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Algeria: emozioni in viaggio

– Posted in: Africa, Nord Africa, Resoconti di viaggio

By Nicoletta Depieri
Originally Posted Monday, July 26, 2004

 

Algeria: Emozioni di viaggio

di Nicoletta Depieri

 

20.12.2000.

Il Patrol è pronto e finalmente è arrivato il giorno della partenza. Alle cinque la sveglia suona. Nemmeno quando vado in Studio a lavorare mi sveglio così presto. Ma si sa, la vacanza è un’altra cosa e le energie si trovano. Sia io che Giorgio abbiamo lavorato sino a notte inoltrata in questi ultimi giorni per preparare il viaggio e predisporre lo Studio per l’assenza. Anche ieri sera abbiamo fatto mezzanotte. Non importa: l’Africa ci aspetta! Alle 6 e 30 siamo pronti, con mezz’ora di ritardo rispetto alla tabella di marcia …. E’ buio e mentre ci avviamo verso l’autostrada penso che nello stesso momento anche i nostri compagni di viaggio sono svegli e si sono messi in marcia per la stessa avventura: Enrico Pollini (battezzato “pollo”) parte da Venezia con il treno, a Genova lo aspetta Fulvio Ferrari che parte da Varese con il suo Toyota BJ 40 (il mitico “asinello”, perché nel motore cavalli certamente non ve ne sono); Guido Carpi (è il capo, perciò non ha soprannomi) parte da Pisa con la sua Mercedes 250GD allestita con una precisione degna della NASA. A bordo del suo fuoristrada c’è Marco, anche lui di Pisa, Manuele (Manu per semplicità) e Simona (detta ovviamente Simo) che vengono, “morosi”, da Porto San Giorgio nelle Marche. Ci sono, infine, i “motards”: Davide da Pisa con la sua Suzuki 350 e Giorgio Pagnini (detto IdGiorgio) da Firenze con la KTM 600. Siamo in tutto 10 e ci siamo conosciuti grazie a www.Sahara.it; ci siamo visti appena due volte, la prima a Brescia e la seconda a Reggio Emilia, ma ci siamo scambiati tanti e-mail e telefonate. Spero siano simpatici, perché è fondamentale avere un buon compagno di viaggio, soprattutto in un’avventura come la nostra. Attraverseremo un deserto, vivremo per giorni solo con loro, senza vie di fuga. I dubbi s’insinuano: potrebbero mollarci lì a metà dell’opera o, ancor peggio, saltarci addosso. Mi viene addirittura in mente che avrei voluto controllare il loro casellario giudiziario per sapere con chi mi accompagno. Mi limito però a fidarmi del mio intuito femminile che mi da segnali positivi su tutti i fronti ….speremo ben! Ormai siamo in ballo e balliamo, bando ai ripensamenti e godiamoci questa vacanza. A dire il vero, non me la godo appieno a causa delle stragi particolarmente feroci (circa 70 morti solo negli ultimi due giorni prima della partenza) al nord dell’Algeria, opera degli integralisti islamici. La situazione è peggiorata proprio in questo periodo perché è quello del Ramadan (vale a dire “paradiso garantito per chi uccide i miscredenti….”). Con Giorgio valutiamo di fermarci in Tunisia, ma vogliamo sentire anche i nostri compagni di viaggio. Durante le 24 ore di viaggio in traghetto sulla famosa HABIB avremo modo di decidere sul da farsi. Arriviamo sul piazzale d’imbarco con due ore d’anticipo. Fa un freddo cane, ma è uno spettacolo vedere tutte quelle macchine che attendono di imbarcarsi. Fuoristrada, moto e camion preparati per tutti i gusti, qui la fantasia è esplosa: ci sono i tigrati, i pluricolorati, i supertecnologici, i “fighi” e …. i validi! Un altro spettacolo sono le macchine dei tunisini/marocchini, piene zeppe all’interno e all’esterno delle cose più incredibili (moto, cicli, materassi, lavatrici, infissi ….). Arrivano un po’ alla volta anch’egli amici e cominciamo ad analizzare i nostri mezzi. Pare sia tutto a posto, tranne l’acqua: abbiamo dimenticato di riempire le taniche e in porto non ci sono rubinetti. Amen, la faremo in Tunisia. Il viaggio in nave trascorre piacevolmente tra una chiacchiera, una dormita e una lezione di cartografia e gps. Cerchiamo il confronto con gli altri fuoristradisti diretti verso l’Algeria. Non paiono preoccupati, assicurano che è sempre così c’è sempre violenza al nord, ma al sud è tutto tranquillo (…mah, speriamo!!).

21.12.2000.

Arriviamo a Tunisi verso le 17.00. Davvero un altro mondo: l’aria è calda, il cielo è celeste e c’è il sole. Non ricordo un emozione di viaggio così grande. Ci vogliono circa due ore per sbrigare le pratiche doganali e con il buio ci avviamo verso l’hotel. In abitacolo continuiamo a ripeterci che siamo in Africa con la nostra macchina, l’emozione trabocca alla grande. Pare, però, che la Sfiga voglia partecipare al nostro viaggio, dopo pochi KM buchiamo miseramente una gomma. Noooo, merda! non si può bucare così, appena arrivati e prima di iniziare il fuoristrada! Inoltre, se ci fumiamo così una ruota di scorta, nel sud dell’Algeria saranno dolori. Crollo totale dell’umore, abbiamo toccato il fondo! E invece no, il peggio deve ancora venire, scendo dalla macchina, afferro con grinta una cassa che intriga e ….. resto bloccata a novanta gradi!!! COLPO DELLA STREGA, all’inizio di un raid tutto buche e scossoni!!! Dopo un po’ comincia anche a diluviare e poi vien giù addirittura la grandine. Adesso abbiamo veramente toccato il fondo!! La serata, così, si conclude con me da sola a letto immobilizzata, Giorgio e IdGiorgio in giro per Tunisi alla ricerca di un gommista e gli altri in un baretto a mangiare un panino. Se il buon giorno si vede dal mattino…… Quando Giorgio rientra in albergo è molto tardi ed è pure fradicio. La gomma non è recuperabile, le tele sono squarciate e la camera d’aria è esplosa. Ha girato mezza Tunisi inutilmente, seguendo le informazioni dategli da svariati tunisini che (per non tradire la sua fiducia) lo hanno mandato di qua e di la senza avere (in realtà) la minima cognizione di causa. Ad un certo punto ha trovato l’autista di un carro attrezzi che (dopo aver preteso che salutasse con le dovute maniere il suo passeggero “in quanto è una persona importante”) lo ha accompagnato da un vero gommista. Questi ha emanato il nefasto verdetto: “non si fa nulla”. Non si sa come, né perché, ma dopo dieci minuti erano nei meandri più reconditi di Tunisi a bordo di una renault 21 completamente distrutta (anche per gli standard tunisini), guidata da un vecchio arabo completamente sconosciuto (… turisti fai da te, no alpitour? hai hai hai!!). Due ore di pellegrinaggio tra tutti i gommisti, ma della mitica Michelin XS750/16 manco l’ombra.

22 dicembre 2000.

Sveglia alle 7.00 (per tutta la vacanza ci alzeremo a quest’ora), vestizione lenta per il tremendo mal di schiena, colazione lenta per la gran quantità di croissant et similia che non mi fanno staccare dal tavolo e altrettanto lenta la partenza perché dobbiamo procurarci l’acqua per il viaggio. Così, Giorgio si avvia in solitario con tre taniche vuote verso una fontanella d’acqua potabile. Mentre comincia a riempirle gli si avvicina un vecchietto con il quale incrocia silenziosamente lo sguardo e che sta lì ad osservare. Quando appoggia la prima tanica piena, si accorge che ne manca una all’appello. Subito chiede spiegazioni all’omino che però seriamente fa capire che non ne sa nulla della scomparsa. Giorgio è sconfortato, già subito il primo furto! Mormora a voce alta “ce n’est pas possible, …porc di qua e putt di là …… e così via”, così l’omino sfodera furbescamente un sorrisone, gli stringe la mano e corre dietro un’auto parcheggiata per ritornare immediatamente indietro sorridendo con la tanica in mano: scherzetto ….c’est l’Afrique!!! Questo si regge appena in piedi, ha un dente si e due no, ma ha la carica umana e l’entusiasmo di un ragazzino. L’omino si offre poi di aiutare Giorgio a trasportare le taniche ed è così che me li vedo arrivare tutti e due verso la macchina: sono belli, sorridono con complicità e si divertono. Bene, a questo punto ci si mette alla ricerca della gomma per il Patrol. Fortunatamente la troviamo, ma alla modica cifra di £.525.000! Amen, “s’ha dda fare”. Ora si può ripartire e raggiungere gli altri che nel frattempo erano andati avanti. Il viaggio verso Nefta (ultima oasi tunisina prima del confine) è piacevole, c’è il sole e fa caldo. Man mano che ci spingiamo verso il sud gli influssi occidentali si fanno sentire meno e i paesini sono sempre più africani. Sostiamo in uno per bere un tè, ma niente da fare perché il ramadan è veramente rispettato; a Marco viene chiesto addirittura di spegnere la sigaretta che sperava di fumare, ma poco dopo per ricompensa gli regalano due baguettes (da mangiare dopo il tramonto). Gironzoliamo fra le bancarelle di frutta e verdura e i tunisini ci osservano e sorridono, i piccoli si avvicinano, vogliono conoscerci, ma i grandi hanno il loro da fare per scacciarli via. Non ho capito bene il perché, forse non vogliono che ci disturbino … Sono le 17 e ci stiamo avvicinando a Tozeur, la vediamo in corsa e ci ripromettiamo di fermarci perché è molto bella, con le case in mattoncini faccia vista che disegnano greche e merletti. Sono le 19 quando mancano circa 30 km alla frontiera algerina e decidiamo di fermarci a valutare cosa, come e quanto nascondere fra soldi, CB, GPS ecc.. C’è un po’ di tensione perché è buio, siamo in terra straniera e stiamo per entrare in A-L-G-E-R-I-A, ben consapevoli delle stragi che sono in corso. Facciamo le ultime telefonate ai familiari, dopo la frontiera saremo completamente isolati. Alle 19.30 arriviamo alla frontiera tunisina. Ci sono gli altri nostri amici che ci aspettano. C’è un gran silenzio, non c’è nessuno oltre i militari con i fucili in spalla. Le pratiche tunisine sono veloci. Attraversiamo la “terra di nessuno” guardandoci attorno e siamo impressionati per il nulla che ci circonda. Arriviamo così alla frontiera algerina. La vediamo a 100 metri ma ci fermiamo allo “stop” e attendiamo che siano i militari a darci l’ok per superarlo (Guido infatti ci ha spiegato che si rischia di irritarli se ci si dimostra poco rispettosi delle regole). Qui le pratiche non sono altrettanto veloci, ma il tempo lo trascorriamo chiacchierando in francese con i militari, che dimostrano di conoscere la juventus e i nostri calciatori, oppure tentando di imparare qualche frase in lingua algerina. Alle 21.45 siamo fuori e andiamo a dormire all’hotel “sable d’or” a pochi km dalla frontiera. L’hotel è una vera chicca africana: appena entro credo di svenire per l’odore acre che mi travolge; le stanze da letto non sono da meno: ognuna con la sua doccia, ognuna con il suo lavandino senza acqua, ognuna con il suo bravo water pieno di cacca. Lo sciacquone non c’è nemmeno ed è logico visto che non c’è acqua! Scelgo la mia stanza sulla base della cacca meno puzzolente…Anche la cena è speciale: fa un freddo cane per cui ci teniamo il piumino addosso, ma la tavola è preparata per la festa con tanto di tovaglioli piegati elegantemente. Peccato che la tovaglia ha qualche settimana di vita e le macchie lo dimostrano ampiamente. I piatti e i bicchieri su cui mangiamo e beviamo ovviamente non sono da meno. Andiamo a letto molto presto perché siamo stanchi, Giorgio fuma un sigaro in stanza nella speranza che vinca il puzzo di sigaro rispetto a quello di cacca, io invece mi addormento respirando l’amuchina che mi sono versata sulle mani.

23 dicembre 2000.

Arriviamo in primissima mattinata in frontiera e troviamo qualche algerino in attesa di attraversarla. Hanno degli strani mantelli marron scuro lunghi fino ai piedi e girano con le maniche vuote perché tengono le braccia all’interno per ripararsi dal freddo, sembrano tanti frati. Facciamo l’assicurazione e cambiamo un po’ di soldi. E’ comico il fatto che cambiamo in nero sotto gli occhi dello stesso doganiere che il giorno prima ci ha fatto dichiarare solennemente quanto denaro avevamo con noi per evitare il cambio in nero: boh, c’est l’Afrique !!! Con la luce del sole si vede meglio ciò che ci circonda: c’è davvero tanta povertà: gli uffici sono fatiscenti, mezzi diroccati o in costruzione (non si capisce bene) e al loro interno non ci sono mobili o suppellettili o quadri, o … insomma, non c’è nulla di nulla. Comincio a riflettere sul nostro modo di vivere e sulla ricchezza che abbiamo, ma anziché sentirmi sollevata, quasi mi vergogno. Ripartiamo per il nostro viaggio. Sono le 10.45 quando giriamo a sinistra abbandonando l’asfalto e puntando sul nulla. Ci inoltriamo per il deserto piatto con arbusti bassi e secchi che sembrano ormai morti. In realtà scopriremo più avanti (quando andremo alla ricerca della legna da ardere) che sono vivi e vegeti e il loro interno è ancora verde. Procediamo lenti sulle tracce di Guido che fa da apripista. Il Patrol ondeggia paurosamente a destra e a sinistra all’interno della pista; sembriamo una pallina da ping pong impazzita, fortunatamente qui il deserto è ancora piatto con arbusti bassi e quindi anche se la macchina va un po’ dove vuole non ci sono problemi. Procediamo lenti e Guido, pur mantenendo la calma, ci fa capire che (se proseguiamo così) con ogni probabilità trascorreremo tutta la vacanza in quei 300 Km di Sahara. Giorgio riesce a donare il primo paio di scarpe ad un pastore. Alle 17 ci fermiamo per la notte. E’ stata dura per tutti, anche i più esperti si sono insabbiati. Fulvio in particolare ha fatto circa un centinaio di metri con le piastre “cava e metti – metti e cava” e qui me la sono vista brutta. Ceniamo alle 18.30 e alle 22 siamo già a letto.

24 dicembre 2000.

La colazione è servita attorno al fuoco, la notte è stata piuttosto fredda. Giorgio ha dormito addirittura con il piumino da sci addosso dentro il sacco a pelo. Alle 9.30 partiamo verso il punto MOU 5, il deserto cambia volto ma non troppo: le dune sono più morbide e tra l’una e l’altra ci sono dei bei tratti distesi. Oggi corriamo più velocemente, credo che Guido tiri un sospiro di sollievo … Siamo avvicinati da qualche pastore che porta a casa anche lui il suo bel paio di scarpe o la sua giacchetta. E’ particolare il momento del dono: avviene in silenzio, ci si sorride, ci si stringe la mano e poi si sale in macchina contenti. Lungo la pista incontriamo anche un camion Saviem di ragazzi algerini che pare abbiano non più di 15/17 anni. Sono fermi perché hanno rotto il cambio. Da soli in mezzo al deserto se lo sono smontati e ora uno di loro è partito per recuperare il pezzo aggiustato. Siamo tutti perplessi perché sappiamo che siamo ad un giorno e mezzo di macchina dalla strada asfaltata (e chissà quanto dal paese più vicino…). Quando ripartiamo, lasciamo loro delle mele anche se non ci hanno chiesto assolutamente nulla, nemmeno l’acqua. Mi domando come se la caveranno, ma loro non appaiono preoccupati. Dopo pochi chilometri, incrociamo altri due camion (un Unimog ed un Magirus) con due moto (un KTM e un’Honda): è festa. Sono tedeschi ed hanno rinunciato ad attraversare quel tratto di deserto e stanno tornando indietro. Provo un momento di sconforto perché per un attimo vedo svanire l’avventura sahariana…Ci suggeriscono di affrontare il deserto ad est, forse avremo più fortuna. Ripartiamo con le moto che ci precedono, ma dopo un po’ perdiamo di vista Davide: è una sensazione tremenda perché dovunque ti volti vedi sabbia e arbusti e arbusti e sabbia per infiniti chilometri quadrati. Organizziamo il soccorso: una macchina ritorna al punto precedente in cui abbiamo sostato. Io e Giorgio restiamo fermi lì, mentre un’altra macchina va al punto successivo. Passa parecchio tempo prima che Davide ritorni da noi. Mentre aspettiamo, arrivano dal nulla due pastori ai quali chiediamo informazioni sul nostro amico scomparso nella speranza che ci sappiano dare qualche informazione. Ci confermano di aver visto una moto andare avanti. Giorgio ne approfitta per regalare un paio di scarpe ad uno di loro, mentre io cerco un foulard per coprirmi il capo in quanto il pastore si è lamentato del mio capo scoperto. Il pastore le accetta, ma non di buon grado perché ha visto che sono un 40. Così si accuccia e ci disegna sulla sabbia un bel 37: sono poveri, ma hanno le idee ben chiare!! Fortunatamente Davide ritorna incolume, aveva corso fino al punto successivo senza preoccuparsi troppo di chi gli stava dietro. Neppure a lui (che è il suo fido compagno di viaggi) Guido risparmia la sua mediata ira. Riprendiamo la marcia che sembra subito più impegnativa. Prendo la guida per la prima volta e mi diverto pure. Nei tratti di sabbia molla mi pianto senza esitazione, così abbandono il volante a Giorgio per non rallentare troppo il gruppo. Ci accampiamo al punto Nord 3308502/Est 0723360. E’ la vigilia di Natale così Enrico ci propone un menù delizioso con antipasto di salmone, pasta con la bottarga e polenta con una zuppa di pomodori, cipolla, alici e baccalà; il tutto annaffiato da un buon vino. E’ più caldo del giorno prima ed è piacevole chiacchierare attorno al fuoco.

25 dicembre 2000.

E’ Natale, e che Natale: gli auguri ce li facciamo, ma non hanno nulla a che vedere con la ritualità di casa perché oggi questa ricorrenza rimane, eventualmente, qualche cosa di personale. Il viaggio comincia con un lungo tratto piatto e poi con dossi piccoli, ma continui. Arriviamo, poi, alle grandi dune e qui ci blocchiamo perché fatichiamo a trovare una via di d’uscita. Guido ci fa fermare e con la sua macchina le prova tutte, non c’è nulla da fare, ogni tentativo viene respinto. Giorgio e Fulvio si offrono volontari e tentano di scoprire a piedi un percorso fattibile. Ritornano dopo circa un’ora spiegandoci che hanno segnato con dei rami secchi piantati sulla sabbia un percorso che dovrebbe essere fattibile. Ci avviamo, quindi, speranzosi e ce la facciamo ad avanzare. Non di molto, però, riusciamo a percorrere solo 30 Km in 8 ore, saltando pure il pasto (sigh!, forse faremo qui anche la Pasqua…). Alle 17:00 facciamo l’accampamento e la cena. Enrico prepara un’altra delle sue cene che hanno del miracoloso: antipasto con uova (e con questa sera sono riuscita a finirle finalmente ….), olive nere e pomodorini serviti su un crostino al latte; pasta al ragù, stinco al sugo (…di busta) e patatine rosolate con speck e cipolla. Concludiamo con il pandoro e il vin santo. Il primo ad andare a dormire è Giorgio, io lo seguo a ruota, sono appena le 21.00 ma siamo distrutti, durante il giorno abbiamo spalato come due muratori.

26 dicembre 2000.

Sveglia alle 7, decidiamo di saltare il pranzo anche oggi, salviamo però la colazione attorno al fuoco. Viaggiamo in direzione di un fortino e dopo una decina di chilometri ci appare, sembra un miraggio. Lì accanto c’è un pozzo ed Enrico non resiste, tira fuori tutta la germanità che c’è in lui e, nonostante ci sia un bel vento che soffia, si spoglia completamente e fa la doccia. Lo seguono anche gli altri, ma l’unico che imita Enrico è Fulvio. Anzi, lui ci mette un pizzico di italianità, tant’è che si crea uno splendido piatto doccia con le piastre della macchina, riempie la sacca per la doccia, la fa scaldare un po’ al sole e l’appende sull’asinello, ha pure lo spruzzetto nebulizzante ……: Mmmmitico !!! Dicono che l’acqua è ghiacciata, per cui rimango vestita con il mio maglione di lana e decido serenamente di tenermi lo sporco di 10 giorni. Si riparte alle 12.45 e dopo aver sgonfiato le gomme, Giorgio sgonfia a 1.5 quelle anteriori e a 1 quelle posteriori. Il panorama è suggestivo perché le dune che ci abbracciano sono morbide e colorate, ci sono pure i dromedari (chameax) e il sole è splendente. Ci fermiamo a fare il campo verso le 17 (coordinate 32°39212N – 7°36419E).

27 dicembre 2000.

Questa mattina l’umore non è dei migliori. Siamo in ritardo rispetto alla tabella di marcia, era stato previsto di percorrere in 3/4 giorni quel tratto del Sahara, invece siamo ancora nel bel mezzo di un gran casino e non è ancora finita. La moto di IdGiorgio continua a fare le bizze: si incanta il carburatore, così si ingolfa e non parte più. Anche questa mattina, quindi, ritardiamo la partenza. Tutto sommato ammetto che non mi dispiace questo problema pressoché quotidiano perché mi consente di fare le cose con calma, senza stress da prestazione: mi spiace per IdGiorgio, ma per me è un “toccasana” . Il viaggio fila via liscio, troviamo subito i passaggi (…Dio ha avuto pietà di noi) e arriviamo molto velocemente ad un enorme piattone che IdGiorgio ci segnalava ormai da giorni, tanto che ormai nessuno gli credeva più. Il paesaggio è surreale e a renderlo tale è anche il vento che soffia forte con raffiche che raggiungono i 30 nodi (parola di velista Giorgio ….).In questo modo la sabbia prende il volo e rende tutto nebuloso. Scorgiamo il fortino di Bir Djedid che reca sul frontale la scritta in francese: “39° compagnia dei cammellieri” ed una in latino che non sono riuscita a tradurre:”Nec pluribus Impar”. Sul piazzale, per terra, è stato eretto un muretto che disegna la scritta “Birdje”, IdGiorgio ci spiega che la scritta serviva agli aerei per atterrare e sapere dove si trovavano. Mi prende un’angoscia tremenda nel pensare ai legionari che vivevano qui….che vita dura, o meglio: era vita ???? Riprendiamo il viaggio e come d’incanto ci troviamo di nuovo fra le dune ….impelagati fuori dei modi! Noooo, non è possibile. Non c’è tregua il Sahara è sovrano e pare imbattibile ….. Scendiamo tutti dai mezzi e ci guardiamo attorno: a me le dune sembrano rigorosamente tutte uguali ed invalicabili e così fino all’orizzonte….. (sigh!, forse faremo qui anche ferragosto!!! e a quel punto farà anche parecchio caldo ……) Da lontano sentiamo dei rumori assordanti di moto e solo il tempo di individuare la provenienza, ci raggiungono ad una velocità folle. Ma chi sono questi? Dove credono di andare in quel modo? Sono 6 moto ed un Pick Up ……e sono italiani. Incredibile, sono partiti appena ieri da El Oued e ci chiedono carburante perché sono agli sgoccioli. Non glielo diamo perché lo abbiamo contato pure per noi e non vogliamo rischiare. E poi vanno ad una velocità tale che travolgono tutto, sembrano dei bulldozer, dove passano raspano via tutto. Non mi piace così, non che io stessa mi possa definire “naturalista” con questo viaggio, ma credo che ci sia alla base un approccio diverso fra noi e loro che pare stiano facendo la “Parigi Dakar” o il salto degli ostacoli in palestra. Per me innanzi tutto è un’esperienza di vita, anche il resto del gruppo mi pare non condivida quel modo di fare. I motards ci salutano veloci (non hanno tempo da perdere se non quello necessario per informarsi se abbiamo benzina ….) e dopo pochi secondi spariscono all’orizzonte. Riprendiamo il nostro viaggio discendendo il dunone su cui eravamo e decidiamo di aggirarlo, tornando indietro e imboccando una pianura che scorgiamo in lontananza. E’ vero che ci allontaniamo dal nostro punto, ma ne vale la pena perché il percorso è più scorrevole e ci consente di arrivare alla meta senza troppi patemi. Guido, invece, ha scelto un altro giro, ma dopo un po’ ci comunica di essersi insabbiato e che la prossima ora la passerà a spalare sabbia. IdGiorgio, intanto, ha i soliti problemi con la moto che non vuole ripartire. Così l’asinello e il Patrol si fermano su di un bel piattone, lasciandosi alle spalle le dune in attesa che arrivino gli altri. Dopo un po’ cominciano pure a cadere cinque gocce d’acqua che non si vedono nemmeno sulla sabbia, Questo temporale bluff durerà appena dieci minuti. Dopo circa un’ora ci riuniamo di nuovo e ripartiamo, ma dopo poco siamo di nuovo tutti di nuovo bloccati di fronte all’ennesimo cordone di dune. Aiutiamo Fulvio che ci chiede soccorso perché si trova intraversato lungo una duna in contropendenza. E’ al limite del ribaltamento: gran brutto affare. Via di pale: spala, spala e poi ancora spala, spala e ancora spala. Quando pare a posto, Fulvio si mette alla guida della Toyota, mentre io, Giorgio, Enrico ed Emanuele ci appendiamo sul lato della macchina per controbilanciare. Funziona e riprendiamo la marcia, ma per poco perché è ora di fare campo e non ce ne frega niente se davanti a noi c’è un gran piattone che farebbe voglia di percorrerlo tutto per portarci un po’ avanti, siamo troppo stanchi. Siamo tra il punto DJE003 e DJE004 (coordinate 32°28785N e 7°49514E). Quello che prima tutti tenevamo dentro di noi, ora viene manifestato apertamente senza più remore: abbiamo voglia di “pista”, ci manca persino l’asfalto. Sono troppi giorni che siamo nel cuore del Sahara e procediamo molto lentamente, una media di 35 Km al giorno con 9 ore di guida Pista, Pistaaaaaaa……….

28 dicembre 2000.

Pulizia del Patrol: Giorgio toglie un bicchiere di sabbia dal filtro dell’aria ed è già la seconda volta che lo fa. In più inserisce un nuovo tampone di fine corsa degli ammortizzatori fatto con una camera d’aria di bicicletta. Il primo che aveva inserito era stato fatto con una sciarpa (ormai ex) di pile legata con un filo di ferro (era un regalo della mia amica Loretta, spero non se ne abbia a male ma era necessario).Il secondo, invece, che funziona ancora, è stato fatto con il tacco di sughero di un sandalo regalatomi da mia zia Gina per donarlo ai bisognosi (visto che gli algerini del Sahara non hanno giustamente gradite delle scarpe con il tacco, finalmente gli abbiamo trovato una decorosa funzione). Partiamo, quindi, lungo questo piattone e appena arrivati alle prime dune il Patrol fa storie: per ben tre volte ci piantiamo sulle dune tentando di superarle. Rimaniamo bloccati con la pancia giusti giusti sul cocuzzolo, le ruote penzolano nell’aria, se il buon giorno si vede dal mattino….. A colpi di pala ci disincagliamo e fortunatamente poi giungiamo su di una bella distesa di sabbia che non ci abbandonerà più per tutta la giornata. Verso le 11.30 arriviamo al fortino di Bordj Bir Rhoraffa (coordinate 32°17487N e 8°04091E). E’ una struttura più complessa di quello che avevamo visto precedentemente: c’è un edificio per i superiori, uno per i soldati semplici e le stalle per i chamoux. Ripartiamo dopo un bel po’ lungo una pista segnata da molte balise. Le dune sono frequenti, ma sono basse e dolci. Dopo circa una decina di chilometri imbocchiamo una pista di sassi che ci fa’ italianamente pigiare a fondo sull’acceleratore. Alle 16.30 del 28 dicembre 2000 arriviamo finalmente sull’asfalto (coordinate 31°.34950N e 8°.19808E). Ci illudiamo di aver finito le rogne ma veniamo presto delusi, subito capiamo infatti che l’asfalto è solo ipotetico. Lungo la strada incrociamo delle lingue di sabbia (alte fino a 5 metri) che ci costringono a ritornare in fuoristrada: è il Sahara che avanza inesorabile. Memorabili le insaccate che ci prendiamo sulle lingue di sabbia piccole: ci arriviamo a 70/80 km/h perché siamo sull’asfalto e ci illudiamo di spazzarle con le ruote. In realtà si rivelano dure come il marmo e noi decolliamo con tutta la macchina. Le testate sul tettuccio non si contano e la macchina pare debba aprirsi in due ad ogni atterraggio. Alle 17:00, con una svolta a 90° rispetto alla strada su cui corriamo, ci fermiamo per il campo: sensazionale poterti fermare quando vuoi e dove vuoi per dormire, senza pernottamenti, senza cambio di vestiario per rendersi più decenti, senza mille complicazioni. Purtroppo, però, il vento soffia forte ed è fastidioso anche perché ci accompagna già da due giorni….

29 dicembre 2000.

Già la partenza è complicata. Abbiamo fermato il Patrol per la notte in una depressione e per tentare di uscire ci siamo insabbiati. La cosa non è seria e con l’aiuto di Guido ne usciamo bene, senza nemmeno sgonfiare le ruote. A nord di Deb Deb incrociamo un posto di controllo dove i militari ci chiedono se abbiamo bisogno di qualcosa e di carburante. Gli abbiamo chiesto una decina di litri di benzina per le moto. Quando ci hanno consegnato le taniche riempite abbiamo scoperto che il carburante era regalato…… Proseguendo in direzione di Deb Deb ci fermiamo ad un posto di controllo militare molto vicino alla Libia. Qui il capitano ci chiede un cadeau (rivista, sigarette….), ma non abbiamo nulla di quello che ci chiede, così decido di regalargli il mio foulard di lana rosso e verde bottiglia e gli arriva pure un sigaro da parte di Enrico. Pare contento e ci ringrazia dicendo che è un “gran cadeau” quello che gli abbiamo fatto. Proseguiamo ancora un po’ e poi Giorgio salta sulla moto di Davide, che si mette alla guida del Patrol. Dopo qualche incertezza, lo vedrò correre come un matto per due ore. C’è anche la tempesta di sabbia, non forte fortunatamente, ma è parecchio fastidiosa. Lungo la strada, poi, le dune sono sempre più alte tanto che corriamo più ai lati della strada che sulla strada stessa. Incontriamo anche un Pick Up con tre algerini avvolti con i soliti pastrani e lo shash in testa che li protegge dalla sabbia. E’ carico di legna e capiamo subito che ha bucato una gomma. Non hanno un crick adeguato per cui li aiutiamo con il nostro. Ci ringraziano e ripartiamo tutti ognuno per la propria strada. Io e Giorgio ci imbattiamo in una duna enorme sulla strada che ci costringe a deviare giù a destra per una depressione (già comincio ad innervosirmi perché siamo anche soli). Appena siamo sotto e tentiamo di risalire ci insabbiamo. Mi volto per aiutare Giorgio nella retromarcia e vedo comparire in lontananza tre shash bianchi svolazzanti e di secondo in secondo i tre algerini si fanno sempre più vicini. Ho un momento di panico: che ci fanno lì, perché si stanno avvicinando a noi, cosa vogliono……..AHHH, alla velocità della luce chiudo il lucchetto della porta del Patrol (non si sa mai ….) e incito Giorgio di tirarci fuori al più presto. Pur essendo le manovre concitate riusciamo a ritornare verso l’asfalto, ma non è finita perché ci blocchiamo di nuovo, io lesta esco subito dal Patrol e così Giorgio riesce a risalire definitivamente. Mi incammino verso il Patrol che è ad un centinaio di metri quando scorgo vicino a me i tre Tuareg di prima, faccio una fuga disperata. Credo che loro si siano messi a ridere perché hanno chiaramente capito che non volevo che si avvicinassero a me. Salgo in macchina e riprendiamo la marcia ….solo per pochi metri perché non abbiamo ancora superato il dunone sulla strada. Con il CB avverto gli altri amici di aspettarci perché siamo in difficoltà (qui mi innervosisco ancora un po’….). Tentiamo così di affrontare la depressione di destra abbastanza velocemente onde avere l’inerzia necessaria per risalire una duna piuttosto alta e impegnativa. Mentre ci avviciniamo vediamo sfrecciare la Toyota con i tre Tuareg. Pare manchino pochi secondi prima dell’esplosione di quella macchina che corre come una pazza e salta in alto ad ogni metro a causa del terreno sconnesso. La Toyota invece riesce a risalire con la massima naturalezza, mentre noi ci fermiamo a metà discesa e siamo quindi costretti a fare retromarcia e ripetere la manovra. Quando sono in cima, i tuareg scendono dall’auto per aiutare l’asinello che nel frattempo s’è piantato pure lui. Noi intanto falliamo anche il secondo tentativo di risalita e così i Tuareg cominciano a farci segnali di dove correre per agevolare la risalita. Si sbracciano come matti, ma niente da fare. Il pubblico che assiste ai nostri tentativi si fa sempre più folto, ci sono tutti i nostri amici che dall’altra parte della cima osservano impassibili. Facciamo altri due tentativi di risalita, ma niente da fare nemmeno quando facciamo una retromarcia piuttosto lunga. Al quarto tentativo un tuareg ci viene incontro e mi fa scendere dalla macchina, fa spostare Giorgio e si siede al posto di guida. Mentre i due fanno una retromarcia chilometrica che li porta sopra la duna opposta, io raggiungo gli altri amici per assistere alla scena. La rincorsa che prendono è veramente lunghissima, ad un certo punto credo che il tuareg si porti via Giorgio …..Più tardi Giorgio mi spiegherà che partono dopo aver inserito la seconda marcia normale. Da fuori il Patrol sembra che da un momento all’altro debba decollare e il rumore sembra quello degli aerei quando rullano i motori. Dopo pochi metri il Patrol ha una velocità tale ed un rumore tale che siamo tutti perplessi, ci viene incontro ondeggiando paurosamente (per fortuna che siamo nel deserto e non c’è problema di spazio….): “Maria santa, che sta succedendo?” Niente di particolare, è l’unico modo per far fare la salita al Patrol, che infatti al primo colpo arriva fino alla cima. Non possiamo trattenerci e tutti applaudiamo e ridiamo (tuareg compresi) per il “figurone intercontinentale” di Giorgio. E’ un bel momento di solidarietà e i tuareg sono contenti perché hanno contraccambiato il prestito del crick. In seguito Giorgio tutto inebriato ci racconterà che il tuareg alla guida gli gridava:”pas troisieme, pas quatresieme … deuxieme!!!” e intanto pigiava sull’acceleratore ben oltre il fuori giri! Ancora una volta riprendiamo la marcia, Giorgio ormai ha chinato il capo all’abilità dei tuareg e li segue pedissequamente. Lo facciamo per diversi chilometri; appiccicati come un’ombra non ci stacchiamo loro di dosso (eh no, questo giro non ci facciamo fregare…). Ad un certo punto, guidati dai Tuareg superiamo anche gli altri che (volendo far da soli) si piantano alla grande. Ad un certo punto improvvisamente abbandonano la strada asfaltata e svoltano a 90° imboccando il deserto verso il nulla. Ma Giorgio non molla e come un pazzo li insegue. Gli segnalo che a mio parere non dovevamo svoltare anche noi perché sulla strada non c’erano alcuna duna. Lui mi zittisce, proclamando nuovamente l’abilità tuareghina nella guida e ricordandomi tutte le loro prodezze di cui eravamo stati testimoni. Così continua a correre con piglio deciso seguendoli verso il nulla. Io insisto, ma niente, non molla un metro e prosegue la marcia forzata alle loro calcagna. Io provo timidamente a ricordargli ancora una volta che la nostra meta è di là, ma non c’è verso. Ad un certo punto l’autista del Pick Up apre il finestrino e con la mano ci fa cenno di riprendere la strada asfaltata. Non posso non fare una risata grassa: seconda figuraccia intercontinentale! Chissà cosa pensano di noi….. Arriviamo a Deb Deb con il tramonto del sole. Subito siamo circondati da una miriade di bambini di tutte le età. Sono molto vivaci e curiosi. .Comunque sono cordiali e vogliono a tutti i costi darci la mano. Abbandoniamo il paese per recarci in un distributore di benzina. Non è molto lontano e dopo pochi minuti che stiamo facendo rifornimento ci raggiungono i bimbi di prima. Sono tanti e ci fanno festa, ci chiedono di tutto: basta avere qualcosa di nostro (stylò, bonbon, figurine di pokemon, occhiali, ecc.). Siamo un po’ perplessi su cosa regalare perché non abbiamo regali per tutti e non vogliamo creare tensione fra di loro. Alla fine decidiamo di regalare bonbon, frutta secca, liquirizie e poche stylò. Che caos! Tutti gridano e ci fanno domande di ogni tipo, alcuni di loro capiscono il francese, altri non capiscono nulla perché parlano solo la lingua originale. Noto un piccoletto che mi osserva in silenzio, così gli chiedo se ha mangiato la liquirizia, ma mi fa vedere che la tiene ancora in mano (già un po’ liquefatta). Gli faccio coraggio mostrando quella che ho in bocca e quella di un altro bambino che la sta gustando. Si decide e la mette in bocca con un misto di curiosità e diffidenza, ma ride. E’ proprio un bel momento. Simona è intraprendente e pur non parlando la loro lingua riesce a intrattenerne un gran gruppo spiegando in italiano francesizzato che cos’è la liquirizia. Ormai è buio e solo con l’aiuto della polizia locale riusciamo a trovare un posto dove dormire in paese: si tratta di un parco/stadio che non ha nulla nè dello stadio (perché dentro ci sono le dune), né del parco (perché non c’è un filo d’erba manco pagarlo oro). La polizia è splendida perché ritorna da noi carica di pane e datteri squisiti. Si ferma con noi un ragazzo del posto che fa di tutto per rendersi utile e simpatico, ci aiuta ad erigere le tende, ad organizzare il campo ecc.. Ovviamente lo invitiamo a cenare con noi e lui ne è entusiasta, tant’è che quando ritorna da noi per la cena è tutto lavato, pulito e profumato: una tenerezza irresistibile. Con sé ha portato tutto l’occorrente per farci il tè, dalle tazze, alla teiera, allo zucchero, al tè e la menta. Dopo cena, quindi, assistiamo al rito del tè che viene fatto sulla brace con poca legna, ma bruciata ad arte. Ci sediamo per terra sulla coperta di lana che ha portato il nostro ospite e sorseggiamo i famosi tre tè nel deserto. IdGiorgio ci spiega il significato di quel rito: i tre tè corrispondono alle tre fasi della vita di un uomo: la giovinezza (il primo tè che ha un sapore molto intenso e poco dolce), la maturità (è il secondo tè che è meno aromatizzato ed un po’ più dolce, c’è un equilibrio delicato fra i due sapori) e la vecchiaia (è il terzo tè che, essendo fatto sempre con le stesse foglie, è meno aromatizzato ma molto dolce).

30 dicembre 2000.

Questa mattina le nostre strade si dividono: la Toyota ha problemi meccanici per cui se si vuole affrontare la pista che porta da Illizi a Bordj Omar Driss (che dicono essere molto bella) è necessario trovare un meccanico che la controlli. Non ho dormito molto questa notte, ma in compenso ho ascoltato due Muezin …. devo dire che non mi hanno conciliato il sonno, anzi, mi incutono un po’ timore e mi fanno sentire più vicini gli integralisti. Quindi alle 8:00 io, Giorgio, Enrico e Fulvio partiamo per In Amenas, gli altri invece affronteranno un altra pista per Illizi. Dopo circa un’ora arriviamo al “salto del muflone”, ci fermiamo per una sosta. E’ una profonda depressione nella roccia che sprofonda nel letto di un ex fiume ormai tutto rinsecchito: è tutto marrone. Risaliamo in auto e prima di affrontare la discesa osservo un cartello stradale piuttosto singolare perché mi suggerisce di controllare i freni prima di affrontare la discesa. Le mani mi sudano perché non so cosa mi aspetta. Effettivamente la discesa è piuttosto ripida e la strada è dissestata, ma niente di che. Capisco quindi che si tratta di un avvertimento per gli autisti algerini le cui auto sono scassate, anzi scassatissime! Dopo 250 Km arriviamo a In Amenas e cominciamo a cercare un meccanico. E’ il primo “grosso” paese che incontriamo, ha persino l’ospedale. Dopo un’accurata ricerca, preferiamo rivolgerci ad una compagnia petrolifera, la Sonhatrach, nella speranza che tra il suo personale ci sia un meccanico che quanto meno non lavori in mezzo a galline e montoni come fanno gli altri meccanici del paese. Ci dicono che al momento non possono aiutarci e di ritornare alle 14.30. Poco male, perché ne aproffittiamo per girare tra i mercatini dove scoviamo le cose più incredibili (sapone DELUX che si vendeva da noi trent’anni fa, shampoo piuttosto datati e chincaglierie varie degli anni sessanta).Anche i vestiti dei paesani sono singolari, oltre a quelli tradizionali girano anche ragazzi con giubbotti e scarpe con zeppone alla moda europea. Pure il pranzo è singolare. Dopo essere andati in cucina a curiosare nelle pentole (e aver abbandonato ogni minima norma igienica) decidiamo per uno stufato in umido ed una zuppa di patate, pomodori e olive verdi: succulento, abbastanza digeribile e molto economico (circa 7.000 lire per il pranzo completo). Qui conosciamo il farmacista del paese, si aggrega al nostro tavolo e ci parla in francese della sua vita e degli usi e costumi dell’Algeria. Con lui andiamo pure a berci un Tè in un bar e qui ci confida il suo desiderio di ritornare in Italia (che ha già visitato più volte) anche se è rimasto deluso per come trattano gli Algerini a causa degli attentati terroristici, ogni volta che varca il confine lo controllano come se fosse pure un lui un terrorista. Ci scambiamo gli indirizzi, chissà se ci rivedremo…. Ritorniamo alla compagnia petrolifera, ci fanno aspettare un’ora per poi dirci che non possono (nel senso che non vogliono) aiutarci. Dopo In Amenaz il paesaggio è monotono perché è tutto piatto, secco e scuro. Addirittura a volte è tutto nero. Dopo un po’ cambiano i colori e ci appaiono dune morbide e rosse come il fuoco, senza alcun filo d’erba. Non posso non fermarmi e imbottigliare più sabbia possibile….il rosso della sabbia e l’azzurro del cielo creano dei contrasti emozionanti, quasi mi agitano. A circa un centinaio di chilometri dall’arrivo, comincia a fare buio. Solo alle 19.30 pernottiamo in un Hotel, questa volta profumato e abbastanza pulito. Ne approfitto per fare il bagno: è il primo dal 19.12.2000: una libidine!!! Usciamo per la cena. Ho i capelli ancora bagnati, ma la temperatura è decisamente estiva per cui si sta benone. Girovaghiamo un po’ in cerca di un ristorantino, ma tutti i camerieri che incontriamo ci negano la cena. “Fermè”, ci dicono sinceramente dispiaciuti. Non passiamo però inosservati, tant’è che uno dei camerieri a cui avevamo chiesto di cenare convince i colleghi a riaprire la cucina e a sfamarci: recupera del pane da qualche abitazione limitrofa e ci prepara un vassoio di verdure alla piastra (pomodori e peperoni verdi) con patatine fritte: Bbbbono….., bbbbonissimo! E qui l’ospitalità algerina è totale, globale, integrale: al momento di pagare il conto scopriamo di essere stati loro ospiti, non c’è verso di pagare, abbiamo mangiato “alla loro salute”: c’est l’Afric! Dopo la cena, l’amico cameriere ci accompagna con un suo amico presso la caserma della polizia per le solite formalità di controllo. Anche i poliziotti si dimostrano gentili perché ci accompagnano all’Hotel con il loro fuoristrada di ordinanza (che manco a dirlo è fatiscente). Scopriamo che via rete informatica hanno già ricevuto tutte le informazioni su di noi, sanno quando siamo entrati in Algeria e che siamo diretti li. Sono indietro, ma quando si tratta di sicurezza sanno il fatto loro.

31 dicembre 2001.

Mi sveglio con un neon sugli occhi. Invece no, è solamente il sole africano. Anche la colazione ci riserva un grande esempio di ospitalità algerina: biscotti fatti in casa dalla moglie del ristoratore per festeggiare la fine del Ramadan. Fa un gran caldo e passeggiare per il paesino in attesa dell’arrivo degli altri amici è veramente delizioso. Acquistiamo qualche cosa (cassette di musica etnica, verdura e frutta). Ci fermiamo pure in banca per il cambio. Impieghiamo circa due ore per un cambio valute, ma non mi annoio perché sono avvicinata da un piccolo gruppo di bambini. La prima cosa che fanno è quella di salutarmi e poi mi regalano una lattina (già aperta) di Pepsi. Pure loro mi chiedono la stylò, ma non ne ho più per cui scuoto la testa per fargli capire che non ho quello che desiderano tanto. Ho notato in loro qualche cosa di speciale: un grande rispetto della proprietà. Infatti, più volte ho prestato loro la penna per scarabocchiare il loro nome sul mio diario, ma ogni volta (senza la minima esitazione) mi restituiscono la stylò. Sinceramente non mi sarei mai aspettata un tale atteggiamento, soprattutto per il ricordo che ho dei bambini italiani con cui in genere ho avuto a che fare. Finiamo la mattinata in un bar a sorseggiare del tè e ad osservare il micromondo che ci circonda. Il pranzo lo facciamo nello stesso ristorantino della sera prima “Tassilophili”. Anche qui curiosiamo tra i pentoloni della cucina, invasi dalle mosche (san vaccino pensaci tu …) e anche per oggi zuppa e stufato va bene a tutti. Io non tocco né bicchieri, né tovagliolo (il mio pare già usato), mentre gli altri vanno via tranquilli. Mentre ritorniamo in Hotel per una pennica, incontriamo il resto del gruppo che finalmente è arrivato. Grande festa, ma breve perché loro (meno goderecci di noi) hanno già un super programma: i graffiti rupestri. Ebbene si, andiamo anche qua, ne vale la pena. Ci portano tre guide locali anch’esse munite di un fuoristrada (Pick Up – Toyota, come la maggior parte dei fuoristrada in questa zona). Per arrivarci attraversiamo i sobborghi, vediamo pure delle capanne di fresche frasche abitate da una famiglia….Giungiamo, quindi, sul letto di un fiume completamente secco. La presenza di piante ad alto fusto ci fa pensare che lì l’acqua ormai non scorre più da centinaia di anni, o meglio, scorre ma sotto terra. Arrampicandoci sui bordi del letto del fiume vediamo le incisioni (molto ben conservate) raffiguranti animali del tempo in cui il Sahara era una foresta. Prima di ripartire verso l’albergo, le guide ci offrono il tè, o meglio i tre tè. Tirano fuori anche del pane e del pollo arrosto che strappano con le mani, nessuno di noi osa. Anche in questa occasione siamo fortunati perché un amico di IdGiorgio ci invita a casa sua per la cena dell’ultimo dell’anno: ore 21.00 couscous per tutti. La casa dell’ospite si trova in paese. Ci accoglie in una grande stanza disadorna: ci sono dei tappeti in un angolo, un tavolino basso e i cuscini per sederci a terra. L’arredo si completa con un armadio (con sopra due brocche ed un vaso di fiori) e la TV. Nient’altro. Ci togliamo le scarpe all’entrata e ci accodiamo attorno al tavolino che non è apparecchiato. Poco più tardi, ci portano un gran catino di coucous con pollo e verdure e 10 cucchiai. Mi domando come faremo a mangiare su quel tavolino così piccolo con 10 piatti sopra. Non ci metto molto a capire che i piatti me li scordo perché mangeremo tutti dentro il catino con il cucchiaio. Siamo affamati e dopo i primi tentennamenti cediamo ai succhi gastrici. IdGiorgio ci spiega che gli algerini mangiano direttamente con le mani il couscous che appallottolano fra le dita e che i cucchiai li hanno portati per noi europei. Mentre mangiamo, alcuni amici algerini guardano la TV che fa una panoramica sulla festa dell’ultimo dell’anno in tutto il mondo. A loro non interessa particolarmente la festa dell’ultimo anno, non è valorizzata come in Italia. Quando abbiamo finito di mangiare, io e Simona chiediamo di visitare le donne di casa che sono tutte assieme dalla parte opposta della casa. IdGiorgio ci spiega che le donne fanno una vita a parte, quasi una società parallela. Sono tutte intimorite, ma sono contente di incontrarci. Si presentano una ad una, sono tante fra figlie, sorelle, suocere, mamme e nuore, non si capisce più niente. Ci presentano pure l’ultima nata di pochi mesi di vita e qui mi viene un colpo: è tutta fasciata dalla base del collo fino alla punta dei piedi. Non posso non domandare il perché di ciò e mi rispondono che viene fasciata per la notte…. Ci raggiungono anche altri due ospiti algerini: sono il sindaco di Illizi ed il direttore dell’aeroporto. Evidentemente la nostra presenza costituisce un vero evento straordinario. A mezzanotte brindiamo al 2001, un sorso di spumante viene vissuto come una mega – trasgressione, i ragazzi sono invitati ad uscire in giardino e il padrone di casa si sincera più di una volta che non ci sia nessuno che origlia al di là della porta. Un innocuo brindisi sembra un droga parti con orgia. A mezza notte e trenta siamo a letto, che capodanno diverso!.

01 GENNAIO 2001.

Alle 8 siamo già in piedi, pronti per partire verso la pista delle tombe. Appena usciti dal paese ci immergiamo in un paesaggio meravigliosamente vario: roccia vulcanica nera come il carbone, dune, lingue verdi d’erba, fiori bianchi profumati di geranio, alberi d’alto fusto…, mi ricorda la savana (che ho visto solo in foto). Le tombe si trovano su una distesa di sassi neri. Sono recinti circolari con all’interno uno o due sassi alti 40/50 cm. conficcati a terra. Pare risalgano a circa 1000 anni fa. Superata questa zona molto vasta imbocchiamo una pista ben segnata e di tanto in tanto incontriamo alcuni bambini tanto poveri quanto sorridenti. Il nostro commercio di vestiti in cambio di sorrisi e strette di mano procede a gonfie vele. Un bimbo mi chiede del collirio, esito per un po’ ma poi decido di metterglielo perché ha gli occhi veramente rovinati, spero tanto che gli possa dare sollievo. Anche qui mi chiedono la fatidica “stylò”, mi domando cosa possa servire in questo posto dove non hanno nemmeno la carta su cui scrivere. Forse la utilizzano come mezzo di scambio. Di questi bambini mi colpiscono molto il sorriso e gli occhi vivaci di chi è contento. Mi domando se lo sono veramente; ma credo di sì perché l’animo dei bambini non tradisce (comunque preferisco credere e sperare che sia così….). Incontriamo poi due ragazzine vestite di azzurro che indossano anche dei monili di grezza fattura. Non mi chiedono né da mangiare, né da vestire, ma monili e trucchi per il viso. Ne approfitto per regalare loro delle collane e dei bracciali che ho portato da casa. Solo riguardando le diapositive, a distanza di tempo, realizzerò che quei gioielli li avevo acquistati a Mestre da un “Vu cumprà”: vengono dall’Africa e sono tornati in Africa. Lungo la pista troviamo anche un pastore nero come la pece e vestito di nero. Ha perfino i denti neri. Ha con sé anche due caprette appena nate, con tanto di cordone ombelicale ancora attaccato. Non ci chiede nulla, acconsente alle nostre foto di rito. Mi sento un po’ imbarazzata nel fare le foto, mi pare di rubargli qualcosa…. ma non so bene che cosa, solo che ho questa sensazione. Lui non chiede nulla, ma gli dono comunque una giacca nera, non si sa mai, gli può sempre servire… Tutti gli incontri con gli algerini sono stati molto calorosi, tutti si sono avvicinati a noi e ci hanno stretto la mano con grande slancio, senza preoccuparsi delle nostre intenzioni. Ci fermiamo per il campo alle 16.45 (coordinate 2635241N – 00736651E). Ho fatto il tratto più bello del viaggio.

02 gennaio 2001.

La pista che affrontiamo oggi è sostanzialmente piatta, ben tracciata e parzialmente balisata. Il percorso, però, non mi pare particolarmente interessante né per il paesaggio, né per la guida. Ho io in mano il volante e mi pare pure di guidare niente male. Oso chiedere a Giorgio come vado, ma lui mi liquida senza darmi un minimo di soddisfazione. Poco male, io mi diverto lo stesso. Arriviamo in un piattone coperto di roccette che (secondo come le guardi) sono o tutte azzurre o tutte verdi: incredibilmente affascinanti questi giochi di luce. Decido di prendere una scheggia di roccia, ma quando la raccolgo, osservo che la roccia è banalmente nera. Incontriamo pure un pastore che ci blocca per andare a vedere i suoi petit chamoux. E’ molto agitato, pare abbia bisogno di aiuto, decidiamo così di seguirlo. Quando arriviamo lì constatiamo che i cammellini sono vivi e vegeti Sono proprio belli, hanno pochi giorni di vita e non stanno ancora in piedi. A quel punto capiamo che la sua agitazione era semplicemente “orgoglio professionale”. Riprendiamo il viaggio, ma verso le 13 sostiamo per il pranzo presso il pozzo di Al El Hadjadi. Mangiamo voracemente i nostri soliti panini. Enrico non ci fa’ compagnia perché ha mal di pancia e febbre a 38. Verso le 16:30 ci fermiamo per fare campo (coordinate 2726094N-0648722E) dopo esserci messi al riparo dal vento scavalcando una duna. Questa sera cuoca eccellente è Simona che ci propone una zuppa di lenticchie e ceci.

03 gennaio 2001.

Che freddo questa notte. Ma non sono l’unica ad averlo patito…. Partiamo verso nord, ormai abbiamo fatto il giro di boa. Facciamo, però, una breve deviazione per visitare il monte Gara Kanfussa, che ha su un lato una grande macchia nera. Ci arriviamo dopo aver superato alcune dune, fiorite di fiori viola e fili d’erba. Davide (quello che all’inizio pareva si fosse perso) ci regala un altro momento di forti emozioni. Superata una duna ce lo troviamo disteso per terra a fianco della moto. Quasi in lacrime ci dice di aver beccato un contraccolpo alla schiena che gli ha procurato un dolore pazzesco. Non ce la fa più a rimontare in sella e così fa’ cambio con Marco che con la massima disinvoltura (chi lo avrebbe mai pensato…) cavalca la moto per chilometri e chilometri su una pista di ciottoli e tole ondulè molto impegnativi. Il viaggio è interrotto una seconda volta. Tocca a Guido che buca una gomma della Mercedes, anche ai capi succede…. L’operazione è un po’ più lunga del previsto, perché Guido non si accontenta di sostituire la ruota, ma cambia solo il copertone. Il lavoro riesce bene, d’altra parte mi stupirei del contrario visto che su quella povera gomma si sono messi a trafficare in 8! Alle 16.30 arriviamo sull’asfalto che non ci abbandonerà più fino a Tunisi, qui finisce il nostro viaggio nel cuore del Sahara. Attraversiamo l’ennesimo posto di controllo militare, hanno il fucile in spalla e le ciabatte di plastica infradito. Sono un po’ scalcinati come militari, ma sono molto cordiali. Ci chiedono di fare delle fotografie con la loro macchina fotografica e qui comincia per me e Simona un reportage da fare invidia alla Shiffer, credo che ci abbiano fotografato in tutte le pose per almeno mezz’ora. Non capivo come potevo interessare loro, ero in condizioni pietose: sporca, struccata e con mezzo chilo di sabbia nei capelli. Comunque, dopo i primi attimi di imbarazzo, mi sono divertita a posare con loro pensando che quasi certamente poi mi avrebbero spacciato con gli amici per una delle tanti facili conquiste.

04 gennaio 2001.

Sono tre giorni che ho il materassino bucato ed anche questa notte ho dormito male. Non ne posso più e comincio a bramare l’air camping di Guido. Anche Giorgio ha il materassino bucato, ma non si lamenta più di tanto. Per caso veniamo a sapere che Guido ha intenzione di vendere il suo air camping. Non abbiamo dubbi né esitazioni: LO COMPRIAMO NOI! Ci mettiamo, quindi, in marcia, ma pochi chilometri più avanti ci ferma la gendarmerie per alcuni controlli. Anche loro sono cordiali e ci danno il benvenuto in Algeria stringendoci la mano e poi portandosela al cuore. Mi hanno spiegato che tale gesto ha un grande valore perché significa che sei ben voluto e ti portano nel loro cuore. Arriviamo, così ad Hassi Messaud che si presenta un po’ caotica per il traffico disordinato. Anche i palazzi non sono molto belli, anzi, direi che sono fatiscenti. Hanno tutti circa 5/6 piani e ognuno ha la propria antenna parabolica. Attraversiamo velocemente questo paese in direzione di Tougggourt. Lungo la strada incontriamo alcuni bambini che scuotono delle bottiglie o delle taniche vuote. Chiedono l’acqua. Non la neghiamo a nessuno, ma poco dopo rimaniamo senza e agli altri bimbi non siamo in grado di fornirne ancora. Mi spiace non poterli aiutare e mi riaffiora quella strana ansia e quel senso di frustrazione che mi ha accompagnato lungo tutto questo viaggio. Al tramonto giungiamo a Touggurt. Qui gli algerini sono meno interessati a noi turisti, tanti ci salutano e tanti no. Pernottiamo all’Hotel Oasis dove ci accoglie un maitre in giacca e cravatta. Alla sera girovaghiamo per la città e scopriamo le donne dello M’Zab che portano uno scialle in testa che le copre completamente. Tengono scoperto un occhio solo e se incrociano un uomo si voltano faccia la muro. Sono le famose Mozabite per le quali la tradizione non è cambiata. Ma assieme a loro convivono anche le donne che hanno sfidato la propria tradizione e portano vestiti decisamente occidentali. Ceniamo in un ristorantino con la famosa “Ciorba”, una zuppa di pomodoro, couscous, pochissima carne e spezie varie. Il cibo è buono, il cameriere è molto solerte e ci fa stare bene. La notte è speciale perché dormo su un vero letto e c’è una stufa elettrica che riscalda la stanza: lusso sfrenato!!!

05 gennaio 2001.

Meno avventurosa, ma sicuramente più confortevole è stata la notte appena trascorsa: non mi vergogno a pensarlo. Partiamo alle 9 verso El Oued. Quando arriviamo ci immergiamo immediatamente nel mercato. E’ una grande bolgia maschile, non so dove siano le donne, ma al mercato ci sono rigorosamente solo uomini. Gli stands espongono di tutto, dal vasellame, alle stoffe, alle spezie. Ci divertiamo a fare qualche acquisto: delle ciabatte di lana di montone, una coperta, un quadro di sabbia. Acquistiamo pure delle pastine per festeggiare il mio compleanno (pure questo passato in secondo piano, assieme al Natale e al Capodanno). Ripartiamo puntando alla frontiera, qualche ragazzino fa il gesto di lanciare sassi addosso alle nostre macchine. Un bimbo, però, fa sul serio e ci colpisce sulla fiancata sinistra del Patrol e poi scappa via. Giorgio decide di dargli una lezione e comincia a rincorrerlo, appena capisce le nostre intenzioni scappa via impaurito all’interno del villaggio. Verso le 13.30 arriviamo alla frontiera di uscita. Provo delle sensazioni diverse rispetto a quelle che ho provato all’andata. Non solo perché è giorno e ciò rende tutto più facile, ma anche perché ho appena conosciuto e vissuto un’ospitalità e una gentilezza veramente genuine (impensabili per come si mormora in giro e per quanto si trova ancora scritto). E’ anche vero, però, che oltrepassare il confine e mettere il piede in Tunisia mi fa allentare la tensione con cui ho convissuto in tutti questi giorni per paura degli integralisti islamici. Le formalità alla frontiera durano “appena” due ore, pur essendo noi gli unici a transitare. Appena fuori puntiamo verso Tozeur. Nei paesini adesso passiamo pressoché inosservati: qui sono abituati al turista. Devo dire che mi dispiace che sia così perché in questo modo non faremo di certo quegli incontri memorabili fatti nel deserto….. pazienza, è il prezzo dello sviluppo. Raggiungiamo di lì a poco Neftha. Mentre attendiamo gli altri che sono rimasti indietro approffittiamo per giare il paese e fare degli acquisti: una pietra bianca per deodorante e delle spezie da bruciare per aromatizzare le stanze di casa. Incontriamo tre ragazzini che escono da scuola e ci intratteniamo a chiacchierare, sono molto vispi e per nulla intimoriti. Quando ci raggiungono i nostri amici andiamo in un bar a bere l’ultimo tè. Pernottiamo a Tozeur un campeggio che si trova all’interno del palmeto: una meraviglia. Ci troviamo a dormire in boungalows fatti di foglie di palma legate a mano tra di loro, distesi su letti fatti a loro volta di legno di palma. Per conferire un tocco di eleganza, alle pareti sono stati appesi degli arazzi. L’atmosfera è romanticissima, comunque non accendiamo nessuna pila per evitare di vedere troppo…… qualche astuzia sull’igiene africano ormai l’abbiamo imparata! Prima di cenare, decidiamo di girare un po’ per il paese, ma fatti nemmeno 100 metri dall’entrata del camping ci imbattiamo in un negozietto di artigianato che vende proprio quei mobili in legno di palma. Perdiamo una buona oretta per frugare tra le sue specialità. Anche Fulvio è conquistato e cede all’acquisto. Si compera una bella sedia di canna di palma, completamente pieghevole. Non tratta nemmeno il prezzo ed è disposto a pagare quanto il venditore gli chiede, senza battere ciglio. Gode comunque di uno sconticino perché Giorgio si offre di trattare il prezzo per duo conto. Io mi faccio conquistare da un contenitore in legno massiccio che serviva per il mangiare il couscous e da due sgabelli in canna di palma pieghevoli. Il venditore è orgoglioso dei suoi prodotti artigianali e si illumina se gli chiedi qualcosa. Ci fa sfogliare pure una rivista francese “Jardin” che ha pubblicato un articolo sui suoi prodotti, con tanto di sua foto all’opera. Bella serata, cena all’aperto, ma sotto le palme.

06 gennaio 2001.

Partenza per Tunisi. L’unica sosta che facciamo è per pranzare, per il resto corriamo via veloci perché abbiamo molti chilometri da fare. Il viaggio di ritorno è una gran palla: sia perché stiamo ritornando e gli umori non sono dei migliori, sia perché il paesaggio si fa sempre più occidentale. Un tocco di “Africa” ce l’abbiamo quando corriamo in un’autostrada dove incontriamo frequentemente sul ciglio della strada greggi di montoni, asini ecc.. Sono un po’ preoccupata per la presenza di questi animali perché corro a 110/120 km/h e non so bene cosa fare se un montone mi attraversa la strada. Arriviamo a Tunisi con il tramonto e pernottiamo all’Hotel Amilcar. (vicino a Sidi Bou Said), sulla riva del mare. Come arriviamo nel parcheggio dell’albergo, tutti gli uomini si dileguano, catturati dalla miriade di moto e 4×4 parcheggiate. Faccio il terzo bagno del viaggio. Non bado a sprechi d’acqua e assaporo un aspetto piacevole della civiltà. Prima di cena, passeggiamo lungo la medina che però è ormai chiusa. Comunque è interessante osservare quell’intrico di calli che ti portano dio solo sa dove. Ad un certo punto ne imbocchiamo una che ci sembra interessante, ma sbagliamo decisamente bordo perché finiamo nella via dei “bordelli”. Ci invitano ad andarcene, ma riusciamo a vedere dentro ad un bordello ed io mi becco pure una palpata sul sedere. Finiamo a bere un tè in un locale caratteristico dove ci azzardiamo a fumare il “narghjlè”. Verso le 22 ceniamo, ma purtroppo non con la Ciorba o il couscous. Più tardi, andiamo a passeggiare per Sidi Bou Said. Questo paese per me è un sogno e lo decreto senza ombra di dubbio come “il mio luogo di lunga riflessione” se mai avrò un tale momento nella mia vita. Ai piedi della salita che porta a questo paese ci sono gli aranceti con i frutti appesi che emanano un profumo incantevole. Sono fiorite persino le boungaville, i gerani, gli ibiscus che abbeliscono le case bianche con gli infissi azzurri. La temperatura è deliziosa, sembra quella del nostro mese di maggio. Dall’alto del monte si scorge la darsena con le barche a vela ormeggiate: Enrico in un batter d’occhio ha già calcolato la rotta per arrivarci con il suo “ver-two”. Il paese è una chicca e ti fa inevitabilmente sognare.

07 gennaio 2001.

“SI SALPAAAAA!!!!!”. Sono le 7.00 e mi sveglio con questo grido di un vicino di stanza. Fuori c’è un sole radioso e fa molto caldo: ma perché si deve partire con una giornata così bella?

Nico.

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