By Luciano Pieri
Originally Posted Tuesday, March 20, 2012
DAL PAKISTAN ALLA CINA – Viaggio sul filo del tempo
testo e foto di Luciano Pieri
“Signori imperadori, re e duci e tutte altre genti che volete sapere le diverse generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove troverrete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti di Erminia, di Persia, di Tarteria, d’India e di molte altre provincie………”
Così inizia “IL MILIONE” di messere Marco Polo, savio et nobile cittadino di Venigia, inquadrando subito uno dei rami della via che portava dal mare Mediterraneo al mitico Catai, l’odierna Cina, mercanti, ambasciatori e avventurieri.
Di Vie della Seta ce n’erano diverse ai tempi di Marco Polo e venivano scelte dai viaggiatori a seconda della situazione politica corrente e dai pericoli che variavano nel tempo.
Questa via è quella che percorreva i tratti più a nord, partendo dal porto di Trebisonda sul mar Nero passava dall’Armenia (Erminia), dal Turkmenistan (Tarteria) seguendo la direttrice: Trebisonda-Tabriz-Merv-Samarcanda-Kashgar.
Però ce n’era un’altra che a un certo punto del percorso prendeva verso sud e passando da Taxila in Pakistan, le valli degli Hunza, le vallate del Karakoram e l’altipiano del Pamir arrivava sempre a Kashgar, vero punto nevralgico del centro Asia.
Questa è per me la via più spettacolare e la percorsi nel 1992 quando da poco i cinesi avevano aperto quel confine ed ancora non si parlava di integralismo islamico.
Partì dalla verdeggiante Islamabad, seconda città del Pakistan, in direzione nord costeggiando da subito il corso dell’Indo fiume che ci accompagnerà per buona parte del percorso di avvicinamento al confine cinese.
Dopo un cinquantina di chilometri siamo nel cuore del regno di Gawdhara, fondato dai coloni greci condotti da Demetrio, che si stabilirono in questa regione chiamata Battriana, 250 anni a.c.
Qui esisteva già un antico regno buddista, per cui, durante scavi fatti nella capitale Taxila si ritrovarono tre città: Bhir Mound, del VI° secolo a.c. già visitata da Alessandro il Grande nel 326 a.c. e ricca di monumenti buddisti, Sirkap, la città dei parti, con resti di mura greche, scite e parti, ed infine la città di Sirsukh, sopravvissuta per quattro secoli, dall’80 al 460 d.c.
La città di Taxila, peraltro scavata in minima parte, è ricca di monumenti e di reperti archeologici, ma quello che è ritenuto il vero gioiello è un piccolo tempio chiamato “il santuario dell’aquila bicipite” dove in un affascinante miscela di decorazioni si incontrano stili indo-greci.
Sopra la nicchia centrale c’è l’aquila bicipite, motivo che gli sciti ripresero dai babilonesi e dagli spartani e che successivamente entrò negli emblemi imperiali di Russia e Germania.
Si lascia la piana di Taxila su verso nord, fino a Thakot dove, al di là di un impressionante ponte sospeso, inizia la strada del Karakoram, una delle strade più difficili del mondo, costruita dalla collaborazione cino-pakistana e costata circa ottocento morti di ambo le nazionalità.
Da qui si entra nella regione del Kohistan, terra di fuorilegge, dove in ogni piccolo villaggio si può liberamente acquistare in negozietti gestiti da ceffi inquietanti, armi di tutti i tipi a prezzi veramente da liquidazione; il prodotto più richiesto, naturalmente, è il famoso e sempre funzionante, Kalashnikov.
L’incontro successivo è la cittadina di Gilgit.
Dominata dall’elegante guglia del Rakaposhi (metri 7787) Gilgit è una cittadina posta in una dimensione fuori dal tempo, al suo apice di bellezza in primavera quando tutti gli alberi da frutta sono fioriti.
Fu centro strategico per duemila anni, da dove i Mir, maraja del suo regno, controllavano tutto il commercio che passava da questa via obbligata che dopo circa trenta chilometri si inoltra nelle valli degli Hunza, la favolosa Shangri-la.
In queste valli, l’orologio del tempo si è fermato da secoli o forse non si è mai messo in moto, la popolazione, vestita ancora come centinaia di anni fa, coltiva i fertili fondo valle della catena dell’Hindukush, abitando case bianche rettangolari col tetto a terrazzo.
Quando passai di la’ era luglio e questi tetti erano completamente coperti di albicocche per una naturale disidratazione dovendo essere conservate per la stagione invernale.
La polpa verrà cucinata in modi diversi e il nocciolo viene macinato per fare farina.
Si racconta che vivere più di cento anni, lavorando ancora nei campi, è abbastanza frequente fra questa popolazione e sembra che oltre lo stile di vita, questo risultato sia dato dall’alimentazione a base prevalente di frutta e latte, nonché dalla loro acqua particolare e da un tipo di brandy che distillano dalle more di gelso.
La piccola capitale della regione, Karimabad, è sovrastata dal palazzo di Baltit, per novecento anni abitazione del Mir degli Hunza che qui risiedette fino al 1960.
La strada del Karakoram continua su verso il passo Khunjerab a 4890 metri dove una stele bilingue segna il confine cinese-pakistano.
Khunjerab, in lingua wakhi, significa “valle di sangue” per gli assalti cruenti che gli Hunza facevano a carico delle carovane che da qui erano costrette a transitare.
Varcato il passo siamo in Cina, si scende nella regione del Pamir, il tetto del mondo, grandi altipiani battuti dal vento, tra catene parallele di montagne, ci sono comunque distese erbose dove pascolano cavalli, yak e cammelli battriani, tutti di proprietà del popolo kirghiso.
Se si incontra qualche ak-oi, le loro abitazioni, yurt rotonde coperte di uno spesso feltro di pelo di cammello e lana, il viaggiatore è sempre ospite gradito ed un tè con burro di yak è per lui sempre disponibile.
Scendendo giù ai 3900 metri del lago Karakuli, una mezza giornata di fuoristrada ci separa dal più famoso crocivia della via della seta: Kashgar.
Kashgar, impressionante grogiolo di etnie asiatiche, citta medievale, ancora recintata da mura difensive, era il punto dove le carovane, sfiancate dalla fatica e dal gelo delle montagne del Pamir o dal caldo infernale del deserto del Taklamacan, se venivano da est, facevano tappa per il cambio del tipo di animali da soma, yak o cammelli.
Da Kashgar per andare verso sud-est e raggiungere Xian c’è un unico percorso: attraversare il deserto del Taklamacan.
Già il nome di questo deserto incuteva a quei tempi timore e sgomento, infatti tradotto dalla lingua uygura significa “entra e mai più ritornerai”.
Il Taklamacan inghiotte tutti i fiumi che scorrono dentro il suo bacino tranne il Khotan Karakash ed il Tarim che scorrono lungo il suo confine settentrionale, per il resto è una impressionante estensione di sabbie, rovente di giorno e gelata di notte.
Attraversato questo magnifico inferno si incontra una depressione che giunge fino a 154 metri sotto il livello del mare e qui c’è l’oasi di Turpan chiamata per la sua bellezza “la perla della via della seta”.
Non ci piove mai ma è ricca di vegetazione e di varie coltivazioni grazie all’acqua che giunge dai monti Bogda Shan, attraverso un complicato sistema di gallerie sotterranee, chiamate “karez” e costruite dall’uomo 2000 anni fa.
Turpan oltre che di prodotti agricoli è ricca di storia, per gli archeologi è una vera miniera di ritrovamenti: dalle città di Yarkoto e Kharakhoja risalenti al II° secolo a.c., alle tombe di Astana in cui sono stati rinvenuti dipinti, statuette, abbigliamento e cibi che hanno svelato le abitudini di popolazioni risalenti al I° secolo a.c.
Notevole anche il minareto di Emin fabbricato nel 1777 in semplici mattoni seccati al sole che si innalzano al cielo formando motivi floreali e geometrici; non ultime le grotte di Bezeklik, chiamate “Le grotte dei mille Buddha”, situate in una meravigliosa gola scavata dal fiume Murtuk.
Poi attraverso il deserto pietroso del Gashun Gobi, incontrando i tratti più a ovest e più antichi della grande muraglia costruita qui in mattoni crudi ed alcuni enormi castelli, avamposti delle grandi dinastie cinesi, si giunge a Xian.
Questa città, ancora circondata da imponenti mura di pietra, fu per 1180 anni capitale sontuosa di undici dinastie cinesi e punto di arrivo e partenza per quella che nei secoli è stata sempre chiamata “La via della seta”.
Per sottolineare la grandezza di Xian basta visitare una sola tomba, quella dell’esercito di terracotta dove centinaia di magnifici guerrieri fatti di fango essiccato fanno la guardia al loro re, notare che la tomba vera e propria deve essere ancora scavata.
Da Xian un volo della CAAC, compagnia aerea cinese, ci riporta a Pechino per finire il nostro viaggio.