By Gian Casati
Originally Posted Tuesday, September 15, 2009
RESOCONTO 4^ PASSO
Kenya- Tanzania- Mozambico
Partecipanti: Gian Casati- Rosalba Basile- Carlo Mazzari
mezzo: Toyota hj 61
Nei precedenti passi abbiamo attraversato Tunisia, Libia, Egitto, Sudan, Etiopia e Kenya.
03 giugno 2009
Un lungo volo (via Zurigo) ci riporta a Nairobi dove in febbraio avevamo lasciato la macchina. All’aeroporto, puntualissimo, come del resto il volo della Swiss, ci aspetta Eugenio, taxista kenyota, che avevamo conosciuto la volta scorsa e che avevamo apprezzato per precisione ed efficienza. Trasferimento all’albergo
04 giugno
Eugenio ci porta a fare l’assicurazione r.c. per l’auto (valida anche per Tanzania, Mozambico e Malawi), al supermarket (fornitissimo) per gli ultimi acquisti e poi dai Padri Comboniani che hanno ottimamente custodito la nostra macchina per circa 7 mesi. Sistemiamo le nostre cose, pranziamo presso i padri e nel primissimo pomeriggio iniziamo il nostro viaggio. Ci dirigiamo verso il Lago Vittoria, la strada è molto trafficata ma buona ed il paesaggio, soprattutto quando ci affacciamo sulla Rift Valley, molto interessante. Proprio sul ciglio della Rift mi viene un colpo: il gps, che contiene tutte le rotte che abbiamo programmato, si blocca. Mi viene male pensare che siamo soli e che avevamo riposto nel gps molte delle nostre certezze. Mentre i compagni ammirano la Rift Valley tento di fare qualcosa al gps che non prende alcun comando, solo staccando la batteria interna riesco a spegnerlo. Lo strumento riprende a funzionare ma darà ancora problemi. A sera, come programmato, siamo a Narok, una vivace cittadina e alloggiamo all’hotel Transit (abbastanza buono secondo gli standard africani). Fatti 144 km.
05 giugno
Dormo pochissimo, forse perché nel subconscio penso al gps o alle varie difficoltà che ci aspettano. Proseguiamo verso Ovest, bel paesaggio con tantissime coltivazioni di grano, mais, the, canna da zucchero; la regione è molto abitata non sembra quasi di essere in Africa, almeno secondo come l’immaginario la pensa. La strada è bella e asfaltata e alle 12.30 siamo alla frontiera di Sirari. Il solito ragazzo ci aggancia e ci porta nei vari uffici. Le formalità di uscita dal Kenya e di entrata in Tanzania sono abbastanza veloci (sempre secondo gli standard africani, naturalmente !!). In Tanzania l’apertura del famigerato carnet (croce di tutti i viaggiatori a lungo raggio, cosiddetti Overlanders) costa 25 $. La frontiera, oltre ad essere chiaramente un confine politico lo è anche dal punto di vista naturalistico, infatti il paesaggio di colpo cambia completamente, ci sono meno coltivazioni ed è meno verde ma più selvaggio, un babbuino ci attraversa la strada, ci sono degli spettacolari blocchi di granito attorniati da bella vegetazione. Particolarmente bella la zona di attraversamento (su un modernissimo ponte) del fiume Mara e veramente fantastica la vista su scorci del Lago Vittoria. Tanti tucul, babbuini che attraversano la strada,panorami incantevoli, finalmente Africa !! Siamo a Musoma e alloggiamo al Temba Beach Hotel in riva all’immenso lago Vittoria. Fa abbastanza caldo ed una bibita fresca in riva al lago è quello che ci vuole. Fatti 356 km.
06 giugno
Bel giro mattutino sulla stretta penisola che chiude la baia di Musoma, barche, pescatori,grandi uccelli, tanta vegetazione. Partiamo verso il parco del Serengeti che dista una novantina di km di bella strada con bei panorami e diversi villaggi con mercati (piuttosto poveri). Alle 11 siamo al cancello di ingresso al parco, paghiamo il salatissimo ticket e subito ci inoltriamo per la pista sterrata del cosiddetto Western Corridor (in tal modo faremo tutto il Serengeti da Ovest ad Est). Subito vediamo branchetti di gnu, tantissime zebre, giraffe e antilopi varie. L’ampiezza del paesaggio e la grande quantità di animali selvatici entusiasma tutti noi. Verso mezzogiorno attraversiamo su un comodo guado di cemento il fiume Grumeti (quello reso famoso dall’altrettanto famosa migrazione stagionale degli gnu). Il fiume, abbastanza piccolo e dal poco invitante colore marrone scuro, è pieno di ippopotami ed enormi coccodrilli che si crogiolano al sole. Nelle vicinanze del Grumeti facciamo il nostro pic nic, siamo tutti gasatissimi per gli incontri fatti ed ansiosi di riattraversare il Grumeti per rivedere i grossi coccodrilli. Proseguiamo verso Seronera,specie di villaggio al centro del parco, sempre tanti animali e magnifici scorci naturali. Il tramonto è la degna conclusione di questa giornata assolutamente “africana”. Un temporale poco lontano ci sfiora ed i raggi del sole rendono spettacolari le nubi cariche di pioggia. Molto velocemente diventa buio e raggiungiamo con qualche difficoltà il public campsite Pembi di Seronera nel centro nevralgico del parco. Il guardiano del campeggio mi borbotta qualcosa in inglese a proposito di leoni, non capisco esattamente cosa mi dice ma io non ci bado piu’ di tanto. Mentre Rosalba organizza la nostra cena sentiamo dei versi di bestie selvatiche assomiglianti a ruggiti ed io tranquillizzo i miei compagni dicendo che si tratta di registrazioni nemmeno di gran buona qualità ad uso dei turisti per simulare i rumori della notte africana. Dormiamo tranquilli, Carlo e io nell’Air Camping e Rosalba in macchina. Nella notte le registrazioni si ripetono, così almeno mi dicono gli amici perché io dormo come un sasso. Fatti 266 km.
07 giugno
Notte piuttosto fredda, sveglia prima dell’alba, niente colazione e via. Fatte poche centinaia di metri, a 300/400 metri in linea d’aria dal campeggio, sopra un kopie (un grosso monolite o gruppi di grossi sassi che si innalzano dal terreno) vediamo dal vivo “le registrazioni” sonore di ieri sera: un gruppo di leonesse che si stirano le stanche membra ai primi raggi del sole. Lasciamo le leonesse e ci dirigiamo verso Est, nella boscaglia attorno a Seronera, bufali, scimmie, ippopotami, giraffe e gru e bella boscaglia di acacie. Incrociamo solo un paio di macchine di turisti (Toyota e Land Rover telonate per una comoda osservazione degli animali). Nella zona che sulla cartina (18$ per una sorta di depliant spacciato per mappa) è chiamata Simba (leone in swahili) Kopies mi inoltro nella savana verso alcuni isolati copie seguendo una traccia incerta. Ci avviciniamo ad un branco di gnu (che ancora non hanno iniziato la migrazione)e su un largo kopie vediamo alcune leonesse con tanti cuccioloni, tra grandi e piccoli saranno una quindicina di felini, uno spettacolo straordinario ed eccitante. Spegniamo il motore ed osserviamo. Dopo un po’ due leonesse, con movimenti tra loro sincronizzati, si mettono in atteggiamento di caccia verso gli gnu,rimangono per lungo tempo immobili come due cani da caccia in ferma. Ma purtroppo non possiamo continuare la nostra osservazione, la strada che dobbiamo fare è ancora lunga e dobbiamo lasciare il parco entro le 24 ore dall’entrata (pena un ulteriore salasso). Dopo Simba Kopies la pianura, diventa piu’ dolce e verde e ci sono migliaia di gazzelle di varie specie poi il paesaggio cambia ancora e vicino al cancello di uscita è di nuovo il regno di zebre e gnu. Al gate di uscita abbiamo la sorpresa che è obbligatorio pagare i salatissimi diritti relativi alla Ngorongoro Conservation Area anche se non ci sono alternative di strada per andare verso Est essendo questa l’unica strada che porta alle principali città tanzaniane. Oltre al ticket di entrata sborsiamo anche i 200 $ + 20(per la guida obbligatoria) per scendere all’interno del cratere di Ngorongoro; ancora oggi a posteriori mi domando se valesse la pena spendere tanti soldi. Certamente è un posto unico al mondo, abbiamo fatto circa 15.000 km dall’Italia per venire fino a qui,non ha senso pagare l’ingresso alla Conservation Area (obbligatorio a meno di riattraversare il Serengeti in senso contrario) e poi non scendere nel cratere ma ugualmente la domanda me la faccio ancora adesso perché 220 $ sono comunque un bella cifra. Comunque visto-che-siamo arrivati-fino-a-qui- paghiamo mugugnando un po’. Dal gate il paesaggio cambia radicalmente, prima una vastissima pianura verde poi una zona brulla di acacie, poi si sale verso montagne e valli verdissime, tranne le giraffe e qualche gazzella gli animali selvatici sono scomparsi. Ci sono invece giovani pastori Masai con le loro greggi e i loro villaggi, a caso ci avviciniamo ad uno di essi e subito veniamo avvicinati da un sedicente rappresentante del capo-villaggio che ci chiede 120 $ per la visita del villaggio (naturalmente “tradizionale”) con spiegazione di usi e costumi e permesso di fotografare. Ci rifiutiamo anche solo di trattare e ce ne andiamo. Si sale verso i 2500 mt del bordo del cratere, la luce del pomeriggio è bellissima, le verdi montagne magnifiche, i villaggi masai d'”altura” particolari peccato che ci siano…………i Masai. L’inquinamento da turismo (anche se in questa stagione i turisti sono pochissimi) si sente eccome ed anche se solo si osa fotografare un villaggio da lontano si è subito assaliti con fare aggressivo e con continue richieste esagerate di danaro da parte di Masai che spuntano dal nulla. Nel pomeriggio arriviamo nella zona dei lodge e delle strutture dell’amministrazione del parco dove prendiamo accordi per la discesa nel cratere l’indomani mattina. Campeggiamo al public campsite Simba A (che è la soluzione piu’ economica ed obbligatoria nel senso che è proibito campeggiare altrove). Il costo esagerato di questi campeggi (30 $ a persona per avere un posto coperto per fare da mangiare, uno per mangiare e per servizi molto modesti) è una cosa che non ci va giu’ anche perché già l’ingresso al parco è salatissimo, ma non possiamo che abbozzare. Siamo immersi in una umidissima nebbia e fa decisamente freddo (siamo a 2550 mt) e mangiamo al gelo con i pochi turisti presenti. Unica nota positiva del campeggio: nel buio un branchetto di zebre viene a pascolare tranquillamente intorno alla nostra macchina.
08 giugno
Sveglia alle 04 e 40 immersi nella nebbia, andiamo ai servizi attorniati dalle zebre. Carichiamo il ranger Daniel e ci dirigiamo verso il cancello di ingresso al cratere che dista qualche km dal campeggio. La guida è molto difficoltosa a causa di una nebbia fittissima, non si vede piu’ di 2/3 metri. Alle 6,20 passiamo il cancello e scendiamo nel cratere, la nebbia è scomparsa ma il cielo è completamente coperto da nebbia-nubi. Contrariamente a quello che ci aspettavamo, gli animali non sono molti ma il posto è bellissimo ed il fondo del cratere è molto piu’ grande di quello che può sembrare, vediamo qualche elefante, gnu, molti struzzi, ippopotami. Incontro degno di nota quello con tre leoni maschi (sono i primi maschi che vediamo); uno è accoccolato accanto ad una femmina ed il ranger ci spiega che il fatto è piuttosto raro ed avviene solo dopo l’accoppiamento. Normalmente i maschi se ne stanno per i fatti loro, sono le femmine che si occupano, non solo della famiglia, ma anche di cacciare per procurare il cibo al maschio (che si serve per primo) ed alla prole! Giriamo per 4 ore e la natura è sempre diversa; si passa da zone brulle ed erbose a stagni con ippopotami, alberi ad alto fusto, nel lago ci sono i famosi fenicotteri rosa (non così numerosi come ci si può aspettare e non avvicinabili perché la pista, che è obbligatorio seguire, passo abbastanza lontano dalle rive). Veramente magnifica ed inaspettata è la foresta pluviale attraversata dalla ripida pista che risale lungo il versante orientale per uscire dal cratere. La foresta pluviale, fittissima e con alberi immensi continua fino al cancello di uscita, da qui improvvisamente cambia di nuovo il paesaggio. La foresta è scomparsa, campi coltivati, paesotti, gente in bicicletta. La strada è ampia ed ottimamente asfaltata fino a Makuyuni. Compaiono i primi maestosi baobab che dominano la brousse che qui è chiamata bush. A Makuyuni prendiamo verso Sud su un pistone piuttosto brutto e polveroso. A sera siamo a Babati in un buon albergo, doccia ristoratrice e cena piuttosto modesta. Oggi abbiamo fatto 270 km.
09 giugno
Anziché seguire la strada principale verso Sud prendiamo una pista che si inoltra nelle colline e che, stando alla carta, dovrebbe portare a siti con pitture rupestri. Attraversiamo i villaggi di Galappa, Kisese, Masange etc , la pista diventa sempre più piccola senza traccia di transiti recenti. Dopo una deludente cappatina ad un sito molto deludente accompagnati da un maestro di scuola, proseguiamo lungo la minuscola pista fino a raggiungere la località di Kolo, dove c’è un piccolo ma interessante museo il cui direttore-custode-guida ci accompagna, attraverso un impervio tratturo sassoso spesso da affrontare col marce ridotte, ad un sito di pitture certamente interessanti nel fitto di una boscaglia bellissima che ora ha i colori autunnali. Riaccompagnata la nostra guida al museo proseguiamo verso sud fino al paesotto di Kaloma con l’intenzione di passarvi la notte essendo ormai quasi il tramonto (sono le 17 e dopo circa ¾ d’ora avrebbe fatto buio), ma attorniati da strani figuri che ci propongono improbabili ed ambigue soluzioni per la notte fiutiamo un’aria strana e decidiamo di tornare a Kondoa dove alloggiamo al passabile New Geneva Hotel (15.000 Tsh la camera)- fatti 181 km.
10 giugno
Da Kondoa e Dodoma, importante centro amministrativo tanzaniano, sono 159 km di sterrato, a volte molto rovinato e comunque molto polveroso. In compenso il paesaggio è molto bello. Dodoma è molto grossa e animata con molto traffico ed animati mercati, ci fermiamo solo per cambiare un po’ di soldi. Da qui la strada è di nuovo asfaltata ed il paesaggio per un po’ è alquanto monotono, diventa interessante solo quando inizia una zona piena di baobab. A Morogoro, alle cui spalle vediamo delle verdissime montagne, arriviamo verso il tramonto; qui sostituiamo le due gomme posteriori che già piuttosto provate dal lungo viaggio (e dai viaggi africani precedenti) hanno subito il definitivo ko sul tratturo delle pitture rupestri. Al posto delle 2 BF Goodrich metto le due gomme di scorta (due anonime ricoperte). A Morogoro, ci fermiamo in un discreto albergo in periferia, oggi abbiamo fatto una bella tirata di 437 km.
11 giugno
Da Morogoro verso la Selous Game Reserve, una stretta pista molto “africana”, spettacolare, piena di villaggi e di colore, alberi giganti e foreste, rocce, qualche scimmia, gente semplice e cordiale, una pista non difficile ma molto lenta dove non si superano i 30 km/h . Ad un villaggio ci fermiamo attratti dal mercato, qui vengo avvicinato da un ragazzo che parla un ottimo inglese (cosa molto rara da queste parti) e che mi fa notare che ho perso il gommino dell’ammortizzatore anteriore sinistro e che continuando cosi potrei avere dei grossi problemi. Poiché come meccanico sono negato gli chiedo subito dove posso trovare chi è in grado di intervenire e lui mi dice che se ho il pezzo ci pensa lui; per fortuna è uno dei pochi ricambi che ho con me e Tash (così si chiama il ragazzo) dirige il lavoro di un paio di ragazzotti ed in circa un quarto d’ora la macchina viene riparata in mezzo alla pista. Gli chiedo quanto gli devo aspettandomi la solita richiesta esagerata per il turista ed invece Tash si affida a me : con un paio di jeans nuovi ed un pacchetto di sigarette me la cavo e i ragazzi mi paiono contenti. Alle 17 arriviamo al cancello di ingresso della Selous Game Reserve dove paghiamo il solito (anzi di piu’) pedaggio e dove prenotiamo un ranger per l’indomani. Oggi abbiamo viaggiato ininterrottamente per quasi 9 ore ed abbiamo fatto 175 km di vera Africa, è stata una delle giornate che piu’ ricorderemo. Campeggiamo all’ingresso del parco.
12 giugno
Notte quasi insonne per le zanzare e/o pappataci e caldo umido. Alle 7 arriva, munita di uno sgangheratissimo fucile, Rebecca una robusta ragazza tanzaniana che sarà il nostro (purtroppo pessimo) ranger. Gli animali che incontriamo non sono numerosissimi (come nel Serengeti), in compenso sono abbastanza timidi il che, per me, è una bellissima sensazione perché gli animali paiono essere finalmente selvatici e non si ha la sgradevole impressione più di essere in uno zoo-safari come in altri parchi dove gli animali sono troppo abituati alla presenza degli umani. Incontriamo gnu (di diversa specie rispetto a quelli famosi del Serengeti), facoceri, impala, altre antilopi, giraffe, alcune famigliole di elefanti coi piccoli che ciuciano il latte dalle madri. Dal ranger apprendiamo poco perché parla pochissimo e pare non capire l’inglese, alle domande risponde a monosillabi sussurrati. Nei pressi del fiume Rufiji (che ci aspettavamo di vedere molto di piu’) ci sono una serie di bei laghi con ippopotami, coccodrilli e vari uccelli. Sulla via del ritorno, malgrado i luoghi non apparissero difficili per orientarsi, la buona Rebecca si perde e dopo averci condotto in una accidentatissima palude secca (ove ho veramente sofferto per la salute delle vecchie ossa del mio 61) che finiva in un fiumiciattolo non guadabile, con molta fatica ritroviamo la pista giusta e alle 15.30 siamo all’uscita del parco dove con molto piacere scarichiamo il nostro improbabile ranger Rebecca. Dopo il parco percorriamo una lunga pista nel bush con molti villaggi. Il famoso fiume Rufiji(immortalato da uno dei più bei romanzi di Wilbur Smith) che pure stiamo costeggiando purtroppo si intravede solo in un paio di occasioni. Verso il tramonto cerchiamo un posto per campeggiare ma la cosa non appare per niente facile anche per la difficoltà di dialogare coi locali che non conoscono altra lingua che il loro dialetto e che stranamente non capiscono nemmeno la nostra mediterranea gestualità. Finalmente riusciamo a far capire ad una famigliola cosa vogliamo e cosi possiamo accamparci davanti alle loro capanne, paiono molto contenti dei nostri piccoli regali. Sempre per la difficoltà di capirsi, per la approssimazione delle mappe (e con il gps, caricato con le ottime mappe di tracks4Africa, che fa le bizze) non sappiamo neanche bene dove ci troviamo, forse nel villaggio chiamato Mkongo. Oggi abbiamo fatto 234 km.
13 giugno
Dopo un ottima dormita, senza le zanzare della notte scorsa, seguiamo la pista che costeggia il paese e cosi andando più a nord-est di quanto avevamo programmato, raggiungiamo Kibiti, che è un grosso snodo dove facciamo un po’ di spesa e gasolio. Fino a qui la pista è lenta ed accidentata ma poi tiriamo il fiato su un bell’asfalto che dura fino a poco dopo il grande ponte sul Rufiji, poi ancora pista brutta e lenta fino a Somanga, da qui bellissima strada fino a Kilwa Masoko paesotto in posizione splendida sull’oceano. Ci accordiamo con una guida per andare in dhow (tipica imbarcazione a vela latina diffusissima su questa parte dell’oceano) all’isolotto di fronte a Kilwa dove ci sono fascinose rovine del palazzo del sultano e di varie moschee, siamo sulla costa detta swahili famosa fin dall’antichità per i suoi traffici con tutto il mondo allora conosciuto. Alloggiamo al lussuoso Ruins Lodge (ove peraltro spuntiamo un ottimo prezzo essendo gli unici ospiti) che si affaccia su una bellissima baia non senza aver fatto un bel bagno nelle calde acque dell’oceano. Oggi abbiamo fatto 224 km.
14 giugno
Lasciamo il nostro bel lodge e dopo pochi km lasciamo la strada principale per raggiungere il villaggio di Kilwa Kivinge povero ma animatissimo centro di pescatori, con residui di costruzioni coloniali. Riprendiamo l’ottima strada verso sud tra spettacolari boschi di grandi baobab. Di tanto in tanto la strada costeggia l’oceano e si vedono magnifici scorci di spiagge di sabbia bianchissima contornate da mangrovie, si incontrano anche delle specie di grandi fiordi pieni o meno d’acqua a seconda della marea che qui ha una escursione molto forte. Verso mezzogiorno siamo alla bella Lindi, un magnifico anfiteatro di sabbia finissima bianca contornato da altissime palme. Pescatori ritirano le reti tirandole da terra e coloratissime donne mettono il pescato su ceste che portano in testa. Per l’equivalente di circa 2 euro compriamo un kg di guizzanti gamberi che finiscono immediatamente cucinati in padella dalla nostra Rosalba, cuoca sopraffina, e mangiati all’ombra delle palme in riva all’oceano. Satolli proseguiamo per Mikindami, che sulle prime sembra un insignificante villaggio in semi rovina. Invece, poco alla volta, si svelano interessanti vestigia del periodo coloniale tedesco tra cui si nota il mercato degli schiavi e soprattutto il vecchio boma (forte/guarnigione) tedesco, ottimamente restaurato ed ora trasformato in albergo molto fascinoso (Old Boma Hotel) ed il cui direttore, di chiare origine indiane, (che già avevo proficuamente contattato via mail dall’Italia) ci fornisce le ultime info sul passaggio del fiume Rovuma per raggiungere il Mozambico. Nelle vicinanze del boma una targa ricorda che il famoso esploratore Livingstone qui soggiornò prima di intraprendere il suo ultimo viaggio. Quasi al tramonto siamo all’animata Mtwara. Alloggiamo in un discreto anche se anonimo albergo dopo aver cenato in un bel ristorante affacciati sull’oceano. Oggi abbiamo fatto 317 km.
15 giugno
Dopo aver preso info al locale ufficio immigrazione circa le formalità di uscita dalla Tanzania (non c’è una strada che collega la Tanzania al Mozambico, e non ci sono ponti o ferry per attraversare il fiume Rovuma che segna il confine col Mozambico e quindi non eravamo certi ove fosse il posto di frontiera) lasciamo Mtwara per il villaggio di Kirando che si raggiunge per una pista stretta ma dal fondo buono. Qui si fanno tutte le formalità di uscita dalla Tanzania, in modo semplice e veloce. Prima però di chiudere il carnet e timbrare i passaporti, la cortese funzionaria della dogana ci invita a trattare il trasbordo in Mozambico. Sapevamo infatti che il passaggio in Mozambico avviene solo mediante canoe (lo si può leggere anche sulla carta Michelin!) e che il prezzo richiesto è molto alto ma trattabile. Con colui che si era presentato come il rappresentante del traghettatore concordiamo il prezzo in 200 $ sui 400 richiesti; ciò fatto sbrighiamo le formalità di chiusura. Facciamo qualche km e la pista finisce alle rive del Rovuma. Qui il procacciatore del “traghetto” ci presenta come suo padre o suo fratello (a seconda dei momenti) il padrone delle barche, il quale rilancia il prezzo del trasbordo a 250 $. Inutile dire che insisto che abbiamo concordato il prezzo con la funzionaria doganale come testimone ma non c’è niente da fare, è irremovibile e d’altra ha il coltello per il manico perché rinunciare al trasbordo significherebbe rifare le pratiche di entrata in Tanzania e soprattutto fare una deviazione di circa 2 mila km perché altre possibilità di entrare in Mozambico da Sud non ce ne sono. Cediamo ma poi ci rendiamo conto che il prezzo richiesto (scorrettezza della trattativa a parte) non è poi così esagerato se pensiamo che hanno lavorato per noi ben 13 persone. Infatti prima due “contadini” hanno sbancato le scoscese ripe sabbiose del fiume, poi in un ora e mezzo è stata costruita una zattera formata da tre barche unite tra loro con pali legati con uno spago (proprio così !!) piccolo ma evidentemente robusto, sopra i pali poi sono state appoggiate delle robuste assi poi c’erano gli addetti ai due fuoribordo poi c’erano coloro che trainavano la zattera sui bassifondi. La salita a bordo è stata agevole perché la discesa era abbastanza dolce e le assi tra la sponda e la zattera ben posizionate. Il tragitto dura circa un’ora e mezza tra grandi uccelli acquatici e brontolanti famiglie di ippopotami. Siamo tutti abbastanza gasati perché tutto ciò ci riporta ad un’Africa primordiale. Ma il bello deve ancora venire perché la discesa dall’improvvisata zattera non è affatto agevole perché la riva sabbiosa è molto in pendenza e la sabbia dopo il necessario approssimativo livellamento è molto molle. Le assi poste tra la zattera e la riva sono messe male e quando vi salgo sopra scricchiolano sinistramente e, mi avverte Giancarlo, per un pelo non si sono tranciate facendomi precipitare nel fiume; ritorno allora indietro sulla zattera e ritento, questa volta le assi tengono e “atterro” sulla riva ma anche con le ridotte non riesco a salire perché le ruote slittano. Dopo diversi tentativi solo utilizzando le benedette piastre da sabbia (è già la terza volta che ci salvano da situazioni difficili da che abbiamo lasciato il deserto) e con l’aiuto di numerose braccia (foraggiate con 25 $!!) riesco a superare l’ostacolo. Sulla riva mozambicana ci attendono due militari che, anche dopo aver controllato i passaporti ed il visto, salgono in macchina (sul paraurti posteriore) e ci scortano al posto di frontiera distante qualche km di stretta pista. Qui ci aspettano momenti abbastanza difficili, siamo provati dalle emozioni del passaggio del Rovuma e non siamo pronti ad affrontare burberi ed arcigni militari e le lunghe formalità di entrata. In ogni ufficio ci sono militari che senza alcun problema ci chiedono (sarebbe meglio dire pretendono) una tangente che qui chiamano amabilmente renfresco per darci quanto abbiamo diritto. Il caldo e la tensione ci fanno abbondantemente sudare. Dopo un ultimo controllo del bagaglio (tra l’altro ci “sequestrano” delle arance dicendo che non è consentito importare cibarie in Mozambico, …sarà vero ??) finalmente lasciamo il sinistro posto e percorriamo una stretta pista per una quarantina di km fino all’abitato di Palma; qui scendiamo al porto dei dhow e ci fermiamo all’Hotel Palma tanto modesto e spartano (eufemismo) che preferiamo campeggiare nel cortile dell’albergo. Per poco più di due dollari compriamo del buon pesce che un dhow ha appena sbarcato. E’ stata una straordinaria giornata africana, anche lo stress della frontiera fa parte del gioco. Fatti 103 km.
16 giugno
Raggiungiamo Mocimba de Praia, animata cittadina con tante vestigia coloniali in rovina, un bel porto (che tale non è, ma una grande spiaggia) di dhow con tanti piccoli cantieri di barche e pescatori dai quali compriamo per 4 $ un kg di grossi gamberi. Qui c’è la prima banca dove finalmente possiamo cambiare (1 $ = 25 meticais). Per andare a Sud vorremmo fare la strada costiera segnata sulle nostre carte, ma tale strada pare non esistere almeno stando a quello che ci dicono sia dei locali che la polizia, quindi rinunciamo alla costiera e prendiamo l’unica strada esistente. Attraversiamo una foresta ora molto secca (le ultime piogge sono state in aprile, pare) con pochi isolati baobab, la strada è in gran parte asfaltata, in alcuni tratti però piena di buche. Per pranzo ci fermiamo lungo la strada e cuciniamo (anzi, Rosalba cucina!) i gamberoni presi a Mocimba. Al tramonto che qui arriva prestissimo (alle 16.30 essendoci un’ora in meno che in Tanzania) siamo a Mucoje, ma noi vorremmo raggiungere Cabo Pangane di cui si dicono meraviglie e dato che mancano solo 11 km decidiamo di proseguire ma ci mettiamo quasi un’ora a raggiungere il campeggio perché la pista è sabbiosa e lentissima e dobbiamo percorrerla col buio pesto. Ad un certo punto la pista finisce ed intravediamo delle capanne ed un bianco che ci conferma che siamo arrivati nel campeggio. Siamo in riva al mare nella sabbia e sotto le palme e di piu’ non sappiamo.
17 giugno
L’alba ci porta una meravigliosa sorpresa, il posto è incantevole,siamo all’estremità di una lingua di sabbia col mare da entrambe le parti, tantissime palme. Ci precipitiamo a fotografare le barche ed i pescatori, le palme e le capanne del villaggio all’incantevole luce del primo giorno. E’ ancora mattina presto quando ci facciamo un bel bagno. Giancarlo e io, vecchi sub, ci siamo portati da casa maschera e pinne ma dal punto di vista subacqueo questi mari valgono poco perché la costa è sabbiosa, l’acqua molto bassa e la marea ha forti escursioni per cui l’acqua è piuttosto torbida ma per gli “spiaggiari” è una meraviglia. Con la luce ci rendiamo conto anche di come è il campeggio: formato da belle capanne,con curiosi pulitissimi wc annegati nella sabbia, tutto molto pulito,essenziale. Tra un tripudio di palmeti torniamo a Mucoje e da qui per una minuscola pista andiamo fino a Nipande, un villaggetto di pescatori fatto da tre capanne, belle barche e tantissime mangrovie che escono dalla sabbia bianca, la pista finisce qui e quindi torniamo a Mucoje poi a Macomia e da qui verso sud. Attraversiamo boscaglie molto secche che in questo periodo purtroppo sono costellate da incendi più o meno grandi che vengono appiccati apposta per ragioni non chiare ma che comunque sono ecologicamente distruttivi. Al tramonto siamo al villaggio di Tandanhangue, vicino all’imbarco per l’isola di Ibo, alloggiamo nel cortile della casa di Isufo, ambiente e personaggio ricordano tanto “il vecchio e il mare” di Hemingway. Sembra del tutto incredibile che questo posto venga considerato un luogo turistico tanto è sperduto e dall’aspetto tanto modesto, ma qui il turismo è veramente agli albori. Senza le indicazioni della guida della Lonley Planet non ci saremmo mai arrivati. Oggi abbiamo fatto 208 km.
18 giugno
Un dhow ci aspetta tra le mangrovie per portarsi ad Ibo. Come in tutti questi posti non c’è un vero e proprio porto e se c’è la bassa marea, come stamattina, bisogna camminare un bel po’ nell’acqua bassa e dal fondo melmoso per raggiungere la barca. Un paio d’ore di piacevole navigazione a vela e siamo ad Ibo, isola che pare il paradigma del colonialismo e dell’epoca post-coloniale. Ci sono infatti i ricordi coloniali tra cui spicca il forte di S.Juan (di abbacinante bianco), c’è il forte dove erano trattenuti gli schiavi prima di essere imbarcati, ci sono le chiese cristiane e ci sono le strade e le case dei portoghesi; ma tutto ciò (a parte il forte in restauro) appare in rovina, abbandonato (nel 1975) perché simbolo del periodo coloniale. Quello che è vivo sono la madrassa (scuola coranica), le moschee, la religione mussulmana della stragrande maggioranza della popolazione, le case povere del villaggio, i dhow. Il tutto è molto interessante ma forse, visto come ne parla la Lonley Planet, ci aspettavamo di più. Al pomeriggio siamo di ritorno alla casa di Isufo dove passiamo un altra notte (con pioggia, l’unica di tutto il viaggio!!).
19 giugno
Partenza al mattino presto (come al solito!), andiamo a Pemba. Da principio attraversiamo una boscaglia abbastanza insignificante ma poi incontriamo tanti bei villaggi, ognuno circondato da alberi di papaya, purtroppo continuano gli incendi. Prima di entrare in Pemba, celebrata località marina, famosa per la sua spiaggia contornata da palmeti, scendiamo nello stupendo Bush Camp, campeggio e bungalows sulle rive di una grande baia. Il posto è molto bello, tra enormi baobab, accogliente, con bagni enormi e stupendi acqua calda a volontà, gestito da sud-africani e dal prezzo onesto in rapporto a quello che offre. Un bagno ristoratore nella baia e poi andiamo a vedere la famosa Pemba. Ma la delusione è veramente grande, il posto a nostro parere è orrendo, la città nuova è solo una anonima città, quella vecchia è degradata, sporca senza alcuna personalità e/o attrattiva. Andiamo a Wimbi che è la spiaggia per cui Pemba va famosa ma il nostro giudizio non migliora. E’ tutto una costruzione dall’architettura senza alcuna anima una specie di Rimini (senza offesa per la nostra località) dei poveri, non è certo quello che ti aspetti da una località marina africana! Nella parte migliore (si fa per dire!) del posto andiamo a raccogliere alcune info da Carlo il loquace padrone del Residencial Reggio Emilia. E’ già buio quando torniamo, con grande piacere al nostro ricco campeggio. A cena grigliata sud-africana con ottimo bicchiere di vino rosso. Oggi abbiamo fatto 160 km.
20 giugno
Altra giornata molto “africana” da sottolineare in rosso. Lasciata la deludente Pemba e facciamo una prima sosta alla bellissima spiaggia con reef di Murrubuè dove a breve e purtroppo sorgerà un albergo a 5 stelle che dicono di proprietà dell’Aga Khan. Ora la strada è di terra battuta, grandi baobab dominano il bush. Arriviamo a Mecufi un villaggio posto ai margini di una splendida baia sabbiosa col mare che forma un fiordo dall’acqua cristallina. Mecufi vince 10 a 0 il confronto con Pemba e la cosa sorprendente è qui il turismo non è ancora arrivato e infatti noi soli ci godiamo questo spettacolo. Ripartiamo seguendo quella che sulla mappa appare una strada del tutto normale, invece ben presto la strada diventa pista poi, dopo un ultimo villaggio, diventa poco più di un sentiero battuto solo da qualche bicicletta (!!!) e da qualche locale a piedi. Sicuramente sono mesi se non anni che non ci passa un auto perché non se ne vedono le tracce. In alcuni punti la vegetazione è così invadente che ci si passa a stento e comunque strisciando la carrozzeria contro i rami. Sono abbastanza preoccupato perché se il tratturo dovesse terminare il ritorno sarebbe molto lungo, mi preoccupa anche il fatto che se dovessimo bucare qui il cambio gomma sarebbe perlomeno problematico. Guido per molte ore in queste condizioni, la foresta è molto secca, di tanto in tanto si vedono lontane montagne che ricordano le nostre dolomiti. Dopo molto viaggiare (ma con pochi km fatti) il sentiero ridiventa pista, la vegetazione si allarga,ci sono segni di attività umane, ci preoccupa però che per far posto alla pista stanno incendiando la boscaglia e noi ogni tanto dobbiamo sfiorare fiamme e fumo. Con la pista ritornano i villaggi e gente. A Chiurè siamo di nuovo su una bella strada di terra battuta. L’asfalto lo troviamo poco prima di Chiurè Novo dove troviamo ospitalità presso le simpatiche suore salesiane (come ci aveva suggerito Carlo di Pemba). Oggi in 7 ore di guida abbiamo fatto 173 km.
21 giugno
Oggi avremmo dovuto dirigerci verso Ilha de Mozambique, ma grazie alla intraprendenza ed efficienza di suor Aida (che è del Mozambico) cambiamo programma perché la giovane suora ci ha suggerito di contattare i padri Dehoniani di Nampula per lasciare presso di loro la macchina. Questa soluzione sarebbe per noi ottimale perché saremmo già a Nampula da dove partirà il nostro volo di rientro e ci risparmieremmo una andata e ritorno da Ilha, che dista 180 km da Nampula e risparmieremmo pure notevolmente sul costo del parcheggio. Ci dirigiamo dunque verso Nampula per verificare in effetti la disponibilità dei padri, la strada è ben asfaltata, il panorama è notevole. Attraversiamo foreste di piante sempreverdi con immensi baobab, con vista su grossissimi monoliti di granito fatti a pan di zucchero molto caratteristici, diversi villaggi ed un fiume ove oggi si è radunata una folla di locali per lavare se stessi ed i panni. Verso l’una raggiungiamo la missione, i padri (tre italiani molto simpatici ed estroversi oltre che molto ospitali) ci offrono il pranzo ed accettano di ospitare la nostra macchina che resterà qui per alcuni mesi. Nel primo pomeriggio ripartiamo verso Ilha ma dopo qualche decina di km con un botto tremendo scoppia la gomma posteriore sinistra, una sfigatissima ricoperta che mi era stata regalata e che avrebbe dovuto essere usata solo in caso di emergenza e che io invece avevo montato dietro dopo che avevo visto che le originali erano alla frutta. La sostituiamo con qualche difficoltà perché la macchina è appoggiata sul cerchio ed il crick è più alto del suo punto di appoggio, in più nell’agitazione del momento non riesco a ricordare dove ho messo le indispensabili leve per far sollevare il crick. La sostituzione della gomma ci fa perdere quanto basta perché il buio ci sorprenda e così gli ultimi 50 km sono fatti al buio, cosa mai piacevole da queste parti, soprattutto perché qui le biciclette sono numerosissime e nella notte si vedono all’ultimo specie quando si incrociano altre auto. Comunque arriviamo felicemente ad Ilha de Mozambique e qui ci fermiamo presso il bel Patio dos Quintalinhos una bel bed and breakfast di Gabriele Melazzi un giovane ed intraprendente architetto che qui ha messo famiglia. Oggi abbiamo fatto 450 km.
22 giugno
Oggi giornata dedicata al cazzeggio sulla piccola isola (collegata alla terraferma da un lungo e stretto ponte) molto interessante e ricca di fascino. Grazie anche a Gabriele la stanno restaurando in modo piuttosto intelligente e se non fosse per l’obiettiva difficoltà a raggiungerla (il più vicino aeroporto si trova a Nampula che è a 180 km e a sua volta Nampula è lontana dalla capitale – 2000 km circa – ed arrivarci in macchina è affare di pochi disperati come noi!) potrebbe diventare una specie di Portofino dell’Africa. Al pomeriggio piacevole gita in dhow.
23 giugno
Ancora un breve giro per l’isola e poi tranquillo rientro a Nampula accolti calorosamente dai padri Dehoniani. Cambio dell’olio e sistemazione della macchina, inventario di ciò che lasciamo qui, preparazione dei bagagli per la partenza. Da Nairobi a qui sono stati 4.400 km.
24 giugno
Padre Giuseppe ci accompagna al vicino aeroporto e sta con noi fino all’imbarco raccontandoci un sacco di cose interessanti sul Mozambico, poi volo su Dar es Salaam, da qui cambio per Nairobi e quindi volo per Zurigo e poi Milano ove arriviamo la mattina del 25 giugno.
Notizie pratiche
Auto: carnet per Kenya e Tanzania (ove chiedono una tassa supplementare di 25$), permesso temporaneo per Mozambico. Assicurazione r.c. valida per tutti gli stati attraversati, fatta a Nairobi per circa 160 €.
Gasolio: Kenya ksh 89; Tanzania tsh 1250; Mozambico mtc 25
Visti: in aeroporto a Nairobi per Kenya, al consolato di Milano per la Tanzania, all’ambasciata a Roma per Mozambico
Costo parchi
Serengeti: 50 $ per persona per 24 ore, 40 $ l’auto, 30 $ per persona al public campsite. Si può pagare anche con carta di credito ma solo col Pin (che noi chiaramente non avevamo dato che in Europa non si usa).
Ngorongoro: stessi costi più 200 $ per scendere nel cratere più 20$ per la guida obbligatoria,non si può pagare con carta di credito
Selous Game Reserve: 65 $ per persona, 50$ per l’auto, 30$ per persona per il public campsite, $ 25 per il ranger non obbligatorio