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Algeria – Nell’anima del Deserto

– Posted in: Africa, Nord Africa, Resoconti di viaggio

By RoboGabr’Aoun
Originally Posted Friday, February 16, 2007

 

ALGERIA

NELL’ANIMA DEL DESERTO

La prua della Carthage punta dritto a sud, la velocità sensibilmente rallentata.

Nemmeno troppo lontano, verso ovest, il promontorio di Capo Negro racconta di profumo di spezie ed arabeschi, mentre ad oriente già si distingue nella foschia creata dal gioco delle distanze il profilo dolce e verdeggiante di Cap Bon…Due lembi di terra protesi nel mare; qualcuno ha scritto che i margini del Golfo di Tunisi sono come una tenaglia che si protende nel blu cobalto del Mediterraneo…Preferisco immaginarli, invece, come braccia aperte e tese come in un abbraccio invitante, il saluto dell’Africa che, di nuovo, mi accoglie.

Eccola La Goulette, con la sua babele di costruzioni vecchie e nuove, con i colori sbiaditi della sua storia passata che lottano per non soffocare tra le macchie psichedeliche di una modernità dilagante che in fondo non le appartiene. Ed eccola Tunisi, con la vociante Avenue Bourguiba, le bancarelle dei fiorai, i ragazzetti con il gelsomino all’orecchio, le belle signore vestite di seta e damasco. Tutto scivola via veloce, troppo veloce; ma il tempo è poco, quest’anno siamo solamente di passaggio in questo Paese che così tanto amo e così tanto mi ha dato in dodici anni di vagabondaggi…La carovana dei nostri toyota (viaggio monomarca, questa volta!) fugge veloce verso sud ovest, alla volta della regione dei Chott, alla volta dei palmeti di Tozeur e Nefta, alla volta della porta per l’Algeria, Hazoua.

Un pomeriggio è sufficiente ad arrivare a parcheggiare nel palmeto di Tozeur e la sera ci regala un gelo intenso, umido, quasi nebbioso. Ma la notte passa veloce, l’attesa del domani è golosa e rende elettrici gli animi: domani è Algeria. Ed eccolo infine l’agognato “domani”. Taleb Larbi ci accoglie con una mattina di sole piacevolmente tiepido, le bouganville in fiore, le tamerici cariche di passeri e tortorelle africane; nessuno in frontiera, solo noi, dieci “malati” delle sabbie ed un cane, il mio.

Meno di due ore e scivoliamo in direzione di El Oued. Il primo sbarramento, nell’oasi vera e propria di Taleb Larbi, a due chilometri dall’ingresso nel Paese, ci lascia un po’ perplessi: appena entrati subito bloccati per piu’ di un’ora, tra controlli ed altre lungaggini burocratiche…Poco male, abbiamo tempo, oh si che ne abbiamo. Ed allora giu’ tavoli e sedie, di fronte alla Caserma della Gendarmeria, per il primo pranzo algerino, sotto gli occhi attoniti dei militari. E poi giu’, verso ovest e verso Sud, a macinare questi 1700 chilometri di asfalto prima del salto in deserto.

Tre giorni, tre lunghi giorni belli pieni per raggiungere Djanet, tra decine di posti di blocco e controlli; el Oued, Touggurt e poi giù, a tutto sud, dritti verso Hassi Messaud, a rotta di collo lungo il Gassi Toulil, vallata di centinaia di chilometri che taglia come un fuso l’Erg Orientale tra colline di sabbia cremisi. Non basta, ancora piu’ giù: Hassi Bel Guebbur, In Amenas, Illizi… Anche qui altro pranzo di fronte ai gendarmi, in mezzo alla via principale della cittadina… Troviamo un gruppo di italiani sfortunati, prelevati (per non dire arrestati) dalle guardie di frontiera algerine perché passati oltre confine scendendo, in Libia, da Gadames a Ghat: tutti fermati e portati ad Illizi per la registrazione; viaggio rovinato. Via, voliamo ancora a sud, salendo tra le rocce ossidate del Fadnoun. Il bivio per il oued Essendilene sfila ad oriente, mentre pestiamo l’acceleratore per vincere il tempo che sfugge e non arrivare all’ultimo posto di blocco, Bir El Haus, dopo le 18, che poi non ci fan piu’ passare… Ed arriviamo esattamente alle 18, dopo praticamente tre giorni di viaggio; niente da fare, non si passa, sono le sei della sera ed è Fitr Kebir, la festa del montone.

Discutiamo, parliamo, vediamo se c’è soluzione: siamo ad appena 130 chilometri da Djanet e fermarci qui sembra assurdo… C’è anche un po’ di tensione, in fondo siamo dei rompipalle arrivati proprio quando per i militari stava per iniziare la festa… Siamo decisamente rompipalle, ma così rompipalle che alla fine passiamo, facendo persino finta di niente di una ruota bucata. Partiamo con il copertone a terra, giusto per passare oltre la sbarra, prima che si abbassi…alla prima curva tutti fermi, su il culo del toyota ferito, ruota cambiata e di nuovo via, ormai nel buio.

Djanet ci accoglie alle 20, con un piatto di pollo e patate che è una benedizione. Le air camping si aprono nell’aia dello Zeriba Camp ed il fuoco crepita poco lontano. Una teiera borbotta sulle braci, uomini velati si aggirano per il campo, salutano in tamahak…l’odore di cumino permea l’aria, il suono dei palmizi è come un sospiro profondo. Sì, siamo arrivati: siamo alla porta del Deserto.

E si va, si parte. 300 litri di gasolio e 150 di acqua ad equipaggio: gli assetti delle auto sono messi alla prova con un carico enorme ma necessario per i 1500 chilometri di traversata. Mappe controllate, punti gps caricati, programma studiato e ristudiato, tutto a posto, andiamo.

L’ingresso nel oued In Djerane è colmo di magia, come tre anni or sono. Ora c’è l’asfalto, nuovo di zecca, che toglie un poco di poesia alla pista che fila verso oriente e Tin Aikoum, la Libia, Ghat…

Poco importa, lo scenario è mozzafiato e l’asfalto lo lasciamo presto per entrare nel labirinto del Tadrart…Questo Tadrart che è l’Akakus libico all’ennesima potenza, luogo dei sensi e dello spirito, ove tutto è immenso e macroscopico e dove il minuscolo è grandioso come il gigantesco. Archi di roccia, torrioni, speroni possenti adagiati in un letto di sabbie morbide del colore del sole al mattino.

Nessuno, non c’è anima viva, solo noi ed il vento; siamo soli nel dedalo di valli e canyon, in un tripudio minerale. Le rosse dune di Tin Merzouga sono come una visione irreale, lasciano ammutoliti, le tracce delle ruote sono quasi blasfeme in questo terreno vergine.

Poi Moul En Aga, le sue sebkhe abbacinanti, le sue scogliere di pietra nera nell’oceano di dune, onde color porpora pietrificate nel momento stesso dell’urto sulla roccia da un incantesimo nascosto nella notte dei tempi. L’hammada infinita del sud, giù a picco in direzione 180, fino a perdersi tra i faraglioni di Alidemma, tempio del silenzio, vera anima di tutto il Sahara. Ogni angolo è meraviglia, ogni masso è come disegnato e scolpito da maestri sublimi… E tutta quella sabbia chiara, docile, invitante… Vaghiamo per Alidemma, alla ricerca dei suoi archi, dei suoi anfratti, dei suoi angoli piu’ segreti, ci lasciamo avvolgere dalla sua magia tenue eppure potente, eterna.

Ed ecco il salto, il tuffo nel vuoto vero. Saltiamo oltre le dune color albicocca dell’Erg D’Admer, passando ad un soffio dal pozzo di In Afelelah, che deve il suo nome alle piante velenose così tristemente famose nella storia del luogo… Giù in quel lembo di Tenerè algerino, il Tafassasset, in piena tempesta di sabbia e visibilità zero, a cercare le dune dell’Erg Kilian, ad un passo dal confine. Le sue dune sono ambrate, leggere, sottili ma infide. Andiamo a salutarle, giochiamo con i loro fianchi sinuosi ed invitanti come le curve di una donna. Il vento non ci da pace, la notte è un ruggito infinito, una ridda di cespugli che volano nel campo, di tende che sbattono, di auto che sobbalzano sotto la rabbia di Eolo.

In un’alba grigia di polvere in sospensione volgiamo ad ovest, puntando dritti su Issalane, pozzo dimenticato, asciutto, morto. Troviamo nelle vicinanze un nuovo scavo, rudimentale, con acqua, probabile unico punto di rifornimento insieme al lontano Tiririne ed all’ancor piu remoto Inn Teak, giù al sud estremo….Eccole, nella pianura sterile, ad appena 20 chilometri dal pozzo che abbiamo appena lasciato, le tombe di due morti di sete, due disperati saliti dal Mali in cerca di speranza qui smarriti, o meglio abbandonati dalle guide, ed addormentatisi per sempre in questo mare di pietra.

Lasciamo dell’acqua nelle ciotole di smalto ai piedi delle tombe, come omaggio rituale, così come vuole la tradizione dei viandanti delle sabbie… Ed infine Tagghart, la cattedrale di pietra, con le sue dita di arenaria puntate verso il cielo, in un mausoleo di roccia che sembra un’opera d’arte medievale, un castello, una basilica, un’astronave, una creatura preistorica assopita… Tagghart è tutto l’immaginario racchiuso in una apoteosi di sabbia e pietra, un connubio perfetto in armonia e colori, un’emozione di una potenza indescrivibile… e noi ci stiamo camminando dentro.

L’anima si disseta dell’immenso, e la sabbia ci avvolge nel suo mistero, ci rende granelli tra i granelli.

Moussa, l’amico targhi che ci accompagna, ha lo sguardo perso a sud: oltre Tagghart è Tenerè, il salto nel Nulla… Di qui, se ci si volge a sud est, non c’è piu’ niente, solo l’immenso vuoto di sabbie che precipita infinito verso Acheggour e Fachi, ed ancora oltre, solo sabbie inerti fino al lontanissimo sahel. Di qui risalgono i disperati che tentano di raggiungere le coste nord africane e, da esse, l’Europa. Convogli di centinaia di persone che attraversano il Tenerè evitando i posti di frontiera e, di conseguenza, i pochi pozzi attivi. Ed a centinaia muoiono, ogni anno, dimenticati.

Puntiamo a tutto Est, in una spianata di sabbie soffici e colline di pietra erosa dai millenni. Branchi di gazzelle dorcadi intersecano il nostro cammino, a volte lontani altre talmente vicini da rischiare la collisione. L’emozione che dona il loro incontro è inenarrabile…

Poi, di colpo, inaspettato e meraviglioso si stende di fronte a noi il ouadi Tin Tarabine, lussureggiante di cespugli, fiori dai mille colori, con l’erba alta fino ai finestrini delle auto: il miracolo della pioggia, scesa oramai quattro mesi or sono, che ridona vita al deserto e rende vivo un angolo di mondo altrimenti sterile. E’ come un’arteria di linfa vitale e pulsante, un profondo solco di verde brillante che è quasi fuori posto in questa realtà di tinte dell’ocra. Oltre il ouadi è il Tassili dell’Hoggar, altra perla del Sahara. Attraversiamo il fiume all’altezza della Grande Rocca incisa di rupestri del neolitico, letteralmente assediata da bracciate di fiori e canne ondeggianti. Ed è di nuovo sabbia, soffice, chiara. Navighiamo ad est fino ad incontrare un maremoto di guglie e pinnacoli, un labirinto di rocce levigate che è la porta d’accesso al Parco di Youfehakit, letteralmente in tamahak “meglio che sotto la tenda”, un angolo di paradiso fatto di rocce bizzarramente torreggianti. Anche qui il miracolo dell’acqua è tangibile: tutto è verde, tutto è fiorito, vivo. Bivacchiamo, per la prima (ed unica) volta senza vento perfido, alla base di un monolito di arenaria. La luce del fuoco lo illumina e pare di essere alle porte di un castello. Serata di festa, ed il buon vino rosso accompagna le lunghe chiacchierate, discorsi di viaggi del passato e di sogni sul futuro.

Ed è ancora viaggio, di nuovo in tuffo a tutto Sud, insaziabili; attraversiamo l’infinita pianura alluvionale di Tagrera, 150 chilometri di piatto assoluto, una meraviglia di sabbia compatta su cui le toyota sfogano la loro sete di libertà. Il vento è impetuoso, diviene quasi tempesta, ma continuiamo a scendere a Sud.

Attraversiamo le tracce della pista che dall’antico pozzo di Inn Ebbegi porta ad In Azaoua, al confine con il Niger, ad un’ottantina di chilometri, pista un tempo aperta ed oggi vietata, utilizzata solamente dai contrabbandieri di cui intravediamo traccia dai segni di ruote gemellate in mezzo al nulla. Inn Tagrera, con le sue sculture di pietra ed i suoi obelischi immoti, puntati verso il cielo come monumenti fantastici ed inspiegabili. Inn Tagrera con i suoi funghi di arenaria, con le sue grotte, i suoi antri, la sua sabbia dai colori cangianti. Ma il vento è una persecuzione, la visibilità quasi zero. Fuggiamo, inseguiti dall’urlo della tempesta che sale possente da sud, risalendo il labirinto alla ricerca di riparo. Attraversiamo le gole impervie di Tin In Ackcheker… tempesta o no non ci si puo’ non fermare, non si puo’ non scendere e vaffanculo al vento, per ammirare la meraviglia che la natura ha saputo qui costruire, un merletto di rocce che pare cesellato da un artista gigantesco. Poi il Parco di El Ghuessur, i suoi graffiti, la sua guelta di acqua limpida ed ancora su, questa volta a nord ovest, praticamente paralleli alla grande carovaniera per In Guezzam ma leggermente piu’ spostati ad oriente. Risaliamo per un giorno intero l’ostico letto del Oued Iararar, fino ad incontrare la cortina di montagne che cinge come un bastione la piccola piana di Tamanrasset…Piccoli villaggi, si incontrano i primi armenti, i primi bambini. Ci fermiamo in un villaggio tra le montagne, a donare materiale di cancelleria alla minuscola scuola… Ci portano due bimbi piccolissimi gravemente ustionati, ed il nostro buon veterinario li cura per due lunghe ore, il sottoscritto a tenerli immobili, mentre, tra urla e lacrime, stacchiamo brandelli di carne bruciata incollata a tessuto… Ma va tutto bene, i tuareg sono coraggiosi, i loro piccoli anche. Scavalchiamo la catena e di fronte a noi torreggiano le vette dell’Atakor, con l’Adriane in primo piano… Tamanrasset ci accoglie quieta, quasi silenziosa. Non ci sono turisti, non c’è nessuno: passeggiamo per le sue vie tranquille ed è un altro mondo, è il paradiso. Sosta rigeneratrice, ma breve, perché il deserto chiama ancora; 80 chilometri di salti e dirupi per salire in cima all’Assekrem, il cui solo nome è ormai mito, leggenda. Anche lassù, sul tetto di questo immenso Sahara, siamo soli, in un silenzio totale, irreale. Il sole scende sulle nostre facce impolverate ed il gelo questa volta ci grazia, regalandoci una notte a 3000 metri con ben 9 gradi di minima, un miracolo in questa stagione.

Camminiamo sui sentieri di Père de Focauld, ne sentiamo ancora la presenza, la forza del suo impegno, della sua determinazione. E poi giù, in una pista disastrosa riaperta da poco, a raggiungere l’Ilamane, spettacolare monolito basaltico di quasi tremila metri…

Il villaggio di Tenherareth è un caos di bimbi e donne dalle vesti multicolori, il nostro arrivo una festa. Ci passiamo un paio di ore, ci gustiamo un chaj a lavarci via la polvere dal cuore per poi ripartire nuovamente, nel tramonto, attraverso la pianura. L’Adriane è come un faro su cui facciamo rotta. Ecco l’aeroporto e le luci della perferia nord: siamo nuovamente a Tam. Fine del deserto, risaliamo a nord dalla transahariana. Ma è poi vero che è finito il deserto?

A Inn Ecker incrociamo la zona interdetta, l’area delle esplosioni atomiche francesi degli anni 60, una vergogna indelebile… L’indicazione “Amguid” sfila sulla destra, ammiccante; si stringe il cuore al pensiero che questa meravigliosa pista non è piu’ percorribile. Andiamo oltre, ci inoltriamo tra le pareti precipiti di Arak. Ancora militari, ancora controlli, ma scivoliamo via. Ancora dune a rallegrare il nostro andare su asfalto. Dune color porpora, ocra, giallo, persino tenue arancione: un arcobaleno dei colori della terra che scalda l’anima. Ci accampiamo ad In Salah, nel palmeto. La cittadina è brulicante di vita, fendiamo la gente con i nostri grossi fuoristrada bianchi di polvere, un fiume di umanità in piena che travolge e congestiona le piccole vie…Le dune cingono d’assedio le case rosse, penetrano con lunghe lingue dorate fino all’interno del centro, nelle viuzze del souk, nei sobborghi del palmeto. Saliamo ancora, sempre nord. Gardaia, la pentapoli dello M’zab, è appena 20 chilometri fuori della nostra rotta: impossibile non fare tappa. Così sostiamo nella piu’ sacra delle cinque città mozabite, Ben Isguen. Per le sue strade non si puo’ fumare, né bere, né fotografare, schiamazzare. Non vi si puo’ entrare senza essere accompagnati da un cittadino residente e si puo’ andare solo dove lui dice… Le donne impressionano, coperte dal loro scialle di lana bianca, un solo occhio scoperto, un solo occhio per guardare il mondo esterno e la vita.

Andiamo oltre ancora, superiamo Touggurt, la mitica Touggurt partenza del Raid Citroen… la triste Touggurt della prima strage degli anni 80… Raggiungiamo El Oued in serata. Mancano soli 80 chilometri alla frontiera ma siamo davvero sfiniti e decidiamo di aprire le nostre tende in città, nell’area dell’Ostello… Cena pantagruelica in centro, pollo agnello e patate. Notte tranquilla con varie ronde della gendarmeria intorno ed all’interno dell’Ostello…

Mattina presto: rientriamo a Taleb Larbi; sembra solo ieri che siamo passati in entrata, ma sono già trascorsi piu’ di venti giorni, volati via in un respiro. Nessuna lungaggine, nessuna burocrazia a rallentare il nostro commiato dall’Algeria. Stessa cosa alla dogana Tunisina… Alle 11 siamo nel Chott El Djerid, giu’ tavoli e sedie, prepariamo un bel pranzetto tra i cespugli a sud della statale per Nefta… Impossibile imboccare la splendida pista che taglia il Chott, chiusa (e severamente controllata) per le troppe piogge che la rendono insicura e davvero pericolosa… Poco male, scenderemo a Douz dall’asfalto: dobbiamo andare ad onorare un appuntamento. Dolce, magica, rilassante Douz… Ed eccoci seduti tra le cataste di tappeti dell’amico Hedi. E questa volta è lui ad offrire la cena a tutti noi, in una splendida serata di racconti, ricordi, progetti, sogni che si accendono lì, tra le stuoie accatastate, dove veniamo serviti da un vero e proprio catering…

Lasciamo le sabbie il mattino dopo; un relativamente breve transfer per raggiungere la cara vecchia Kairouan, così tante volte visitata, altrettante volte appena sfiorata nei veloci trasferimenti a sud… Altra serata di relax, nella città vecchia, dove lascio anche la mia barba, vecchia ormai di un mese, alle veramente sapienti cure di uno dei maestri barbieri-massaggiatori della piazza antica. Ancora non basta, c’è ancora un giorno d’Africa da rubare, da vivere intensamente per ricordarlo poi. Ed allora via, salita mozzafiato fino ai dolcissimi declivi verdeggianti di Cap Bon, la lunga passeggiata lungo il mare di Nabeul, la cena, ormai tradizione, da Chez Achour, ad Hammamet…

Ed infine arriva la data finale, il 19 giunge a mettere fine a questo ennesimo splendido frammento di deserti da ritagliare e conservare nello scrigno dell’anima, dopo un mese di piste, sassi, sabbie, vento. Quest’Africa meravigliosa ci regala ancora una zuppa spettacolare, tra le bancarelle del mercato del pesce di La Goulette, consumata nella stamberga piu’ stamberga che ci si possa immaginare, dentro ciotoloni in terra cotta grezza che sembrano usciti da un negozio di reperti neolitici, ma così meravigliosamente squisita da lasciare di stucco… Il porto, la colonna di auto che lenta s’intrufola nel ventre d’acciaio della nave… Le luci della bianca Tunisi che si fanno via via piu’ fievoli mentre la prua fende il Mediterraneo, questa volta rivolta a Nord… Le case bianche di Sidi Bou Said ci lanciano ancora un saluto nella sera che cala ad ampie falcate sul golfo.

Siamo di ritorno. Eppure, ancora in mare sulla rotta per Genova, siamo allo stesso tempo già nuovamente in partenza, nuove mete, nuove mappe, nuovi progetti. Perché questo sogno di sabbia non finisce mai, non c’è mai risveglio, non c’è mai epilogo. Siamo gente in viaggio, siamo gente dei deserti…

RoboGabr’Aoun

IL VIAGGIO

Il Gruppo:

Mauro ed Edi, Toyota kzj 95

Marco e Dariodromedario, Toyota Hdj 80

Elena e VeteriDario, Toyota kzj 90

Gianfranco e Matteo, Toyota LC 100

Robo, Anto ed il cagnaccio Froggy, Toyota kzj 95 “Camilla”

Organizzazione:

Robo e Fuori Rotta, Maranello (leggasi IVANA DOTTI)

Agenzia locale: Sahara Mon Amour, di F. Rovella, Tamanrasset

Dati Tecnici del Viaggio

Km percorsi: 7500

Di cui 2000 circa in deserto

Trasferimenti: Tunisi – Taleb Larbi: 600 km

Taleb Larbi – Djanet: 1690

Tamanrasset – Taleb Larbi 1770

Difficoltà Percorso fuori strada:

Nessuna difficoltà oggettiva, terreno sempre facile, lunghe spianate soffici, dune di facile valico, compreso il mitico Passo di Tahor, nell’Admer, che non richiede alcun impegno tecnico.

Qualche attenzione nelle sabbie morbide di Inn Tagrera e sulle pietraie nella discesa dall’Atakor.

L’unica difficoltà è data dall’orientamento, spesso ostico, e dall’elevatissima autonomia richiesta (minimo 1500 km) ai mezzi. L’assoluto isolamento nel percorso desertico impone veicoli in ordine e ricambi di prima necessità al seguito. Indispensabile la conoscenza del territorio.

Punti di Interesse:

E’ un viaggio che non cerca nella maniera piu’ assoluta la prestazione motoristica ma che consente di raggiungere regioni scevre dal turismo massivo e bellezze naturali inimmaginabili.

Luoghi come Tagrera, Alidemma, Tagghart, i cordoni dell’Erg Kilian, i Tassili dell’Hoggar sono tra i più affascinanti di tutto il Sahara, se non addirittura i più straordinari in assoluto.

La solitudine, la costante consapevolezza di essere davvero ai confini del baratro sul Nulla più esteso del globo rendono l’itinerario altamente emozionale.

Non ultimo l’aspetto culturale, in quanto tutta la regione è ricchissima di testimonianze di epoca preistorica, non solo nel Tadrart ma anche nei luoghi più dimenticati al confine con il Niger.

L’incontro con i nomadi è pressoché impossibile, in quanto questo lembo di Algeria non è più interessato da transumanze da lungo tempo. Ma il rapporto con i sedentari dei piccoli villaggi è sempre strabiliante e ricco di colore. Villaggi come Outoul e Tenenhareth, nonostante siano ormai su rotte turistiche (a Capodanno sull’Assekrem mi è stata riferita la presenza di circa 300 persone!!) donano ancora sapore di genuinità.

Il Viaggio è stato programmato con largo anticipo (nell’ordine di almeno 6 mesi), per ottenere i permessi a tempo debito e per pianificare al meglio tutte le caratteristiche del percorso.

SICUREZZA:

Nessun problema, ci tengo a sottolinearlo, in tutto il Paese. Gendarmi, militari e Dogana si sono sempre mostrati estremamente gentili, competenti ed ospitali. Per snellire il tempo di stop ai posti di blocco avevamo preparato in anticipo un notevole numero di documenti contenenti:

nome, cognome, data di nascita, numero passaporto, numero VISTO, date di emissione/scadenza passaporto, nomi dei genitori, professione, targa veicolo, numero telaio di TUTTI I PARTECIPANTI, in lingua italiana e francese.

Nei trasferimenti consiglio di pernottare presso le gendarmerie, se non si hanno a disposizione strutture turistiche, sia per sicurezza sia per comodità. Personalmente ho montato il campo al posto di blocco di In Amenas dove i militari mi hanno addirittura messo a completa disposizione un intero edificio, con tanto di bagni.

PERMESSI:

Occorre specificare l’intero itinerario (anche di questo occorrono molte copie da lasciare ai vari posti di polizia). Anche per ottenere l’invito è necessario specificare l’itinerario. Prestare particolare attenzione sui TEMPI previsti per il viaggio perché il visto è rilasciato esattamente per i giorni citati nell’itinerario descritto; consiglio di tenersi abbondanti di un paio di giorni.

Il costo di ingresso nel Parco del TAdrart è di 100 dinari a persona (circa un euro..). Per la tratta Djanet–Tam Sud non sono richiesti permessi aggiuntivi.

CAMBIO E VALUTE

Il dinaro algerino attualmente è scambiato a circa 90 dinari per un euro.

Il costo del carburante (diesel) è di 13,40 dinari per litro in tutto il Paese e si trova capillarmente.

Attenzione a Tam, ove spesso le pompe in città sono vuote (ma quella dell’aeroporto, fuori città, è sempre rifornita).

Il costo medio dei Camping è di 500/600 dinari per persona al giorno. Quello di Djanet centro (Zeriba) è davvero in condizioni pessime. Tutti e tre i Campi di Tamanrasset sono particolarmente ben curati ed offrono, nel prezzo, la colazione. I Bagni e le Docce del Camping Zeriba di Tam erano non solo puliti ma addirittura sfavillanti e l’ambiente davvero accogliente.

RISTORANTI: sia a Djanet che a Tam una cena con Cous cous, pollo, patate e frutta ha un costo di circa 200 dinari a persona.

Il costo di una Guida locale (OBBLIGATORIA) automunita ed indipendente per carburante e vitto è oscillante tra i 100 ed i 150 euro al giorno. Considerare anche i giorni degli eventuali transfer della Guida dal luogo di residenza a Taleb Larbi e viceversa.

PUNTI GPS:

I punti GPS sono a disposizione di chi me ne farà richiesta, in formato Ozi Explorer con Map Datum WGS94, relativi sia alle parti in asfalto, sia, ovviamente, alle parti desertiche.

LETTURE:

Luci ed Ombre del Deserto, Lorenzo Marimonti

Guida Polaris Algeria 1 ed Algeria 2

Guida EDT Lonely Planet (fuori produzione ma fornita su richiesta dall’Editore in contrassegno)

Dalla Tunisia al Niger, di Anita Poncini, Ed. Polaris

Preparazione dei Mezzi:

Hanno concorso alla preparazione dei mezzi impegnati nel Viaggio:

Toyota Fuji Auto, Cuneo, nelle persone di Enzo Mattiauda e del mitico Matteo.

Contec Turbo, Alba

EuroFourWheeler Torino

Gialdini Adventures Sport, Brescia

Seguiranno articoli di tecnica riguardanti la preparazione dei mezzi.

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