BHUTAN – DRUK YUK, LA TERRA DEL DRAGO TONANTE
testo e foto di Luciano Pieri
Il turboelica della Druk Air si infila decisamente nel corridoio aereo in mezzo alle montagne, sotto di noi una valle verde smeraldo.
Le cime delle montagne sono molto più in alto della rotta che stiamo compiendo.
Le turbolenze che si creano per la vicinanza delle pareti rocciose ci danno la sensazione di essere su di una piccola barca in mezzo ad un mare tempestoso.
Il pilota scende sicuro verso una striscia di asfalto parallela ad un fiume e siamo all’aeroporto di Paro, unico scalo aereo nel regno del Bhutan, a 2.300 metri s.l.m.. Scendiamo, ci guardiamo intorno: è una verde vallata, ancora bagnata dalla pioggia. Il terminal è una graziosa casetta di architettura tradizionale dove, anziché computers e marchingegni moderni, ci aspettano due impiegati con gli abiti che da sempre portano tutti i bhutanesi per tassativo ordine del re.
Il nostro ingresso nel regno del Drago Tonante è registrato, a penna, sopra un grosso libro, con una calma che non ammette impazienza. E non ce n’è motivo visto l’esiguo numero dei passeggeri arrivati. L’aereo era da circa sessanta posti, più che sufficiente dato che allora, 1994, i visti concessi in tutto l’anno non dovevano superare il numero di 2.500. Usciamo dalla zona doganale: la valle di Paro è di un verde stupendo, l’acqua del fiume che scorre sotto il ponte che stiamo attraversando è neve sciolta proveniente dal Chomolhari, un temibile 7.300 metri vietato agli scalatori perchè ritenuto sacro.
Lassù, sulla collina di fronte a noi, un imponente dzong, il sacro monastero del buddismo dei Drukpa, quelli del Drago Tonante, da cui il nome di questo regno.
In questo monastero, domani, inizierà una grande festa, il TSECHU, cioè: Il decimo giorno. E’ la commemorazione della nascita di Padma Sambhava, il Guru Rimpoche, maestro del buddismo tantrico, che nel IX secolo D.C. diffuse il pensiero del Buddha nelle regioni himalayane.
E’ una grande ed importante manifestazione religiosa dove, lo spirito del buddismo bhutanese si manifesta in tutta la sua intensità.
La drammaticità delle rappresentazioni ed il colore dei costumi non hanno pari in nessun altro spettacolo.
Le cerimonie religiose iniziano alle tre della notte con l’esposizione, su di una facciata del monastero, di un enorme thangka, grande 20 metri per 30 metri, vecchio di 400 anni, raffigurante il maestro Padma Sambhava.
Una volta ricoperta la facciata con quest’effige così cara a tutte le popolazioni delle regioni himalayane, al lume di torce e di centinaia di lumini, i fedeli sfilano per ore, in coda ordinata, per rendergli omaggio e chiedere qualche grazia.
Il freddo è pungente ma nessuno sembra avvedersene.
L’entusiasmo della fede rende questi duri montanari, immuni alle intemperie. Sono commoventi nella loro semplice devozione, che esprimono in gesti di estrema venerazione verso questa loro immagine sacra.
Poco prima che i raggi del sole nascente lo colpisca, il thangka viene riavvolto, e su decine di spalle di giovani monaci, è riportato nella sua sede nel monastero, dove rimarrà chiuso fino al prossimo anno.
Inizia a questo punto la CHAM, la danza sacra, che viene fatta risalire ai riti prebuddisti della religione tibetana “bon po”.
La danza, nella religione buddista, rappresenta una forma di meditazione e la visualizzazione della divinità, paragonabile alla trance religiosa raggiunta dai dervisci rotanti.
Su la musica di tamburi, trombe, cimbali e gong, i ballerini saltano, ondeggiano, muovendosi vorticosamente e disegnando simboli con le mani e con tutto il resto del corpo. Per i bhutanesi sono messaggi mimici semplici da capire; raccontano storie mitologiche e antiche leggende dove, sempre, il Bene vince sul Male e l’Eroe sul Demone.
Come da tutte le parti del mondo, la festa religiosa attira venditori delle più svariate merci, saltimbanchi, giochi di fortuna dove, naturalmente, vince sempre il gestore.
La gente affluisce con le vesti più belle e le donne del Bhutan hanno degli abiti senza confronti: di sete colorate, ricamati con maestria e fantasia e abbelliti di antichi gioielli, dove il turchese ed il corallo fossile predominano.
Le belle bhutanesi non venderebbero a nessun prezzo questi gioielli perchè sono i beni di famiglia trasmessi per generazioni in linea matriarcale.
I dintorni di Paro sono un piccolo paradiso; a nord il Chomolhari, con le sue cinque vette gemelle, regna in bianco splendore. Dai ghiacciai il fiume Paro Chu alimenta la valle di Paro.
I gruppi di case coloniche in legno, le risaie verdeggianti d’estate e dorate in autunno, le radure con salici piangenti e pacifici animali al pascolo, le colline ricoperte di pini e monumentali siti storici, sono fusi in perfetta armonia.
La storia politica e religiosa del Bhutan è nata e sviluppata qui a Paro.
Attualmente la capitale è Thimpu. Per noi occidentali, una capitale, è qualcosa di grande sia come area sia come numero di abitanti. Qui, all’epoca della mia visita, c’ erano circa diecimila abitanti.
Per raggiungere Thimpu da Paro, s’attraversano suggestive vallate ricche di boschi con piante di rododendri grandi come i nostri noci e con centinaia di specie di orchidee selvatiche dai colori più imprevedibili.
Si possono visitare “monasteri fortezza” che hanno fatto la storia di questa piccola nazione, come il Taky sang, La tana della tigre, attaccato ad una parete rocciosa, praticamente inaccessibile e il Drukgyel Dzong che, posto su di una collina tra due catene montuose, era il leggendario guardiano della valle di Paro. Qualche secolo fa era inespugnabile e fu baluardo contro le ripetute invasioni dal Tibet.
Arrivando a Thimpu ci ritroviamo in una fertile vallata, a 2300 metri, attraversata da un piccolo fiume con acque azzurre come il cielo che gli sta sopra.
Case di legno ed edifici di cemento armato stanno fianco a fianco, tutti costruiti e dipinti nei tradizionali stili architettonici bhutanesi.
Non mancano interessanti edifici pubblici e monumenti storici. Il Simtokha dzong, che si innalza su di un’alta cresta e domina il crocevia delle strade che attraversano il Bhutan da nord a sud e da est a ovest, è il monumento più notevole.
Già nel 1627, quando venne costruito da Shabdung Ngawan Namgyel, la sua importanza strategica era stata essenziale per questo paese.
Dominava le principali rotte commerciali, anche verso il Tibet, e da qui partirono le azioni di guerra che re Shabdung fece verso i vari signorotti locali per unificar il paese sotto un’unica bandiera religiosa e politica.
Attualmente è rimasto un centro religioso-politico e ospita l’importante scuola per lo studio dei monasteri e dei templi bhutanesi.
Un’altra località ha fatto la storia del Bhutan: Punakha.
Agli inizi del 1600 fu costruita questa fortezza, all’incrocio dei fiumi Pochu e Mochu, come centro amministrativo e religioso del Bhutan.
L’architetto che la progettò, Tulpei Zawa Valip. andò prima a studiare le architetture del Tibet e della Cina, per cui questo monastero-fortezza presenta caratteristiche sino-tibetano-bhutanesi.
Ancora oggi, Punakha, è la capitale religiosa del Bhutan mentre Thimpu è la capitale politico-amministrativa e sede della famiglia reale.
Il Bhutan, in questo mondo rovinato dalla globalizzazione, rimane un gioiello molto particolare, ma per quanto tempo ancora?