moderna ma le sue mura centenarie ed intatte sono splendide e ricordano quelle di Taroudant. La parte nuova della città è ben costruita, caratteristica di tutti i nuovi centre ville visti nel sud. Cambiamo un po’ di dhiram alla banca e ci dirigiamo alla volta di Aglou Plage.

Il luogo di villeggiatura dei tiznitini è a 17km, sulla costa. Piccole case sul mare, semplici e ben costruite. Il luogo, come tutti quelli di villeggiatura in questo periodo è spopolato. Da qui dovrebbe partire una pista verso sud ma il gudron ha colpito ancora.

Arriviamo all’Albergo De La Plage, situato sulla spiaggia di Sidi Mohammed Ou Abdallah, citato da diverse guide e gestito da Alessandra Bravin. Situato su un lato della baia, con un ottimo servizio ed una cucina di qualità, è un perfetto posto tappa dove ristorarsi. Anche l’atmosfera conviviale che vi regna è estremamente piacevole.

 Giovedì 25 aprile

Visita a Alessandra Bravin di Cobratours nel suo ufficio a Mirleft, con la quale abbiamo uno scambio di informazioni sulle piste che vorremmo percorrere. Alessandra, archeologa è sposata con un francese e non sembra avere una ottima opinione dell’attuale modo di gestire il turismo organizzato. Il suo approccio è estremamente ecologico. In breve, ci conferma la bontà generale del percorso previsto, salvo che per ll tratto Msaid-Assa che ritiene pericoloso. Ci suggerisce una possibile alternativa montana.

Spiaggia “dei fricchettoni”, qualche chilometro più a sud, in uno dei rarissimi accessi alla spiaggia. È lei! Ritrovata. La spiaggia e sempre bellissima ma le costruzioni sulla spiaggia stanno diventando troppe. Il grande arco scavato dal mare sotto la costa è sempre lì, ma ormai il business è arrivato…

Ad Ifni facciamo il pieno ed acquistiamo una bombola ed un bruciatore per la cucina locali (butagaz) in quanto i nostri sono inservibili, dopodichè cerchiamo la pista che dal porto và in direzione di Sidi Ouarsik e Foum Assaka.

La pista, subito dopo il porto, è chiusa per lavori ma dopo un breve parlamentare un uomo del cantiere ci scosta le pietre che la bloccano e ci permette di proseguire. Cerchiamo di ringraziarlo, visto che si è voluto spostare una a una tutte le pietre che sbarrano la pista per mezzo chilometro, ma rifiuta. E’ la prima volta che mi capita.

Km 11: dopo essere scesi fino al mare nel tentativo di percorrere la pista che corre sulla battigia ed aver rinunciato poco dopo un relitto di nave, cerchiamo di raggiungere la pista intermedia ma, al primo twist succede il patatrac: un tubo dell’ impianto del servosterzo esplode vuotando il circuito e contemporaneamente salta un silent block della barra di torsione posteriore.

Ripariamo il primo con il kit per il materassino ed il secondo con degli stopper in nylon.

Ai 20 all’ora e con una tensione notevole riguadagnamo Ifni.

Ci fermiamo all’albergo Suerte Loca che è carino, economico, vi si mangia bene (niente birra) e ha un meccanico al fianco. 

Venerdì 26 aprile

Alle 9 il meccanico comincia l’opera. Il silent block è presto sistemato ed anche il tubo sostituito. Il circuito viene riempito con olio per trasmissioni automatiche con una sigla simile ma non identica a quella indicata sul tappo del circuito; speriamo bene.

Facciamo il pieno di acqua e partiamo. Questa volta cerchiamo l’imbocco della pista aperto. Si trova sulla sinistra della strada prima della curva verso destra che porta al porto.

Dopo aver superato il fatidico km11, la pista prosegue, tenendosi ad una certa distanza dal mare. Percorso lento che si attorciglia intorno ai rilievi per aggirarli ma che ci ripaga, poco dopo il villaggio di Tiliouine con l’arrivo allo Oued Noun (che poi diventa Oued Assaka). Nello oued si trova il forte spagnolo che segnava il confine tra l’enclave di Ifni ed il Marocco: luogo bellissimo!

Arriviamo in breve a Bou Jerif, grande forte francese in rovina a fianco di un oued con qualche palma. Foto e, dopo 3km…miraggio: il camping, albergo, ristorante di Bou Jerif, gestito da un francese (con splendida compagna). Addirittura raffinato, con aiole, cartelli indicatori, e rotonda per il traffico. Dopo aver bevuto il the di rito, ripartiamo alla volta di Plage Blanche deludendo il proprietario che aveva sostituito la bandiera belga con quella italiana in nostro onore. Il posto è suggestivo e corre voce che la cantina sia molto ben fornita. Se fate il viaggio con la vostra compagna, fermatevi per la notte.

Ancora 8 chilometri di pista scorrevole e si arriva alla nuova strada asfaltata che da Guelmim porta a Plage Blanche.Gli ultimi chilometri sono in costruzione e dopo un po’, visto che cala il buio deviamo a destra per qualche centinaio di metri e facciamo il campo.

La costa è lontana ma il rombo di sottofondo dell’oceano è continuo. Tagliatelle al pesto, caffè e muffins al cioccolato.

Sabato 27 aprile

La pista che porta a Plage Blanche è abbastanza monotona ma scorrevole. Si giunge al paese posto alla destra della foce di un oued e quindi si scende nello stesso risalendone il corso (c.a. 1,5km) fino a trovare il guado che porta sulla falesia dall’altro lato del oued. Sotto la falesia ha inizio Plage Blanche. Mentre attraversiamo il oued, sentiamo un rombo che ci sovrasta: un elicottero, poi un altro e un altro ancora, sembrano militari ma…sono turisti. Sulla cima della falesia li attendono una serie di tende berbere per il pranzo e con 4×4 per l’escursione alla plage. Senza commenti!

Il percorso da Plage Blanche si snoda a qualche chilometro dalla costa, dominata dalle dune. Si potrebbe anche, con la bassa marea (e due auto, non si sa mai) fare l’intero percorso sulla spiaggia. La nostra pista è a tratti sassosa ma abbastanza tranquilla e facile da seguire. Più problematico è trovare un passaggio verso il mare.

Una volta attraversato lo oued Aroeora, si giunge infine all’omonimo forte semidistrutto, posto sulla sommità della falesia che delimita il lato sinistro della foce del oued. Sul lato opposto una enorme duna segna la fine di Plage Blanche. Spettacolo grandioso.

Nel forte distrutto, solo la casetta del comando è ancora in piedi e qui abitano i due militari che controllano il passaggio. Il militare presente al momento (l’altro è andato a fare la spesa: un giorno di viaggio su pista!) ci invita a prendere il solito the. Chiacchierando scopro che è lì da 4 mesi, che ha chiesto lui di stare in quel luogo remoto, che è di Agadir e che è contento.

Aleale freme. Dobbiamo ripartire.

Ci aspettano tanti km prima di arrivare a Cap Draa.

Ora la pista scorre alta sul bordo della falesia che sovrasta l’oceano. Si incontrano piccoli accampamenti di pescatori stagionali che pescano con le lenze da riva: qui il mare è pescosissimo. Le capanne sono poverissime e realizzate con materiali di recupero portati a riva dall’oceano.

Arriviamo infine a Cap Draa. Una pista scende fino al mare. Qui il Draa è veramente imponente. La foce è separata dal mare da un cordone di dune che forma un grande lago. Proviamo a risalire il oued ma la pista si insabbia quasi subito. Sopra di noi una casermetta domina il passaggio.

Torniamo sui nostri passi e risaliamo sulla falesia per imboccare la pista che, parallela al Draa, porta alla route national P41.

La pista è abbastanza scorrevole. Passo la guida ad Aleale per un tratto e, appena riprendo in mano il volante…buchiamo.

Cambiamo la gomma e con il sole che comincia a degradare, un po’ prima di Hassi Tafnidilt, montiamo la tenda su un altura a destra della pista.

Domenica 28 aprile

Al mattino, dopo che smontando la tenda troviamo un bello scorpione, partiamo presto per arrivare alla statale. Lungo il percorso campi coltivati di grandi dimensioni. Imboccato l’asfalto ci dirigiamo a Guelmim, alle cui porte un gommista ci ripara il pneumatico forato. Per le banche niente da fare: è domenica e non ci sono bancomat.

Risaliamo verso Bou Izakarne ma, anche lì, niente bancomat. Allora si decide di aspettare il lunedì andando a visitare It-Aissa.

Il granaio fortificato (agadir) di It-Aissa, nella regione di Amtodi, è uno dei ricordi più belli che avevo del viaggio fatto nel 1991. Il posto e sempre bellissimo. Sia l’agadir che tutta la valle conservano guell’aspetto di angolo di paradiso, con acqua che scorre tutto l’anno e piccoli campi verdissimi in cui cresce tutto il necessario ai due villaggi (120 famiglie) che ne fanno parte. L’aria è fresca ed i rumori del villaggio rimbalzano sulle pareti del canyon.

Ci fermiamo al camping Amtodi.
Aleale sale con il guardiano Ali fino all’agadir mentre io faccio la manutenzione del Toyota.

Gruppi di bambini prima, e di capre poi, scendono su sentierini tagliati nella parete di roccia verticale che sovrasta il camping.

Un gruppo di militari in licenza, in visita al luogo, cerca di far ripartire una 504 senza batteria e con l’impianto di raffreddamento che…fa acqua da tutte le parti. Impresto loro qualche chiave inglese ed un po’ di nastro per tacconare i tubi dell’acqua. Per 3 ore, con la consulenza di tutto il villaggio, armeggiano, spingono, imprecano ma non c’è nulla da fare. Sul far della sera viene a prenderli un furgoncino.

Poi Aleale inizia una serrata trattativa per strappare un cambio decente.

Mangiamo la solita tajine di pollo (buona e abbondante) e, vista la scarsa pulizia della camera offertaci dormiamo “a la belle etoile”.

Lunedì 29 aprile

Ripartiamo di prima mattina in direzione di Bouizakarne dove cambiamo un po’ di dhiram e facciamo gasolio.

Ripresa la P41 in direzione di Guelmim, arrivati a Tagannt svoltiamo a sinistra subito dopo il paese per imboccare la pista (7097) diretta a Fask. Incontriamo un villaggio semi diroccato messo in una splendida posizione ma con il oued ormai secco, le palme morenti ed affioramenti salini che indicano la probabile causa dell’abbandono.

Infine arriviamo a Fask. Asfalto che raggiunge Assa. Imbocchiamo la strada ma, dopo una ventina di chilometri, incrociamo il bivio per raggiungere Aouinet Torkoz via pista. La tentazione è troppo forte.

Dopo alcuni chilometri si giunge al villaggio di Tadalt dove potete scegliere tra la pista diretta (7094) su Aouinet Torkoz a sinistra (58km) oppure quella più lunga che passa da El Borj (7095) che si congiunge con la pista proveniente da Tiglite (7092). Noi abbiamo scelto quest’ultima. Negli ultimi chilometri la pista sta subendo grandi lavori di ampliamento. Ed è proprio qui che foriamo. Un bel taglio di 5cm sul battistrada. Per la nota legge di Murphy, nel momento in cui cambiamo la gomma comincia a soffiare vento misto a sabbia dal sud.

Cambiata la ruota percorriamo il tratto più meridionale del nostro viaggio, a sud-est del Jebel Taskalouine, ed arriviamo infine ad Aouinet Torkoz.

Posto di controllo di passaporti e dati vettura. Due militari gioviali e gentili trascrivono i dati e ci indicano la pista per Assa. Contrariamente a quanto detto da loro, la pista è bruttina e sassosa ed infatti foriamo di nuovo. Questa volta lo squarcio è largo guanto il pneumatico. Comincia a scurirsi il cielo. In lontananza grandi lampi annunciano un temporale. Lentamente, avendo esaurito le gomme di scorta, proseguiamo fino all’oasi di Assa dove ripariamo “a la marocaine” il pneumatico meno danneggiato ed Aleale compra i suoi 3 metri di tela per lo chech.

Dopo Assa il goudron la fa di nuovo da padrone. Il tempo vira a tempesta e decidiamo quindi, dopo una trentina di chilometri di fare il campo a pochi metri dalla strada mentre comincia un temporale misto a sabbia con vento fortissimo da sud. Di montare la tenda non se ne parla. Mangiamo sul cruscotto e spegniamo le luci alle otto.

Martedì 30 aprile

Al mattino si parte presto.
Arriviamo alle 9 a Fam El Hisn. Ci facciamo un cafè au lait in un baretto.
Decidiamo di andare a Ouarzazate a cercare due gomme nuove che ci permettano di continuare i percorsi in fuoripista.
Passiamo velocemente attraverso Akka e Tata, diventati centri di dimensioni notevoli, ed in vista di Tissint lo oued alla nostra sinistra ci regala delle forme di erosione spettacolari.
All’ingresso di Tissint posto di blocco della Gendarmerie Royale, molto gentili.
Giriamo a sinistra e dopo 300 metri fermiamo la macchina. Le cascate sono sotto di noi. Purtroppo per gli abitanti l’acqua è salmastra. Scendendo fino al livello del bacino si sente l’aria che profuma di…mare.

Da Tissint a Foum Zguid, quella che era una pista ora è goudron. Lungo il percorso la tempesta di sabbia riprende vigore. Arrivati a Foum Zgiud ci fermiamo nella piazza per due brochette ed Aleale compra la sua veste con cappuccio. Il venditore non deve avere buona fama in paese, tanto che il gestore del bar ci dice di fare attenzione.

Riprendiamo verso Tazenakt (6810) mentre la tempesta di sabbia impazza. La strada che si snoda in una bellissima valle con villaggi e palmeraie molto grandi. Anche qui le palme sembrano aver beneficiato delle recenti piogge: le foglie più nuove sono verdi.

Da Tazenakt a Ouarzazate la strada supera il passo di Tizi-n-Bachkoum (1700m.) in uno scenario di grandi vallate. A causa della foschia data dalla tempesta di sabbia in corso a sud del Jebel Bani non si vedono le montagne dell’Atlante a nord.

Ouarzazate. Questa è ormai una grande città. Arrivando notiamo nugoli di Land Rover con la scritta “tourisme” che circolano. L’impressione è quella di una grande città di vacanze.

Ci mettiamo alla ricerca di un gommista. Alla fine troviamo chi ce le può far avere in 3 giorni. Questo vuol dire che siamo a piedi dal lato piste. Facendo buon viso a cattivo gioco ci diamo appuntamento a venerdì. Partiamo alla ricerca di un albergo ed optiamo per il Kenzi Azghor che architettonicamente pare ben realizzato. Alla reception ci dicono che il costo è quello di bassa stagione (450 dh. la doppia) colazione compresa. Decidiamo, per una volta, di coccolarci.

Mentre Aleale si riposa drogandosi con la tv italiana, io ho la pessima idea di andare a mangiare al ristorante dell’albergo. Mi ritrovo in una grande sala, con camerieri in uniforme, elegantissimi, ed una variopinta quanto triste compagine di turisti di mezza età. Inglesi e spagnoli. Il maitre, forse per farmi un piacere, mi siede d’ufficio ad un tavolo con due spagnole di età indefinibile ma, forse per nazionalismo,  dotate entrambe di una “quarta”.

Ordino una birra ed il maitre mi indica il buffet! Intendiamoci, non ho nulla contro i buffet. Basta che la scelta e la qualità siano all’altezza delle…divise dei camerieri. Se aggiungiamo che le due spagnole sono petulanti quanto nazionaliste, ce n’è abbastanza perché trangugi il cibo e me ne ritorni in camera alla svelta. Alla tv danno Manchester United-Bayer qualchecosa. Mi addormento prima della fine.

Mercoledì 1 maggio

Al mattino abbiamo, dopo un abbondante petit dejeneur, l’ultima sorpresina del premiato (!) hotel: la camera costa 100 dh più di quanto annunciatoci e la colazione è a parte. Morale: quando anche le catene alberghiere si comportano male non ci si stupisca se il turismo langue.

Partiamo alla volta di Tinhrir e le gole di Toghda. Sulla strada, da Skoura in avanti, possiamo constatare quanto la popolazione e l’economia stiano progredendo. Accanto agli ksar in abbandono crescono nuovi sobborghi, costruiti decentemente ed in armonia con il luogo ed i suoi colori.

È il 1 maggio ed a Boumaine vediamo anche un (piccolissimo) corteo che lo festeggia.

Arriviamo ifine a Tinhrir. Anche questo luogo si è ingrandito a dismisura. Tutta la prima parte delle gole che ospitava un tempo solo la vecchia città, si è riempita di abitazioni, botteghe, alberghi e camping. Ma il massimo lo si raggiunge dove una volta (1984) c’era un alberghetto con tenda berber in riva allo oued: albergoni, piazzali per pullman, “land rover touristigue”, e torme di turisti kodakanti e turiste scosciate che rispettose dei divieti di bagnarsi fanno degli eleganti pediluvi. Il tempo di dare un occhiata ed immediatamente facciamo dietro front ed andiamo a cercarci un ristorantino dove ci sfamiamo con un pollo arrosto.

Inizia poi la ricerca dei pneumatici. Troviamo dal licenziatario Good Year due gomme 255-75R15 (le mie sono delle 265-75R15) che possono andare come misura; per il prezzo, 1900 Dh l’una, stendo un velo pietoso. Le mettiamo al retrotreno, compriamo anche 2 camere d’aria supplementari, ci liberiamo di un insistente venditore di tappeti e andiamo in cerca della pista che ci dovrebbe portare ad Alnif.

Per trovarne l’imbocco, cercate un bivio non segnalato sulla destra poco dopo il distributore della Ziz, a 25 chilometri da Tinhrir. Pista discreta, belle montagne, pietraie infinite e tante pastorelle. Ad una di queste, che ad una sosta si scapicolla tra le pietre a piedi nudi e con bambino sulla schiena per raggiungerci, regalo una Fred Perry un po’ grande. Ma i suoi occhi esprimono una gioia che mi è rimasta dentro.

Arriviamo ad Alnif dove abbiamo da consegnare una foto dataci da Adolfo a Mohand Ihmadi, che gestisce un negozio di fossili. Persona molto gentilee documentata che vende dei pezzi molto belli.
Dopo il the di rito a casa sua, rinunciando alla sua offerta di ospitalità, ripartiamo in pieno buio verso Tazzarine.

Dato che siamo bravi a cercarci rogne, arrivati a Tazzarine non vediamo il cartello che indica il camping e imboccata per errore la pista che porta a Zagora, cerchiamo di attraversare lo oued Tarhbalt in secca che ci divide dalla palmeraie in cui si trova il camping.
Al secondo rischiato insabbiamento (un oued di notte è un bel casino) torniamo in paese e, miracolo, il cartello è lì, ben visibile, ma per chi arriva da Zagora!

Giovedì 2 maggio

Tazzarine: io amo questo posto.

Quando ci capitai per caso nel 1991 mi ci trovai bene. Oggi, forse, si sta ancora meglio. Parlo del Camping Amasttou, il più pulito e ben gestito del Marocco, ieri come oggi. Rinunciamo a montare la tenda e dormiamo sotto delle tende berber molto comode e fresche.

Approfittiamo del bel tempo, del luogo tranquillo e della presenza di una piscina per riposarci, facendo i piani di battaglia per il giorno seguente.

Venerdì 3 maggio

Partiamo di buon mattino cercando la pista che dovrebbe portarci diretti a Fezzou (3456). A detta dei gestori dovrebbe essere semplice ma, pur avendo chiesto indicazioni in un paio di villaggi, dove torme di bambini ci accerchiano alla ricerca di uno “stylo” (qui sia i bambini che gli adulti sono insistenti al limite dell’aggressività) alla fine imbocchiamo erroneamente una pista sulla sinistra che si infila nelle montagne. Quando ci accorgiamo dell’errore è ormai troppo tardi, abbiamo già superato passaggi trialistici e rifarli al contrario non ci alletta. Decidiamo di continuare, la pista (3459) piega verso nord e ci
ritroviamo ad Alnif.

Ad Alnif decidiamo di prendere la pista (3456), segnata sulla carta Michelin 969, che parte da Mecissi per raggiungere finalmente Fezzou. Non fatelo. La pista da prendere e quella che parte prima di Timerzif (indicata dopo sulla Michelin). Abbiamo girato per due ore, sotto un sole assassino, cercando di superare da est lo oued Fezzou senza trovare un passaggio. Alla fine, risaliti fino quasi a Timerzif e grazie alle indicazioni di un locale, riusciamo ad attraversare il maledetto oued ed a raggiungere la pista giusta, che corre tra lo oued e le montagne. All’altezza del primo villaggio, Tazulait, la pista principale ha diverse deviazioni che portano sulla destra verso le zone di scavo dei fossili. Qui c’è l’unico rischio di perdere la pista principale che, per buona parte passa all’esterno dei villaggi ma, giunti al terzo, vi passa attraverso lasciando sulla destra le piste dei “fossilari”. Poi oltrepassato un piccolo colle si entra nella piana di Fezzou. La grande piana ha alcuni punti verdi e piccole comunità contadine che sopravvivono coltivando miseri riquadri polverosi. La pista è mediamente scorrevole.

A Fezzou, prima ancora di entrare nell’abitato, ci infiliamo nel letto del oued girando a sinistra e raggiungiamo la collinetta su cui si trova il cimitero. Inizia qui la traversata che ci dovrebbe portare a Merzouga. Per questo tratto abbiamo utilizzato le note di Adolfo Guasti ed i punti gps di Pascal Poublan .

La direzione est e l’ora ci permettono di viaggiare con il sole alle spalle e l’individuazione di alcune vecchie tracce che portano in quella direzione risulta agevole. Il terreno è costituito da un reg di ciottoli di piccole dimensioni che permettono una guida abbastanza rilassata.

Siamo ai nostri primi chilometri guidati dal gps e sembra che, finalmente, siamo riusciti a comprenderne il funzionamento e sopratutto l’utilizzo proficuo. Infatti, da alcuni giorni facciamo esperimenti di uso senza grandi risultati ed il pensiero di fare del fuoripista senza una conoscenza approfondita dello strumento ci preoccupa non poco.

Comunque, vista la semplicità del percorso (tutto dritto per diversi chilometri), giungiamo in breve al rilievo con il marabout bianco ed il redjem nero sulla sommità. Lasciata l’auto sul colle alla sinistra della cima e saliamo a piedi. La vista è splendida.
L’aria a causa di un vento costante ma lieve è tersa e lo sguardo può spaziare all’infinito. Solo verso nord una bassa catena di rilievi sbarra il passaggio.

Addossata al lato est del rilievo su cui ci troviamo una morbida duna ne lambisce la sommità.

Passiamo il colle (qui il passaggio è molto sconnesso) e ci dirigiamo ai piedi della duna (30.58’10″N – 4.47’26″W). Un ottimo posto per fare il campo, come segnalato da Adolfo. Piantiamo la tenda su un lembo di sabbia e ci sdraiamo per una mezz’ora contemplando il crepuscolo circondati dal silenzio.

Poi, mosso da stimoli più prosaici, ma non prima di aver riempito l’ennesima bottiglia di sabbia, l’Architetto decide di preparare una spaghettata con ‘a pummarola. Si è anche provveduto di cipolle fresche per il soffritto. E siccome abbiamo una bombola del gas marocchina che ha un attacco non compatibile con la sua cucina a due fuochi, cannibalizza il bruciatore “maroc” (quelli che si avvitano direttamente sulla bombola in uso in tutto il paese) per trarne un erogatore per la sua cucina da gourmet. Con mia somma apprensione accende e…funziona!
Incredibile!

Verso le 10, il tempo decide di mettersi al brutto. Il cielo si copre, comincia a tirare vento e verso nord si vedono lampi. Ci ritiriamo al riparo della tenda mentre comincia a cadere qualche goccia e la sabbia intorno a noi comincia a sollevarsi.

Sabato 4 maggio

Al mattino, come al solito mi sveglio all’alba. Il vento si è calmato e splende il sole. Non so se sia la luce o cosa, ma quando vivo all’aperto il mio orologio biologico si regola automaticamente e senza apparente fatica al nuovo ritmo. Mentre Aleale pisola ancora un po’, vado avanti con le note di viaggio e cerco di capire cosa ci attende sul percorso. La giornata prevede un percorso relativamente semplice attraverso grandi spazi aperti con qualche attraversamento di passe tra i rilievi fino allo Oued Rihr. Così almeno dovrebbe essere.

Vuoi per la nostra imperizia nel seguire le indicazioni del gps, vuoi che un paio di settimane prima ha piovuto abbondantemente per cui alcuni passaggi sono resi difficili da fenomeni erosivi del terreno, troviamo qualche difficoltà nel seguire alla lettera le indicazioni.

Arrivati a metà del tragitto verso il Rihr, dopo una grande piana (in cui si incrociano numerose tracce recenti che portano verso sud) ci si trova davanti ad una passe tra le montagne che, se è abbastanza evidente trattarsi di quella giusta, a causa delle piogge risulta di difficile superamento. Conviene salire a piedi sul fianco della montagna e cercare visivamente un passaggio agibile. Poco dopo la situazione si ripresenta: superato un colletto e passato il successivo oued insabbiato i riferimenti gps consigliano di proseguire sulla sinistra lungo il oued alla ricerca della passe. Bisogna prendere decisamente la passe di fronte, lasciando il tragitto originale a sinistra poiché impraticabile.

Da questo punto il percorso torna normale. Dopo qualche chilometro si arriva ad un ennesima passe: la pista passa nel corso del oued e sfocia in una valle dove vediamo due tende di nomadi con qualche capra e qualche cammello. Pardon, dromedario.

La pista è vecchia e a tratti sparisce ma non crea particolari difficoltà. Si giunge infine al pozzo che precede lo oued Rirh. Tra la sabbia e sotto le acacie, sarebbe un posto idilliaco se non fosse che, a causa della presenza di deiezioni di capre e cammelli (e la paletta?), le mosche la fanno da padrone.

Ed eccoci, infine allo Oued Rihr.
Dovrebbe essere il punto più difficile da passare e quindi facciamo il punto con calma. Abbiamo due possibilità: seguire le note del francese (novembre 2001) che danno un punto indicativo di passaggio un po’ più a nord e quelle di Adolfo (febbraio 2002) che indicano un passaggio a sud, accostati alla montagna.

Optiamo per la seconda, più recente. E sbagliamo.

L’attraversamento dello oued non comporta problemi particolari (attenti al fango sulla sponda) ma è pressoché impossibile risalirne il corso alla ricerca del punto gps successivo per più di 500 metri. Proviamo dunque ad uscire dalle dunette di sabbia che fasciano la sponda est ed in una mezz’ora di corse a piedi alla ricerca dei passaggi e successivi tratti col fuoristrada ne usciamo. Ci troviamo ora sul lato est della valle, in pendenza, e dopo poco troviamo delle tracce che vanno nella direzione giusta. Ma arrivati ai fatidici 500 metri un nuovo intoppo: la pista scompare in una voragine, portata via dallo oued. Impossibile proseguire. Dopo alcune esclamazioni non proprio di giubilo ed una pausa di riflessione all’ombra del Toyota (sono le 13 ed il sole batte forte), decido di salire sul fianco della montagna per cercare di individuare un passaggio verso nord. Contemporaneamente la telecamera si blocca a causa della polvere: non ripartirà più.

Dall’alto la situazione è sconfortante: non un segno, non una traccia, nulla. Solo una pietraia nera, profonda un paio di chilometri lungo il corso del oued. Non ci sono santi. Dobbiamo passare o tornare indietro. In un paio d’ore passiamo, ma che fatica.
Poco dopo, lungo lo oued, ritroviamo la pista ben marcata ed il silent block, riparato ad Ifni nella parte superiore, cede nella parte inferiore. Siamo a posto. Decido, visto che non mi viene in mente come bricolare una riparazione che possa tenere, che accorceremo il tragitto: al momento dell’incrocio con la pista Rissani-Taouz andremo a nord, tralasciando l’attraversamento dello Oued Ziz.

La pista verso il bivio è abbastanza buona, lunghi pianori in leggera pendenza tra le montagne. Riusciamo comunque a tagliare su un fianco una delle gomme nuove. Giunti al bivio per Taouz-Rissani prendiamo a sinistra lungo la pista “delle miniere”. Molti insediamenti minerari, quasi tutti abbandonati ed una pista ben tracciata. Non c’è pericolo di perdersi: l’importante è che nel momento in cui la pista, sfociata in una grande piana sassosa e lasciate a sinistra le montagne, piega e resta orientata verso ovest per diversi chilometri, si cerchi la prima pista che punta a nord. Vi sono diverse tracce e tutte portano alla palmeraie di Rissani.

Qui si ritrova il goudron. Non sembra vero. Non un rumore…a parte il supporto del silent block che sbatacchia con un elegante clangore di ferraglia.

La strada asfaltata passa attraverso innumerevoli sobborghi, molto animati. E’ ormai sera e la gente fa le ultime spese. I bambini sono onnipresenti e si mescolano a carretti, asini, ciclisti, invadendo la strada e costringendoci ad una guida molto attenta (e lenta).

Arriviamo infine a Rissani. La quale è diventata una specie di metropoli, ultra popolata e con la solita aggressività molesta verso i turisti. Tutta questa folla, dopo due giorni di nulla, ci lascia attoniti. Attraversiamo il centro ed andiamo ad imboccare la strada che ci porterà a Meski.

Non so se avete presente il camping di Meski. Io ci capitai la prima volta nel 1984. Allora mi sembrò un luogo idilliaco; era estate e la temperatura estremamente elevata. Quella piscina sembrò un miraggio.

Quando nel 1991 ripassai di lì la situazione era peggiorata. Forse perché era natale, la piscina non mi attirò affatto anzi, trovai che era piuttosto sporca, così come le toilettes.

Oggi la situazione non è cambiata sia per quanto riguarda le toilettes che la piscina. In compenso il ristorante-bar è gestito in maniera impeccabile. La cucina è saporita ed abbondante ed Adil fa’ il possibile per mettervi a vostro agio. Anche i vecchi guardiani fanno del loro meglio per garantire un minimo d’ordine.

Se non vi danno fastidio le rane (la notte), le tortore (all’alba), i venditori di souvenir (di giorno) il posto è tranquillo. Arriviamo comunque troppo stanchi per dare corda a chiunque.

Mangiamo due ottime brochette, un insalata immensa e, montata la tenda, sprofondiamo nel sonno dei giusti.

Domenica 5 maggio

Come detto, Meski è un ottimo posto per fare tappa. Non fate però l’errore che abbiamo fatto noi: fermarsi per riposare la domenica. Può capitare (e quindi a noi capita) che ci sia un intera scolaresca in gita scolastica. Morale: dalle 9 del mattino alle 6 di sera urla, grida, tuffi e cotillons.

Ad un certo punto, visto che riposare non è possibile decidiamo di andare ad Er Rachidia a caccia di qualcuno che ci tacconi il pneumatico, tagliato allo oued Rihr, e una banca. La gomma è presto sistemata (si distruggerà definitivamente in Spagna, sulla via del ritorno) e la banca, con un bancomat funzionante, trovata.

Poi, non avendo altro da fare, torniamo al camping dove tra chi cerca di dormire e riparare la macchina e chi si perde tra conversioni dhiram-euro-lira allo scopo di comprare un tappeto, passa la giornata.

Alla sera nuovo pranzo da Adil.  

Lunedì 6 maggio

Di buon mattino partiamo alla volta di Merzouga, via Erfoud. Tira vento, il cielo non promette granchè.
Aleale vede per la prima volta la palmeraie del Tafilalet che scorre alla destra della strada. Giunti ad Erfoud facciamo gasolio, acqua e pane ed imbocchiamo la strada che porta all’erg Chebbi. Come usciamo dall’abitato il cielo comincia ad oscurarsi. Ma è sabbia, che a tratti è veramente fitta. Siccome “tutte le strade portano a Merzouga”, non ci preoccupiamo ed andiamo avanti. Per diversi chilometri infuria la tempesta di sabbia. A tratti la visibilità è ridotta a 5-6 metri. A fari accesi procediamo a tentoni e, d’improvviso, la tempesta si placa all’altezza delle prime dune.

Arrivati a Merzouga superiamo la porta dove una volta si trovava il posto di controllo (con tanto di catena a sbarrare il passo) e svoltiamo a destra costeggiando le dune. La pista all’esterno dei villaggi è trafficatissima. LandRover “tourisme” ed auto private si susseguono. Per sfuggire a tutto questo affollamento ci teniamo sulla pista lungo le dune cercando un varco per portarci verso Mfis, centro minerario posto sul lato est dell’erg. Trovata una pista che punta ad oriente la imbocchiamo. Non abbiamo ne’ carte dettagliate ne’ punti gps, per cui andiamo a naso. Non ci avvediamo del bivio a sinistra che risale verso nord (con il senno di poi forse quello giusto) e proseguiamo verso est. La pista passa in posti suggestivi, attraversa colline, zone sabbiose ed una sebka bianchissima.

Su un reg con pista scorrevole proseguiamo fino ad un bivio che porta ad una caserma militare con antenna, davanti a no,i ed una pistaa sinistra; prendiamo quest’ultima che porta ad un villaggio ai margini di una polverosa palmeraie, dove la pista finisce. Prendiamo un punto gps e scopriamo (a spanne) di essere molto più ad est di quanto pensassimo. Visto che siamo senza pista, punti gps e carte dettagliate, considerato che la tempesta di sabbia non è finita ma continua qualche chilometro più a nord, decidiamo che non è il caso di sfidare la sorte cercando di aggirare l’erg Chebbi.

Torniamo sui nostri passi mentre il cielo si fa sempre più scuro. A metà del percorso il vento comincia a sollevare nugoli di polvere e, in breve, non si vede più molto. Per tutto il ritorno verso Erfoud la tempesta impazza, mista a scrosci di pioggia. Ci fermiamo per goderci lo spettacolo. Tutto è monocromatico, come una fotografia seppia, ma in rosa. Bellissimo.

Purtroppo è giunto il momento di tornare indietro. Le vacanze sono agli sgoccioli. Decidiamo di puntare direttamente a nord.

Dopo Er Rachidia la strada si inerpica sulle montagne. Poi segue il percorso dello Ziz tra le pareti di arenaria rossa delle gorges. Diluvia e le cascatelle che si formano scaricano acqua dalle falesie che ci sovrastano. Si cominciano a vedere pietre in mezzo alla strada. Proseguiamo il più velocemente possibile. Il traffico è scarso.

Dopo Rich vi è una piana dove troviamo diversi oued. L’ultimo lo passiamo al pelo. Ancora poco e passare sarà impossibile.

Arrivati a Itzer, iniziano i “pont de neige” che portano a due passi oltre i 2000 metri. Salendo, sempre sotto la pioggia, ci troviamo immersi prima in un bosco di cedri, poi nella nebbia. Piove e si vede poco. Poi nevica. Intorno a noi, alla luce dei fari, si scorge un panorama bianco. Comincio ad essere stanco e cedo la guida ad Aleale.

Martedì 7 maggio

Riprendo la guida, dopo un sonno ristoratore (e non è vero che russo) dopo Souk El Arba. Alle 5 del mattino ci fermiamo a dormire a Larache Plage. Una volta svegli, café au lait e via, verso Asilah.

Ci insediamo all’Hotel Ouad El-Makhazine. Abluzioni varie e bighellonamento per la città.

Mercoledì 8 maggio

Asilah è un mio pallino. Conosco il luogo da tempo e nel 1996, ospite di un amico, vi ho soggiornato per una settimana. La città, famosa per le vicende del Raisuli, ha una medina circondata da mura portoghesi e si affaccia sull’atlantico. Mi ero messo in testa di comperarvi una casa, visti i prezzi che correvano allora. Allora, perché adesso, purtroppo, sono lievitati al punto che è assolutamente antieconomico. Un sogno che svanisce. Dovrò scendere più a sud.

Giovedì 9 maggio

Ore 9. Si parte. Rotta su Tangeri per l’imbarco. Tutto veloce eccetto il fatto che il nostro traghetto non riesce a staccarsi dal molo a causa del vento. Dopo aver cozzato con la fiancata un paio di volte, il comandante si rassegna e chiama un rimorchiatore che ci da’ una mano.

Sbarchiamo ad Algeciras che sono ormai le 15 e mettiamo la prua su Torino.

 

Per le immagini ed i filmati del viaggio, consultare il sito www.alberico.com nella sezione trip a partire dal mese di agosto 2002. 

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