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Algeria 2001- Di wadi in wadi al tetto dell’Hoggar

– Posted in: Africa, Nord Africa, Resoconti di viaggio

By Giorgia Vesentini
Originally Posted Monday, January 15, 2001

 

Giorgia Vesentini

Algeria 2001

Di wadi in wadi al tetto dell’Hoggar

 

Mezzi: 2 BMW GS100 Paris Dakar

Passeggeri: Giorgia + Beppe su una, Andrea sull’altra; in sterrato Giorgia va sul pick-up Toyota Land Cruiser 4500 diesel della guida, il caro Abbas

Visto: tramite agenzia Antonina Dalu di Roma, avendo precedentemente ottenuto l’invito via fax dal gentilissimo Monsieur Talbi Ab El Kader di Ouargla

Kilometraggio totale: in terra africana 5.420 km di cui 1.620 di fuoristrada

13 gennaio sabato Verona – Genova

Partiamo verso le 10.30 da Zevio in una mattina gelida e soleggiata, che si volge poi al grigio lungo la strada. Abbiamo addosso tutto l’abbigliamento del viaggio, sembriamo tre omini Michelin. Autogrill a Cortona per recuperare un po’ di calore, alle 14.00 siamo a Genova più stoccafissi che mai. Cominciamo bene il viaggio con la ruota di Andrea, una Metzeler da cross raccattata all’ultimo minuto: lungo l’autostrada si sono staccate alcune tacche centrali. Per sicurezza ne cerchiamo una di ricambio a Genova ma è sabato pomeriggio e c’è tutto chiuso. Incidentalmente (?) Andrea entra in un bordello accanto a un gommista, per sapere a che ora apre (il gommista). Un locale senza insegna con dentro molte fanciulle allegre e poco vestite cosa potrebbe altrimenti essere? Ci avviciniamo all’imbarco e chiediamo ai tedeschi che scendono dalla nave se ci possono vendere qualcosa, ma non troviamo la misura giusta. Tutti, indistintamente montano le Michelin Desert da 140, mentre la BMW porta la misura 130. Che bello, si comincia già con i dialoghi incasinati in anglo-franco-tedesco!

Nota tecnica: Prima di partire per il viaggio, cercando nuove notizie sul sito Sahara.it, abbiamo notato molte richieste di informazioni in merito alle Metzeler Karoo. Approfittiamo per segnalare l’ottimo comportamento delle medesime, sia su strada (si viaggia tranquillamente ai 150 Km/h su strade asfaltate, la tenuta in curva è ottima) che su terreni desertici: sulla sabbia non ha eguali, sui numerosi tratti di fech fech si riesce a tenere una velocità discreta, unico difetto il grip su terreni fangosi. Non è un problema di noi sahariani!

Oggi la nave è in ritardo per il mare grosso, l’imbarco comincia verso le 17.00. Al momento di salire sulla nave, secondo problema: ci molla la batteria di Beppe (si scatena il panico, e adesso una batteria chi la trova?). Dormiamo nella sala poltrone dove verso l’una e trenta scoppia pure una piccola rissa fra tunisini ubriachi (la prossima volta prendiamo la cabina). Mare molto agitato, niente bello.

14 gennaio domenica Tunisi – Kairouan 200 km

In mattinata tempo brutto e mare ancora agitato. Sbarchiamo alle 16.00 e passiamo la dogana alla svelta, sorpassando tutti con la moto a mano. Accendiamo la moto di Beppe con i cavetti e poi ci mettiamo a cercare una batteria e una ruota di ricambio alla Goulette. Per pura fortuna troviamo un meccanico che ha la moto (sua), un’Africa Twin, e insistendo un po’ leva la batteria dalla sua moto e ce la vende a caro prezzo. Altrimenti avremmo dovuto aspettare tutta la giornata di domani. Invece Andrea, alla ricerca della ruota, viene accompagnato a Sidi Bou Said da una amico che ha la moto, che lo introduce nel garage di un altro amico, che lo porta da un altro ancora…insomma conosce tutto il giro motard della Tunisi bene e gli (quasi) regalano, alla fine, una bella ruota usata.

Sono ormai le 19.00 quando partiamo per Kairouan; piove e l’asfalto è liscissimo. Dopo i primi 100 km di autostrada, la strada “normale” è molto buona. Vento freddissimo che entra nel collo, squarci di stelle. Arriviamo a Kairouan alle 22.00 circa e andiamo diretti al solito hotel Splendid (ex Splendid!). 30+20 dinari per le due stanze con riscaldamento e acqua calda, possibilità di mettere la moto in cortile. Cena tipica con bric e costolette d’agnello. Non c’è nessuno in giro, che desolazione.

Nota tecnica: Prelievo pos a Tunisi: 1 dt=1596 £

Benzina 0.71 dt per litro=1200 £ al litro

15 gennaio lunedì Kairouan – Ouargla 700 km

Sveglia non so come alle 7.20, operativi in moto alle 8.40. Cielo coperto ma non piove. Ci fermiamo per un caffè a Gafsa, attraversiamo Tozeur e Nefta. La strada è molto bella, sia il fondo che il paesaggio, specialmente verso Tozeur perché si comincia a vedere deserto. Verso le 13.00 siamo al confine. I tunisini sono molto allegri, gli algerini molto molto gentili e chiari nel dare le indicazioni su cosa bisogna fare. A differenza che per la Libia, qui non è assolutamente un problema attraversare la frontiera perché i moduli da compilare sono tradotti in francese. Non è obbligatorio fare il cambio…e del resto neanche facoltativo perché l’ufficio cambio oggi ha finito i soldi! Bisogna invece fare la dichiarazione di valuta per poter cambiare in seguito nelle banche. Attenzione: le banche in Algeria sono chiuse il venerdì per il riposo degli islamici e il sabato per il riposo dei giudei. L’assicurazione costa 20 dinari tunisini a moto. Partiamo a spron battuto per Ouargla, dove dobbiamo arrivare entro sera a casa di Kader (sono 330 km, aiuto!). La strada è bellissima perché serpeggia fra dune rosate punteggiate di palme, ovili e pozzi. In Algeria si nota subita che c’è più povertà che in Tuniasia. Il tramonto è molto dolce, i ragazzini giocano lungo la strada e la gente torna a casa su carretti tirati dagli asini. Taleb Arbi, El Oued, Touggourt: purtroppo dobbiamo filare via dai paesi perché non è bello viaggiare di notte (non ci sono le strisce per terra e fa freddo). Stiamo molto attenti ai bambini e in effetti è vero che molti prendono un sasso da terra per lanciarlo: noi rallentiamo e io mi sbraccio a salutare. Qualcuno ha tirato, ma è molto difficile che riescano a prenderci. Arriviamo stremati a Ourgla, senza aver mangiato nulla da 700 km a questa parte, e fatichiamo un poco per trovare il campeggio Tadhost: in realtà il campeggio è chiuso e Kader ci ospita nel giardino di casa sua (che è comunque confortevolissimo), offrendoci il bagno e l’uso della cucina. Ci prepariamo il nostro primo pasto autogestito sotto le palme e poi prendiamo un the con Kader, che ci racconta dei problemi dell’Algeria e della voglia di far tornare il turismo. Il suo registro degli ospiti è pieno zeppo di dediche fino al 1992, poi il vuoto assoluto. Noi siamo il 5° o 6° gruppetto di turisti da quella data in poi: due nel 1999, qualcuno a Natale 2000. Che pena! Da buon arabo ci dimostra che la guida che abbiamo prenotato dall’Italia tramite Avventure nel Mondo è molto cara, lui ci avrebbe fatto un prezzo migliore se lo avessimo avvisato per tempo. Si dimentica che lo avevamo contattato anche in settembre e i prezzi che ci aveva proposto erano i medesimi. E’ comunque un uomo molto simpatico e cordiale e presso di lui ci sente protetti.

Martedì 16 gennaio Ouargla – Gassi Touil 200 km

Questa notte non è stata fredda, solo un po’ rumorosa: alle 5.15 il primo muezzin, poi attacca il gallo, alle 6.15 il secondo muezzin, nel frattempo prende a piangere una capra destinata al macello. Finalmente verso le 8.00 arrivano i 40 bambini del giardino d’infanzia allestito dalla moglie di Kader al piano terra della loro casa.

Verso le 9.00 ci incontriamo con Abbas, l’autista che ci accompagnerà per il viaggio, e conosciamo il responsabile per Ouargla dell’agenzia Tenerè Voyages, monsieur Mouldi. E’ un uomo amabile e attendibile, come Kader, che ci accompagna in banca, a telefonare e fare la spesa. Bellissima la scena al mercato: ci fa cenno di nasconderci dietro una colonna, chiede il prezzo di quello che ci interessa al commerciante e poi ci fa saltare fuori per acquistare.

Nota tecnica: in banca cambiano 1FRF con 10,5 DA, al cambio non ufficiale si può avere dai 10 ai 12 dinari per 1 franco francese, a seconda delle situazioni. La benzina (da Ouargla in poi, la super è introvabile) costa 19 –20 DA al litro, l’acqua in bottiglia molto di più.

Verso mezzogiorno il pick-up Toyota che abbiamo noleggiato è rifornito di acqua, viveri e carburante e saremmo pronti per partire ma…all’uscita da Ourgla la gendarmerie ci chiede un permesso di transito per la zona petrolifera che rilasciano in un ufficio che riapre alle 14.00 (è necessario solo per i locali, cioè per Abbas, e non per i turisti, e solo in via straordinaria a causa di un convoglio militare di passaggio). Abbas è molto scocciato di dover rimandare la partenza, noi invece ne approfittiamo per goderci un ottimo e succulento pranzetto.

Alle 15.00 si parte, dopo una bella trafila alla gendarmerie di Ourgla: sono molto allegri e gentili i gendarmi e gli impiegati (anche donne), ma tutte le carte sono fatte e ricopiate a mano con notevole dispendio di tempo. A Hassi Messaoud, centro petrolifero molto grosso, si fa un’altra registrazione passaporti alla gendarmerie, più veloce. Comunque è obbligatoria solo per chi viaggia con una guida locale. Proseguiamo per Gassi Touil, c’è un altro barrage intermedio che chiude la strada alle 18.00. Ci fermiamo per il campo in una bella conca tra le dune, lungo la strada disseminata di impianti petroliferi, perforazioni, oleodotti. La sera si sente il rombo dei camion cisterna in lontananza. Cenetta con pasta Voiello pomodoro e cipolla, alle 21.00 in tenda a dormire.

17 gennaio: Gassi Touil – Hassi Bel Guebbour – Amguid 280 km di asfalto + 260 di pista

Sveglia alle 7.00 e partenza alle 8.00 per arrivare al barrage di Gassi Touil entro le 8.30. Ci mettiamo in fila in un parcheggio e attendiamo fino alle 9.00 la partenza del convoglio scortato dai militari. Incontriamo i francesi visti sulla nave, motorizzati con due Defender passo lungo e una Toyota pk. Fanno il nostro stesso giro ma al contrario. Abbas incontra amici, questa è la sua zona perché ha lavorato per un anno negli impianti petroliferi qui attorno. Si raggruppano un po’ di fuoristrada di locali, noi ci facciamo il caffè e lo offriamo a tutti. Scambiamo quattro chiacchiere con i francesi, raccontandoci le reciproche esperienze passate. E’ gente strana e per giunta viaggiano in sei maschi su tre vetture stracariche. Si scatenano le ipotesi. L’arguto Andrea, sorseggiando il caffè tra una boccata di fumo e l’altra, spara una delle sue innumerevoli cazzate. Con fare serio e dottorale, da antropologo navigato, ci consiglia, nel caso in cui ci cadessero dal portafogli le solite 100.000 £, di non piegarci a raccoglierle, avendo uno dei sei francesi alle spalle. E’ fatta, sull’entusiastico ricordo delle immagini del film Priscilla la regina del deserto, ci immaginiamo i sei scatenarsi attorno al bivacco serale, vestiti di paillettes e tacchi a spillo.

Il convoglio parte infine alle 9.30 e arriva alle 12.00 ad Hassi Bel Guebbour. Tengono una discreta velocità, a metà tragitto (sono circa 200 km) si fa la pausa pipì e i militari si scambiano con i colleghi che scortano il convoglio in senso contrario. Per informazione c’è un convoglio anche al pomeriggio. Non si capisce se è obbligatorio o altamente consigliato: qualche mezzo dei centri petroliferi circola liberamente, comunque il rischio è dato non dai terroristi (che qui non ci sono – ?) ma dai predoni: fermano il fuoristrada e lo razziano di tutto, senza fare male alle persone. La zona, essendo un largo gassi tra le dune, è adatta a una fuga senza lasciare tracce. Non aspettatevi assolutamente nulla da Hassi Bel Guebbour: ci sono benzina e gasolio, acqua e un cosiddetto ristorante. Basta. La strada è stata asfaltata fino a qui, con l’ultimo tratto in rifacimento. Adesso l’asfalto è sempre peggio, meglio viaggiare fuori. Raggiungiamo Bordj Omar Driss, che è un container con tre annoiatissimi militari. C’è in questa zona una straordinaria fioritura di fiori lilla. Da qui si imbocca, con tanto di tabella segnaletica, la pista per Amguid e ne percorriamo dopo pranzo circa 260 km a una velocità pazzesca. Non riusciamo a capire il perché di questa fretta tremenda che sprona Abbas ai 120 all’ora sulla tole ondulée. Io faccio i salti sul sedile e mi prendo capocciate sul soffitto, i due cavallerizzi si frantumano il fondo schiena. La pista si snoda sul plateau del Tinrhert, seguendo l’oued Irhahar: sono due gradoni successivi di tole ondulée, tra pietrisco nero e rosso, rocce frastagliate, nessuna vegetazione. La pista è balisata e penso anche frequentata perché incontriamo un camion che trasporta materiali di costruzione (con tutta la sabbia e i sassi che ci sono qui, che bisogno c’è di portarli da una parte all’altra?). Si entra verso sera (circa 60 km prima di Amguid) in un grande wadi sassoso con molte acacie, chiuso da montagne nere. Ci fermiamo per il campo molto tardi, è quasi buio e i due motard sono sfiniti. Per le forti vibrazioni Beppe perde la vite che tiene la batteria e a sera si accorge che è scomparsa anche la freccia sinistra. Capiamo il perché della fretta di Abbas: siccome stiamo facendo lo stesso itinerario che lui ha già fatto con il gruppo di Avventure nel Mondo a Natale, ma abbiamo quattro giorni in meno, allora dobbiamo correre per recuperare giornate. Oggi abbiamo già guadagnato un giorno, pur essendo partiti ieri in ritardo di mezza giornata a causa della gendarmerie.

Minestra con zucchine e cipolle, salame Cacciatorino. Chiediamo ad Abbas se gli dà fastidio che noi mangiamo salame, ma sembra non capire la nostra attenzione.

18 gennaio Amguid – Ideles 350 km pista

Levato il campo proseguiamo per la nostra strada, valichiamo un passo tra una catena di dune e una catena di montagne nere e dopo una trentina di km giungiamo ad Amguid, una grande boscaglia di acacie e cespugli tipo savana, con casupole di pastori e baracche. Che sia questa la tanto (letterariamente) citata brousse? C’è anche una scuola e ovviamente una gendarmerie, null’altro. Mi dice Abbas che l’acqua non è per niente buona. Qui la pista si tripartisce, cioè si può prendere per Djanet, per In Salah o per Tam. Noi prendiamo per Tam ma dopo un po’ di km lasciamo la pista ufficiale balisata e, continuando a seguire l’oued Irharhar, prendiamo la cosiddetta pista dei contrabbandieri. Che non sia chiamata così a torto ce lo dimostra l’avventura del pomeriggio. Verso le 12.00, a circa 200 km da Amguid, nel bel mezzo di un plateau di sabbia pesante, ci dirigiamo verso un fuoristrada verde come il nostro, fermo a 300 metri dalla nostra rotta, e che sembra in panne. Ci accolgono due personaggi in divisa blu con il mitra spianato e ci intimano di scendere dall’auto, pure io che sono donna e turista. Sento Abbas che continua a dire “tourist tourist” ma che non è per niente tranquillo, gli altri che strepitano nervosamente col mitra in mano . Ho pensato subito che si trattasse di predoni travestiti da gendarmi. Dopo alcuni istanti eterni abbassano il mitra e scaricano il colpo dalla canna, e finalmente capisco la situazione. Si tratta di doganieri che hanno appena sequestrato un mezzo a dei contrabbandieri di tabacco e lo stanno custodendo, in attesa che i colleghi con i mezzi della dogana portino alla gendarmerie i contrabbandieri acciuffati e tornino a prendere il mezzo sequestrato. Mi sembra di capire anche che alcuni contrabbandieri sono scappati, per cui i doganieri vogliono che noi attendiamo l’arrivo dell’altra pattuglia per fare la strada insieme, per sicurezza. Il fatto è che ci avevano scambiato per contrabbandieri perché abbiamo l’auto identica. E vabbè, ci mettiamo tranquilli e ci prepariamo il pranzo, offrendo carne Simmenthal e olive a tutti. Quando poi arriva l’altra pattuglia la situazione finisce a tarallucci e vino, perché il capo doganiere ci regala un pacchetto di sigarette sequestrate e vuole che facciamo una bella foto tutti insieme (giù i Kalashnikov, però, perché non sta bene!). Nel pomeriggio riprendiamo la nostra pista e decidono di non accompagnarci. Poco male: incontriamo lungo la pista altre tre pattuglie di doganieri che, sempre con modi bruschi, ci fanno fermare, e Abbas alza le mani e urla “tourist tourist”. Sembra di essere finiti in un gigantesco guardie e ladri! La pista nel pomeriggio non è balisata e, a parte qualche tratto di sabbia dura, è un macello di sabbione pesante, fech fech e sassi. Cominciano i saliscendi per montagnole, con curve di sabbione. Beppe, in una curva in salita, entrando in un cono d’ombra, va a sbattere contro l’unico sasso in 100 metri: via il coprimanopola e un’altra freccia! Abbas corre sempre come un pazzo perché vorrebbe arrivare a Ideles entro sera, ma io gli dico che si tranquillizzi perché cibo ce n’è e non dobbiamo certo massacrarci. A circa una cinquantina di Km da Ideles troviamo il cartello che annuncia di essere entrati nel parco dell’Hoggar, qui si può fare una deviazione che arriva diretta a Irafok. A questo punto il paesaggio diventa impressionante, così mi immagino l’Inferno dantesco: colline e spianate di sassi grossi come mattoni, neri o color caffè, appoggiati sulla terra rossa con minuzia e precisione uno accanto all’altro in modo che non ci sia posto nemmeno per appoggiare un piede tra uno e l’altro. La pista è stata letteralmente scavata fra questo tappeto incalpestabile di sassi, e spesso è sbancata con le piogge. Se uno dovesse fermarsi da queste parti non saprebbe neppure dove fare un campo. Finalmente dopo qualche km di questa allucinazione ininterrotta compare qualche zona di sabbia e ci fermiamo anche noi, tra dunette cespugliose molto frequentate e “caccate” dai cammelli. La notte è fredda ma non c’è vento.

19 gennaio Ideles – Hirafok – Assekrem 150 km pista, di cui 70 un macello

L’acqua nelle taniche ha fatto i ghiaccioli ma l’aria, al sorgere del sole, si scalda subito. Si sente che siamo a sud. Questa mattina niente abluzioni grazie ad Andrea, che ha lasciato cadere la pompa dentro al fusto dell’acqua, così non riusciamo a rifornire le taniche. Pochi km dopo il campo il paesaggio si apre in una zona di palme e siamo a Ideles, villaggio con case in muratura, la pompa di benzina, la posta (c’è pure il telefono pubblico ma oggi è venerdì quindi chiuso), un negozio di generi alimentari e come sempre la gendarmerie.

Ci mettiamo in fila insieme alle Toyota della polizia per la benzina, e nel frattempo osservo due camion stracarichi di lavoratori nigerini o maliani. Si vedono tutte queste testoline nere pigiatissime e le mani che ondeggiano nel cassone del camion, si accorgono che li fotografo perché c’è un movimento sincrono delle teste verso di me.

Ma dove vanno a cercare lavoro che qui attorno c’è solo povertà? Sembra che la Libia sia meta ambita, però qui siamo da tutt’altra parte. Un mistero africano. Acquistato il pane e caricata l’acqua, che qui è buonissima e fresca, ci dirigiamo verso Irafok, offrendo anche un passaggio. Su questa direttrice c’è un po’ di civiltà, gendarmerie che sgomma a destra e a manca, fili dell’alta tensione, pastori e piccoli orti coltivati. Irafok è un villaggio di pastori con bambini lancia sassi, che oggi sono a casa da scuola (per cui ne lanciano di più). Da qui parte una pista sgangheratissima ma spettacolare per salire all’Assekrem, a 2900 metri d’altezza, sul tetto dell’Hoggar.

Lo scenario è magnifico e inquietante: sembra che uno scultore incazzato abbia lavorato e spappolato le masse rocciose con rabbia e cattiveria, facendo uscire mille forme impensabili.

Non c’è vegetazione per km e km, ogni tanto una piccola guelta che sembra un paradiso terrestre. Sostiamo per il pranzo in un mare di sassi color cioccolato, c’è un gruppo di asini selvatici (i mitici onagri) che scappa subito appena mi avvicino, scorgiamo le prime gazzelle. Fa un bel caldo, mi chiedo che temperature possano esserci qui in estate e dove cavolo si riparino gli asini. La pista è molto difficile, specie per la macchina, perché le piogge di gennaio l’hanno fatta franare in molti tratti, ci sono fratture, sassi aguzzi e pietroni che saltano fuori.

La strada si arrampica su un passo molto ripido, tracciato a tornanti stretti, tutto una pietraia. Asini selvatici dappertutto, a me sembrano troppi per le esili risorse del territorio. Quando il difficile sembra passato, Beppe buca ma in 40 minuti, aiutati dallo spirito mistico del luogo, i due uomini aggiustano tutto, sotto lo sguardo benevolo e fancazzista di Abbas.

Alle 16.30 arriviamo su all’Assekrem, in tempo da record sia per l’auto che per le moto. E’ un luogo magico, sembra di essere sul tetto del mondo. Ci accoglie con la tradizionale ospitalità e cortesia il gestore del rifugio, Sadik, con il quale beviamo il the e parliamo dei turisti italiani che sono venuti qui a Natale. Una veronese in particolare gli è rimasta nel cuore e ci prega di portarle un suo messaggio. Dopo aver piantato le tende al riparo del rifugio (si può anche dormire dentro ma preferisco stare nel mio sporco), saliamo sulla cima dell’eremo per visitare la celletta di Padre de Foucauld e assistere al tramonto. Spettacolare. Ci sono pure i mufloni che si stagliano nel rosso del sole.

Trascorriamo la serata al rifugio dove è arrivato nel frattempo un gruppo di austriaci che ci perseguiterà per tutto il viaggio. Sono quei pazzi che viaggiano nella corriera che traina il carro loculi (Roller reise) per dormire. Hanno ovviamente lasciato il mezzo a Tam e sono saliti fin qui con i fuoristrada. Noi preferiamo la compagnia di un anziano berbero che parla bene il francese e non si capisce cosa faccia al rifugio (è malato e viene servito e riverito dai gestori del rifugio, forse è un parente). E’ molto sveglio, conversa amabilmente, mi passa i pezzettini di carne migliore dal suo piatto e fa esilaranti battute sulle turiste austriache over size (tu connais l’hippopotame?). La notte è molto ventosa e gli asini si avvicinano alle tende, facendo clop clop.

20 gennaio sabato Assekrem – Tamanrasset

Mi sveglio presto a causa del vento e ne approfitto per uscire a vedere l’alba ma sono troppo rincoglionita dal freddo e dal sonno e torno in tenda. Partiamo verso le 10.00 e arriviamo a Tam verso le 12.30, scendendo lungo la pista “ufficiale”, che è molto buona e ampia, con tanto di segnalazioni e kilometraggio, a parte i soliti tratti di tole ondulée dove Beppe perde l’ennesima freccia. Il paesaggio è molto suggestivo: picchi isolati di roccia frastagliata, montagnotte rosse dalla cima piatta, canyon e wadi da cartolina. Si incontrano pastorelli con le capre e i cammelli.

Il campeggio “4×4” di Tamanrasset è ottimo, spazioso e pulito, con telefono, possibilità di mangiare e personale simpatico. Spendiamo il pomeriggio nella manutenzione delle BMW, in docce e accurati lavaggi di tutto ciò che abbiamo (siamo impolverati fino al midollo, la sacca del cibo è un blob nerastro unto e sabbioso), poi andiamo in paese a fare spese. Non c’è niente di particolare da vedere a Tam perché non c’è un centro antico, ma la città è molto gradevole e rilassante, con gli alti muri di terra rossa, le acacie ombrose, il ritmo tranquillo del sud. I negozianti per la strada non assalgono il turista, tutti fanno un cenno gentile con il capo, i caffè sono pieni di gente. La popolazione è africana, le donne, nere nere e con bei lineamenti di tipo europeo, sono avvolte da un grande drappo leggero e tinto a batik (sadarast in tamasheq), che tirano fin sul capo ma senza coprire il viso, mentre gli uomini hanno il tradizionale vestitone azzurro e il cheche pluriavvvolto attorno al capo. Ci sono lavoratori nigerini e maliani fermi sul ciglio delle strade in attesa di lavoro. I bianchi invece sono molto pochi. Andiamo dal gommista a sistemare la gomma forata ieri ma forse becchiamo il peggiore di Tam perché lavora seduto per terra con le mani senza strumenti. La sera ceniamo in un ristorantino per la modica cifra di 6000 L. a testa. Prima di dormire Abbas ci fa capire che vuole portare con noi una guida per il prossimo tratto perché non è sicuro della strada. Io mi irrito un po’ alla proposta perché seduti in tre sul sedile davanti del pick-up si sta molto stretti, ma la mia arrabbiatura servirà a qualcosa: Abbas sceglierà l’uomo più magro del sud algerino, e per giunta anche il più gentile e simpatico.

 21 gennaio parco dell’Hoggar: Tam – Tifelardarin (pista per Djanet) km 150

Compleanno del Beppe. Torniamo dal gommista, scegliendone però un altro, perché quello di ieri nel rimontare la camera d’aria l’ha pizzicata e la gomma è di nuovo a terra. Questo meccanico sembra un po’ più professional e infatti non combina guai.

Piccolo difetto BMW: i cerchi montano tubeless, quindi, se stallonare la gomma in mezzo alla sabbia è un problema, ritallonarla tutta è un miracolo.

Per cambiare i franchi in banca devo fare le mie: gli impiegati stessi di una banca mi accompagnano alla banca centrale e poi mi fanno attendere una buona mezz’ora perché non hanno il tasso aggiornato da Algeri. Quando poi arriva, risulta identico al solito. Acquisto un po’ di queste stoffe bellissime indossate dalle donne e poi scopro in un angolo della pezza che sono made in India.

Verso le 12.00 partiamo da Tam alla volta di Djanet imboccando la pista cosiddetta “turistica”, cioè una pista che viaggia più sud della cosiddetta “camionabile”. Viene dunque con noi Mohamed, guida tuareg dell’agenzia Tenerè Voyages, che ha lavorato molto anche con il tour operator veneziano Kel 12. E’ molto simpatico, magrissimo, non si capisce l’età perché sembra vecchio ma ha figli che vanno dai 25 ai 2 anni. Abbas è molto contento di avere un uomo con cui parlare nella propria lingua, il francese e le donne non fanno per lui. Dopo 40 km di tole ondulée ci fermiamo per pranzare nella fresca guelta di Tamkrest, protetta con tanto di cartello. Di seguito facciamo circa un centinaio di Km percorrendo i wadi Indelegh, Tahifet e Futs, che sono abitati da pastori e parzialmente coltivati. Riguardo ai nomi dei wadi, sto cercando di trascrivere quello che mi dice Mohamed ma non sono sicura della traslitterazione. Dev’essere piovuto molto perché il terreno sembra alluvionato. Dopo i wadi entriamo in un plateau molto bello, lunare, di sabbia grossa con solchi profondi, rocce rotonde e ghiaino verdastro. Facciamo il campo verso le 18.00 in una zona che si chiama Tifelardarin, i motari sono molto stanchi perché il terreno è pesantissimo. Nell’edizione del 1992 della Paris Dakar, questo tratto era la speciale. Bella serata, non troppo fredda, loro si fanno il pane e la zuppona tuareg, noi una banale minestra. Decidiamo di abolire le zuppe Knorr perché sono troppo sintetiche e non sfamano, d’ora in poi solo pasta.

22 gennaio lunedì parco dell’Hoggar – pista Tam – Djanet km 130

Beppe questa notte ha avuto un po’ di febbre, il mattino quando ci alziamo c’è già caldo. Ci dirigiamo verso i monti Mihet, ci fermiamo in una zona detta Imberom per vedere un’incisione rupestre che rappresenta un formichiere. Imbocchiamo il wadi Tin Tarabin e arriviamo in un posto stranissimo, Youf Ahakit, dove rocce aguzze e altissimi pinnacoli neri spuntano dalla sabbia. Ci sono incisioni di buoi e giraffe, scritte in tifinagh. Lasciamo il wadi Tin Tarabin, attraversiamo un’altura di sabbia e roccette, per imboccare il wadi Tilunfazah. Poi di nuovo torniamo nel wadi Tin Tarbin, attraversando una gola ripida e rocciosa, molto stretta. Maohamed ci spiega che il Tin Tarabin fa un gomito in questo punto e si protende da un lato verso Djanet e da un lato verso il Niger. Verso le 12.30, al 110° km da stamattina, ci fermiamo per mangiare una deliziosa insalata di zucchine e carote con olio e limone. I motoristi sono stufi di viaggiare sul fondo del wadi perché si fa molta fatica. C’è il tempo in movimento, vento e qualche striatura di nuvole, ma al sole fa sempre molto caldo. Verso le 15.00 cominciano i guai della giornata: fermandoci per attendere i motociclisti, ci accorgiamo di avere la gomma a terra. Nessun problema, in un attimo Abbas e Mohamed cambiano la ruota. Nel frattempo Beppe arriva; il fatto è che in questi venti minuti – mezz’ora, Andrea non compare. Dov’è finito? Torniamo indietro di una decina di km e non si vedono tracce. Io e Beppe stiamo fermi e Abbas va con Mohamed in macchina a cercare lungo una pista laterale. Non c’è. Decidiamo di tornare al posto dove abbiamo pranzato, ma Abbas non vuole fare troppi km in più perché ha gasolio solo per 900 km, cioè giusto giusto per arrivare a Djanet. Allora, tornano indietro Beppe e Abbas sulla moto, con la borsa degli attrezzi – e qui Beppe si vendica della guida folle di Abbas guidando al limite delle possibilità, cercando le buche, gli avvallamenti e il fech fech più insidioso. Dopo venti km compare Andrea, saggiamente appollaiato su un’altura ad attendere, con i corvi che ronzano attorno. In pratica Andrea era caduto, rialzandosi non ci ha visto e ha imboccato un pista laterale. E’ andato avanti per un po’ senza vedere nessuno fino a quando ha capito che era meglio tornare indietro. Tutto è ben ciò che finisce bene, ma non è finita. Sono ormai le 17.00 quando riprendiamo la marcia, e dopo pochi km Beppe fora la solita ruota davanti. Allora noi andiamo a trovare il posto per la sera e cominciamo fare il campo, lasciando indietro i motoristi a cambiare la camera d’aria. Il sole tramonta e non si vedono arrivare. Io intanto mi sbizzarrisco con le patate sotto la sabbia e nel condimento per la pasta. Ma ci si mette così tanto a cambiare una ruota? Comincio a temere che si siano persi o che non abbiano capito dov’era il campo, così, quando ormai è quasi notte, mando Abbas a cercarli ed è la volta che arrivano. Il problema era che la ruota, una volta rimontata, continuava a bucarsi perché il copertone era pieno di spini, invisibili al tatto della mano, ma micidiali a camera gonfia. Ancora, arrivati al campo, la ruota era giù. Cambiala e ripassala di nuovo. Mangiamo e la ruota è ancora bucata. Io e Andrea non ce la facciamo più dalla stanchezza ma Beppe, finchè non ha risolto il problema, non vuole andare a dormire e imprecando in perfetto tamasheq, con un vento freddissimo, andiamo avanti a smontare e rimontare. Io tengo la pila addormentandomi in piedi. Finalmente la ruota tiene ma c’è un ultimo ostacolo: il mozzo non entra più nella ruota perché è pieno di sabbia. Ci mettiamo a smartellare e alla fine è fatta. Speriamo bene, le pezze sono terminate, il mastice è quasi finito. A nanna, con le mani belle nere di unto.

23 gennaio martedì parco dell’Hoggar – pista Tam – Djanet km320

Verso le 9.00 riprendiamo la nostra pista che corre nel wadi Tekelus. Ce ne sarebbe anche una parallela nel wadi Tadant. Dopo un’ora circa, sulla destra, si apre il wadi Hahajar, che è bellissimo perché le dune sono punteggiate da straordinarie roccette azzurre e rosa. Ne ho raccolte alcune, è una roccia che sfuma dal giallo al grigio all’azzurro. Ci immettiamo in un piccolo e graziosissimo canyon ricco di acacie e cespugli e, avvistate 4 gazzelle, Abbas e Mohamed si scatenano, tentando di cacciarle. Il gioco atroce consiste nell’inseguire il povero animale con il fuoristrada o la moto, fino a fargli mancare il fiato e poi scendere e bellamente acciuffarlo. Io sono inorridita e dopo un po’ di inseguimento sbotto e li faccio fermare. Ci sono rimasti molto male, perché lo fanno sempre e già pregustavano la deliziosa carne di gazzella alla brace. Per tutte le sere seguenti me lo hanno rinfacciato e penso anche che la mancata caccia gli sia scocciata tanto più perché una turista femmina e cristiana, con il potere derivato dal fatto di essere “quella che paga”, si è permessa di vietare loro un divertimento. Non me ne frega niente, sarò andata contro le loro usanze ma la gazzella è un animale protetto e nei parchi naturali la caccia è vietata. E mi stupisce che il gruppo di Avventure Nel Mondo accompagnato da Abbas, così lui ha raccontato, in dicembre si sia divertito a rincorrere e ammazzare una gazzella.

NDR dato che non trovo un indirizzo di mail per l’autrice lo inserisco qui….

VORREI MANDARE UN MESSAGGIO (DATO CHE L’INDIRIZZO CHE DA’ NON FUNZIONA)

ciao ho letto il tuo resoconto su sahara.it sono uno dei 7 motociclisti che hanno viaggiato con AnelM a natale non sono un fuoristradista e fare quel giro senza alcuna esperienza è stato parecchio duro, ma bello lo rifarei però con più calma, mi è mancato un contatto più stretto con la cultura locale ti scrivo per la questione della gazzella: NON E’ VERO CHE CI SIAMO DIVERTITI UN SACCO!!! è invece vero che due di noi hanno cominciato a fare gli stronzi ed insieme alle guide ad inseguire la gazzella, loro in moto, le guide con il Toyota.

Gli altri hanno osservato in silenzio la squallida scena, qualcuno ha anche avuto un litigio con gli eroici motociclisti. personalmente non ho detto niente, non c’era più niente da dire. la caccia degli algerini non mi ha però scandalizzato più di tanto, in fondo per loro cacciare gazzelle è legato alla vita quotidiana (anche se non è detto che una tradizione sia, in sè, positiva e da preservare).

grazie per la lettura del tuo racconto che mi ha rievocato il viaggio. oliviero filippini

Usciti dalla bella valletta, ci immettiamo su un plateau molto ampio con il fondo di sabbia rossiccia e compatta, detto Imberdoen, cosparso di acacie e ricco di gazzelle che saltellano di qui e di là. Ci fermiamo per il pranzo all’hassi (pozzo) Honag, dove c’è un acqua buonisssima e fresca e tanti escrementi di animali selvatici. Non ci sono però pastori qui attorno, siamo troppo lontani da qualunque villaggio. Nel pomeriggio entriamo nel wadi Tiririne e sostiamo al pozzo omonimo, dove l’acqua invece è pessima. Anche questo plateau è molto bello, ampio e con il fondo compatto. All’orizzonte si scorge l’erg di Admer e verso sera ci arriviamo. Che bello solcare al tramonto su uno spazio vastissimo e puntare verso le dune, è molto cinematografico! Ci accampiamo a ridosso di una duna altissima sulla quale Andrea si mette a fare il pazzo, nel rosso del calare del sole. Qui una montagnola di rocce ferrose, che secondo Andrea sembra la montagna del Purgatorio, crea un’ansa di sabbia che ci abbraccia come una culla. Passiamo una bella serata a discutere di caccia alla gazzella e a piangere (loro) sulla carne perduta.

24 gennaio mercoledì erg di Admer – Djanet 50 km

Beppe sta malino, ha febbre e tosse e per giunta, accendendo la moto, si accorge che l’alternatore non carica. Partiamo tutti contenti di attraversare l’erg di Admer, che ha l’unico difetto di essere breve, solo 5 km di dune. Alla prima duna, molto alta, la macchina si mette a bollire e allora ci fermiamo e ne approfittiamo per fare un po’ di foto. Le moto scorrazzano su e giù, nel tentativo di perdersi, ma non ci riescono. La pista attraversa un cordone dunario di un kilometro e poi si butta in un gassi. Andrea per allungarla trova una variante alla pista più in alto e ne approfitta per cadere, trascinare la moto e raddrizzarla, ma tutto qui. Sbuchiamo sulla strada asfaltata e l’impatto è amaro…come, finito il deserto? Ma è solo un attimo, perché in realtà stiamo arrivando nella dolcissima valle di Djanet e il paesaggio è ancora più bello di quello visto fin’ora. Si vedono le propaggini del Tassili, un complesso montuoso fatto di bruni panettoni, guglie e torrioni rocciosi, molto seghettati, che si elevano dalla morbida sabbia dorata. Djanet, la seconda “città” del sud dell’Algeria, è una vasta palmieraia, ricca di orti e coltivazioni, che sorge a ridosso di una falesia. Arriviamo in mattinata e ci sistemiamo al camping Zeriba, nel cuore del villaggio. Mohamed ci lascia perché da qui in poi la strada è asfaltata, tornerà a Tam con l’aereo. Noi ci laviamo per bene e ci facciamo una bella pasta; abbiamo finalmente un banale muretto e tre sedie di plastica che, dopo quattro sere passate a cucinare per terra, ci sembrano una cucina Schiffini. Siamo osservati simpaticamente (haa, italiani, pasta!!!) da quegli stessi austriaci Roller reise che avevamo incontrato all’Assekrem. Altri ospiti del campeggio sono dei tedeschi in arrivo dalla Libia (quindi la frontiera è aperta) con camper in stile residuato bellico che incutono timore e ammirazione (mi correggo: non sono “in stile” bellico ma sono veramente mezzi dell’esercito tedesco, tutti neri).

Nel pomeriggio io prendo il sole mentre Beppe si butta in tenda a farsi passare la febbre. Più tardi Andrea ed io andiamo al bar ad annegarci nel the, che poi ci farà male, e Beppe va con Abbas dal vulcanisateur. Neppure a Djanet c’è alcunché di particolare da vedere, se non le vecchie casette bianche, molte in rovina, aggrappate alla collina, e poi gli abitanti con i loro vestiti colorati, le Toyota di tutti i formati e le annate. C’è una villa lussuosa sulla cima della collina, tutta nuova, in ordine e illuminata…ci avviciniamo credendola ingenuamente un albergo con ristorante, invece una guardia privata ci invita gentilmente ad andarcene. Chi sarà mai il magnate di Djanet? Al tramonto facciamo una passeggiata verso la moschea, semplice e graziosa. Gli uomini sono seduti per terra, sulla soglia della moschea, avvolti nei loro mantelli scuri, mentre dalle palme arriva una brezza umida che contrasta con l’aria calda che si leva dal suolo. Ceniamo al camping perché sembra l’unico posto pulito per mangiare e poi passiamo una bella serata a chiacchierare con i gestori sotto la tenda, davanti al fuoco. Si parla in buon francese (loro, noi arranchiamo) di Algeria e Francia, terrorismo e militari, petrolio e multinazionali, Toyota a benzina o a gasolio, turisti tedeschi e italiani.

La notte è agitata da una difficilissima digestione della chorba (forse io e Andrea abbiamo fatto indigestione di the), accompagnata dai garruli richiami di galli, piccioni, capre, asini per tutta la notte. Perché gli animali in Algeria non dormono di notte?

25 gennaio Djanet – Illizi 420 km asfalto

Tutti belli pronti per partire, fatti gli acquisti e le ultime foto, Andrea buca…passiamo la mattina nell’antro di Vulcano per riparare la ruota. Io intanto procuro un “kit pastasciutta” perché di questo passo non so se arriviamo a Illizi per cena. All’uscita di Djanet un cartello segna 1400 km per Ouargla, quelli che ci aspettano nei prossimi due giorni. Saranno lunghi, asfaltati e noiosi. Dopo 120 km di serpeggi tra dune basse di un bel giallo sole, si arriva a Fort Gardel, un caffè e quattro case, il distributore è fuori uso. Attenzione ai bimbi perché nella foga di salutare vanno a finire sotto le macchine, come è successo al gruppo che ci ha preceduti. Il paesaggio adesso cambia, perché il bellissimo erg punteggiato da rocce e falesie color tabacco viene sostituito da un altipiano roccioso marron nerastro, tutto una curva e un saliscendi, perfettamente identico per ben 300 km. Una noia tremenda. Verso metà pomeriggio incontriamo la carovana di Avventure nel Mondo che sta scendendo in Niger (6 moto, 3 fuoristrada e 1 camion) e conosciamo il famoso Giampiero che ci ha procurato fuoristrada e autista (grazie Giampiero!). Proseguendo Abbas è talmente stufo della strada asfaltata che mi chiede di guidare, e poi continua a lamentarsi perché, avendogli fatto saltare il pranzo, è molto stanco. Che piattola, comincio a non sopportarlo più! Verso le 17.00 finalmente si scende da questo altopiano e arriviamo in vista di Illizi. Ci fermiamo un po’ prima del paese per scambiarci alla guida e osserviamo che, guarda caso, sulla collina di fronte si sta allestendo un matrimonio. Ci godiamo lo spettacolo: si vedono Toyota parcheggiate in bella mostra, cammelli e cavalli bardati che ingaggiano gare, donne vestite a festa che arrivano da ogni angolo, sciami di bambini. La giornata, per una volta, non poteva terminare in questo momento idilliaco? No, la moto di Beppe non riparte più, ci si aspettava qualche cosa di meglio da una batteria giapponese; andando dal gommista per farsi cambiare il copertone e montare quello di riserva, Andrea buca di nuovo. Allora finché io e Beppe spingiamo la cara piccola BMW per tre km fino al paese, che si trova graziosamente su un’altura, Andrea assiste impotente ai colpi che il gommista tira al cerchione, utilizzando il bazooka (una leva da camion con contrappeso da 10-20 Kg che viene lasciato cadere sul braccio della leva stessa per un’altezza di 1.50 mt.) e osserva inorridito la sua ruota gonfiata fino a 6 atmosfere. Prendiamo tre stanze nell’unico albergo di Illizi, che è anche discreto, e ci mettiamo nella corticella a sostituire l’indotto dell’alternatore. In meno di un secondo Beppe è circondato dai soliti curiosi. Come per incanto, si ritrova con le mani in mano, e la sua moto accudita da meccanici spuntati da chi sa dove. Comunque ci sostituiscono l’alternatore con uno che avevamo portato come ricambio. Ceniamo al ristorante e a nanna presto, per la prima volta da 10 giorni in un letto.

Nota turistica sui prezzi: l’hotel costa 1.310 dinari a camera con colazione, quindi 40.000 £, la cena al ristorante £ 12.000 a testa.

26 gennaio venerdì Illizi – Hassi bel Guebbour 700 km

Per la prima mattina da quando siamo partiti abbiamo un croissant vero a colazione, evviva! Paghiamo in franchi e ci facciamo dare il resto in dinari, così automaticamente cambiamo, e anche a un buon tasso (1 frf=12 DA). Partiamo presto per la lunga cavalcata piatta, la strada è dritta come un fuso e attraversa un erg molto bello, rosso fuoco. C’è seriamente il rischio di addormentarsi al volante. In tarda mattinata siamo a In Ameinas, che è un centro petrolifero importante, con le sedi di varie compagnie estrattive. C’è l’aeroporto, vari caffè, un “Grand Hotel Erg” non male, perfino una pasticceria. E’ molto più grande di Illizi e comunque non c’è nulla da vedere. Da qui in poi la strada comincia a essere frequentata (sempre comunque secondo standard desertici) perché comincia la zona dei pozzi. Vediamo la svolta per Deb Deb e la freccia “Libia”: secondo Abbas la frontiera con Gadames è aperta in entrambi i sensi. Ci fermiamo per la strada a pranzare al sacco e, dopo che l’ho foraggiato per giorni a carne Simmenthal, grana e pecorino romano, Abbas ha il coraggio di dirmi che la carne non gli va molto bene perché non è macellata secondo i precetti dell’Islam. E allora, pane e datteri! Anche se la strada rimane implacabilmente dritta, tuttavia il paesaggio è bello e addirittura abbiamo la fortuna di vedere per lunghi tratti il deserto fiorito. Sono strani questi fiori lilla, perché non spuntano da un tappeto erboso come ci si aspetterebbe, ma dalla nuda terra rossa e quindi sono molto contrastanti con l’asperità del paesaggio. Spandono per l’aria un inaspettato profumo primaverile. Verso le 15.00 ci fermiamo a bere un the al “ristoro” di Tin Fouye, proprio un posto da camionisti (stupendo!), accanto alla omonima base petrolifera. Abbas acquista un po’ di gasolio anche se non c’è il distributore perché ha saputo da un suo amico in arrivo da nord che a Hassi Bel Guebbour la cisterna è esaurita. Abbas è a suo agio in questa zona perché l’ha frequentata per anni e quindi mi racconta qualcosina in più del solito. Verso le 17.30 siamo a Hassi Bel Guebbour, dove appunto il distributore è a secco (forse arriverà domani l’auto cisterna, inshallah), comunque abbiamo gasolio a puntino per arrivare ad Hassi Messaoud. Incontriamo una coppia di motociclisti tedeschi, lei con la sua moto e lui con la sua, che hanno a disposizione 8 settimane per il fare il giro che abbiamo fatto noi, senza però guida e auto di appoggio. Hanno un serbatoio da 58 litri (la moto è sfigurata!) e una tanica di acqua da 30 litri. Complimenti e auguri!

Trascorriamo l’ultima serata nel deserto, accampandoci poco giù di strada nel gassi che all’andata avevamo percorso con la scorta. Sì, perché la cosa strana di questi convogli è che da nord a sud coprono un certo tratto, mentre nella direzione contraria, ma sempre sulla stessa strada, ne coprono un altro…boh! Abbas ci chiede se il posto ci va bene, ma non capiamo se la domanda abbia un senso climatico (cioè: è un posto salubre e riparato?) o protettivo (siamo sicuri qui o possono beccarci i predoni?). E come facciamo a saperlo? Vabbè, siamo quasi di fronte a un impianto petrolifero e nascosti dietro un duna, facciamo finta che vada bene. E’ l’ultima sera che trascorriamo con Abbas e Beppe e Andrea lo fanno parlare un po’ di più, così lui ci enuncia la sua teoria della donna. Io non lo strozzo solo per non attirarmi la vendetta islamica e me ne vado in tenda prima degli altri. La pasta mi è venuta troppo salata, haimè!

27 gennaio sabato Hassi bel Guebbour – frontiera – Tozeur 790 km

Levato il campo, siccome ci eravamo accampati in prossimità del segnale –380 km a Ourgla, in breve tempo raggiungiamo Ord Noss, il posto di partenza del convoglio in direzione sud-nord. Il convoglio parte verso le 10 – 10.30 e ce n’è un altro nel pomeriggio. Devono essere molti i mezzi esentati, perché, attendendo che arrivi il convoglio che scende, vediamo molte auto venirci incontro. Ad esempio pare che le moto siano esentate. Comunque arriviamo convogliati fino a Gassi Touil verso le 11.00, alle 12.30 siamo ad Hassi Messaoud (lungo la strada c’è un fortino francese stile Legione Straniera dove è stato prigioniero Bourguiba). Ad Hassi Messaoud spendo gli ultimi dinari per acquistare dei buonissimi panini al montone ma poi ci accorgiamo di non avere benzina sufficiente per arrivare in frontiera. Riusciamo ad acquistare benzina in dollari, anche se il cambio non mi sembra conveniente. Ci salutiamo con Abbas e gli regaliamo quello che non ci serve più. Siccome non ho più soldi per telefonare, prego Abbas, che torna a Ourgla, di avvisare Kader che non potremo essere da lui questa sera perché preferiamo andare diretti in Tunisia. Credete che Abbas lo abbia avvisato? Kader mi telefonerà poi, appena arrivati in Italia, dicendomi di essersi preoccupato e di aver avvisato la polizia non vedendoci tornare. Da Hassi Messaoud filiamo diretti a Touggourt, poi a El Oued e Taleb Arbi, in pratica senza fermarci. E’ un peccato perché qui il deserto è molto incivilito, con le palme che spuntano dai tipici recinti di sabbia, le casette bianche con il soffitto a volta, i pozzi, i cammelli…sarà per un prossimo viaggio. Vista anche la situazione che c’è nel nord, per questa volta preferiamo tirare dritto velocemente. Mi dispiace non fermarmi a Guemar, che mi hanno detto essere molto interessante…fatalità è proprio il villaggio dove 8 anni fa c’è stato il primo sgozzamento di militari, poi il terrorismo si è spostato al nord.

Arriviamo in frontiera al tramonto e per uscire dall’Algeria e entrare in Tunisia ci mettiamo circa un’ora. Comincia a fare un bel freddino, sono le 8 passate e ci fermiamo a cenare a Gafsa. Ci rendiamo improvvisamente conto di essere in Tunisia perché non ci lasciano cenare in pace ma…così è. Forse in Tunisia c’è un sofisticatissimo sistema di controllo dei turisti che utilizza i rompiscatole, i quali vengono strategicamente piazzati in ogni crocicchio allo scopo di assalire lo straniero e non mollarlo più per tutto il soggiorno o, se questo si divincola, passarlo all’agente successivo. Proseguiamo per Tozeur e andiamo a dormire all’albergo Warda, consigliato dalla Lonely Planet. E’ buono, c’è la doccia ustionante e la possibilità di mettere le moto in cortile.

Nota turistica: 26 Dt la doppia, 15 Dt la singola, cioè i prezzi non sono aumentati molto rispetto a quanto scritto sulla guida.

28 gennaio domenica Tozeur –Tunisi km 480

La mattina partiamo con molta calma, dopo aver fatto un giretto per Tozeur. Il cielo comincia a imbronciarsi e la temperatura ormai non è più quella del grande sud. Ci fermiamo a Gafsa per un caffè e a Kairouan per pranzo, dove provochiamo involontariamente un litigio tra due scocciatori che non riescono ad “agganciarci” (penso che si dividano le zone e noi dobbiamo aver zigzagato sul confine). Nel pomeriggio sulla strada per Tunisi ci becchiamo la pioggia e, ciliegina sulla torta, veniamo colti dalla grandine in pieno paesaggio aperto. Andrea con il suo salvaschiena protettivo, detto il tartarugo, si ripara benissimo dai colpi, noi un po’ meno. A Tunisi, con il centro chiuso per lavori in corso, riusciamo a trovare l’Hotel Maison Doreè, segnalato dalla Lonely Planet. Qui tutto, ma proprio tutto, è originale dell’inizio del Novecento, comunque è discreto. Non ha il garage, c’è un parking privato poco distante. Io sono disperata: non ho nulla di asciutto da mettermi perché mi si sono bagnati tutti i pochi vestiti a causa di un buco nei sacchetti protettivi. Scendo alla reception per farmi dare una stufetta ma non c’è nulla da fare, neanche alzando la voce in francese riesco a ottenere una fonte di calore in più. La sera troviamo un solo ristorante aperto in tutta la Ville Nouvelle, posto loschissimo e fumoso dove si beve gran birra. Sono l’unica donna.

29 gennaio lunedì Tunisi – imbarco

Passiamo la giornata a visitare Tunisi, nel pomeriggio facciamo un giro a Sidi Bou Said. Verso le 16.30 comincia fare freddo e ci dirigiamo verso il porto per l’imbarco ma non c’è nulla da fare. Bisogna aspettare in piedi e al freddo fino alle 19.00 per l’imbarco, non c’è uno straccio di sala d’attesa. L’imbarco è in orario, la nave è una Tirrenia ancient regime, poetica a suo modo. Le strutture sono in stile Ferrovie dello Stato, cioè progettate molto bene ma oggi trapassate e logore, comunque pulita. Per fortuna abbiamo perso la cabina perché i passeggeri sono molti e rumorosi, tutti emigranti, che fanno sinceramente molta pena. Ceniamo al ristorante, crepi l’avarizia!, con un ottimo vinello. Il mare è mosso ma noi dormiamo benissimo.

30 gennaio martedì Trapani – Palermo

Giove pluvio ci guarda benevolo: appena sbarchiamo a Trapani il cielo si apre e ci lascia vedere la Sicilia verdeggiante e ripulita dal temporale. Imbocchiamo l’autostrada per Palermo, molto comoda e gratuita, che finisce direttamente in centro città, con il caos che si può immaginare. Sistemiamo le moto in un parcheggio custodito e ci dedichiamo alla visita della capitale, con un occhio di riguardo per gli aspetti gastronomici. Attendiamo l’imbarco saggiamente accomodati in pizzeria e alle 21.00 saliamo velocemente in nave, che è di un lusso sfrenato per i nostri standard. Mare molto agitato, nel cuore della notte digerisco drammaticamente i manicaretti siciliani.

31 gennaio Livorno – Verona

Alla tv della nave si susseguono i bollettini meteo più disastrosi. La nave attracca a Livorno alle 17.30, per le 18.00 siamo in strada. Per l’ultima volta Giove ci è propizio: notte stellata fino a Verona, dove arriviamo surgelati alle 22.00. Alle 23.00 comincia a piovere ma noi siamo già nelle nostre solide abitazioni di europei sedentari.

Contatti utili:

Monsieur Talbi Abd el Kader tel 00213 29 765558 fax 00213 29 763466 oppure 765203

oppure 763108 camping Tadhost (vicino all’hotel Tassili)

Monsieur Mouldi Ténéré Voyages tel. 00213 29 715260 fax 715263

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