Originally Posted Tuesday, January 10, 2006
Arte rupestre di uadi Mathendush
Di ritorno da un viaggio in Libia (Dic. 2005) dove abbiamo rivisitato il sito di uadi Mathendush, pubblichiamo alcune foto dei graffiti trovati e con l’occasione rispolveriamo un testo tratto dal libro ‘Fiumi di pietra’.
Le immagini sono in sequenza da est a ovest.
Le coordinate dei gatti Mammoni: N 25°45.802′ E 012°10.077′
Il Coccodrillo N 25°45.788′ E 012°09.970.
L’escursione richiede circa 45 minuti.
La foto delle giraffe evidenziate con i gessi colorati sono tratte dal libro ‘Fiumi di Pietra’ pag.141.
ELEMENTI DI ARCHEOLOGIA SAHARIANA
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Bibliografia: Fiumi di Pietra di Angelo e Alfredo Castiglione e Giancarlo Negro
edizioni Lativa 1986
PREMESSA:
L’uomo è l’unico essere che parla e che riesce attraverso il linguaggio a esprimere concetti non soltanto concreti e contingenti, ma anche pensieri e sensazioni che si riferiscono al passato, al futuro, al mondo reale o all’immaginario.
Una maniera di comunicare così complessa ebbe certamente la sua storia, ed è proprio quella pietra che noi possiamo ritrovare la prima documentazione certa del passaggio dell’uomo attraverso le numerose testimonianze che egli ha lasciato impresse già dalla sua prima comparsa sulla terra.
In origine vi erano i CHOPPERS, primi grezzi manufatti a ciottoli scheggiati trovati accanto ai resti di ominidi fossilizzati e risalenti probabilmente a qualche milione di anni. Più recenti risalgono invece le AMIGDALE, specie di grandi asce di pietra scheggiata, simmetriche e a forma di mandorla rimaste lungamente immutate fino a circa 6000 anni or sono.
Proprio in questo periodo risale, la nascita di un uomo nuovo, un uomo che ha imparato a comunicare in modo articolato, il CRO-MAGNON. Numerosissime e diversificate per forme e materiali, sono le testimonianze ritrovate in Algeria nella zona detta El-Ater e perciò classificate nella fase detta Ateriano.
Con l’Ateriano, il Sahara dall’Atlantico al Nilo, diviene velocemente un immenso laboratorio tecnologico in cui vediamo, tra le molte cose, la comparsa di quei strumenti che resero l’uomo padrone della caccia, quali l’arco, la lancia e la trappola. Il periodo Ateriano può dirsi, in definitiva, il preludio di una diversa relazione Uomo-ambiente gettando le basi di quelle che saranno le culture più avanzate quale L’ epipaleolitico e il Neolitico.
In seguito, l’evento più importante, legato all’intensificarsi dei rapporti di comunicazione e di scambio economico è il passaggio dal messaggio completo a quello immaginario: é la nascita del GRAFFITO. Probabilmente, in origine, solo come immagine fine a sé stessa, in seguito, sicuramente, come messaggio consapevole di testimonianze di vita nel corso del tempo.
Il primo strumento di comunicazione dell’uomo è quindi la pietra, unico elemento non deperibile della sua vita quotidiana, ed è proprio da essa che affrontiamo questo viaggio a ritroso nel tempo, in un mondo in cui l’immagine ha scandito le tappe più importanti dell’evoluzione Umana, intrecciandosi ineluttabilmente tra il vivere quotidiano e l’eterna ricerca del magico e del soprannaturale.
L’ARTE RUPESTRE SAHARIANA
L’arte rupestre sahariana, viene generalmente divisa in alcune fasi principali che vengono classificate a seconda della presenza o meno di alcuni animali tipici in rapporto a certi periodi o fasi.
In sintesi, la cronologia dell’arte rupestre dipende essenzialmente da questi avvenimenti:
Introduzione del cavallo.
Arrivo nel Sahara delle popolazioni Libico-Berbere (antenati degli attuali Tuareg)
Comparsa di un alfabeto e di iscrizioni.
Introduzione del cammello e dell’instaurarsi delle attuali condizioni desertiche.
Datare con certezza un oggetto preistorico è un’impresa veramente difficilissima, e anche nel caso dei graffiti sahariani, gli studiosi hanno provveduto ad una classificazione convenzionale che tiene conto, come già detto, della comparsa di certi tipi di animali o di invenzioni tecnologiche che comunque non comprovano appieno le varie sequenze evolutive-culturali. Gli unici criteri di valutazione che hanno portato, nel caso dei graffiti sahariani, ad una divisione in tempi, sono essenzialmente tre:
LA PATINA, LA TECNICA, LO STILE
La Patina Detta anche con un termine improprio “Vernice del deserto”, è un complesso fenomeno fisico-chimico di ossidazione presente in tutte le superfici sahariane che tende, sotto l’azione del sole a scurire nel tempo il solco dell’incisione fino a portarlo, nel corso dei millenni a divenire della stessa tonalità della roccia su cui è inciso, da questo la possibilità di poterlo classificare.
La tecnica Essa raggruppa e divide diverse fasi in base alle caratteristiche di esecuzione del graffito. Questo criterio si basa generalmente sulla constatazione che tutte le incisioni sahariane risultano meglio se eseguite quanto più sono antiche, per cui è estremamente improbabile che un graffito realizzato in maniera sommaria e con la tecnica della martellinatura, possa appartenere ai periodi più antichi in cui i solchi di incisione e spesso anche le superfici interne al graffito, venivano perfettamente lisciate.
Lo stile Esso può considerarsi l’elemento di giudizio maggiormente confutabile, anche se sono comunque da considerare le molte variabili che non favoriscono ne una classificazione ne un confronto del tutto certo. Una caratteristica che comunque ha trovato fino ad oggi una valida spiegazione è data dalla distribuzione fisico-geografica delle incisioni rispetto alle pitture, infatti, mentre le prime sono quasi sempre prodotte su lastre di arenaria poste sulle sponde o in prossimità di uadi, le seconde sono al contrario, collocate all’interno di caverne ben protette, cosa che non si è mai verificata nel caso dei graffiti.
Comunque, al fine di poter avere un percorso di lettura storico-iconografico quanto più attendibile, useremo la divisione in fasi generalmente più accettata dagli studiosi che vede i graffiti sahariani raggruppati in cinque grandi fasi.
FASE DEL BUBALO
Chiamata anche “Periodo dei Cacciatori”, è sicuramente la fase più antica, attribuita ad un ipotetico iniziale Neolitico, consiste essenzialmente in grandi incisioni prive di pittura ed eseguite su lastre di arenaria. Esse rappresentano animali selvatici quali l’elefante, il rinoceronte, l’ippopotamo, la giraffa, il leone, il muflone e molti altri tipi di bovini selvatici; ricordiamo fra tutti il “Bubalus Antiquus”, un particolare tipo di bufalo dalle grandi corna che spesso compare assieme a figure riprese in atteggiamento di caccia armate di boomerang o di arco e giavellotto.
Numerose sono le testimonianze delle aree dell’Atlas-sud-Oranese (regioni di Djelfa e di Costantine), nel nord del Tassili (uadi Djerat) e nel sud del Fezzan (bacino del Bergiug). Ed è proprio nel Bergiug che il nostro viaggio farà tappa, non a caso meta prescelta, in quanto la definizione data dalli stessi scopritori di “Grande galleria d’arte a cielo aperto” non può non incuriosirci e stimolarci a saperne di più sul come mai quest’area sia oggi una delle più ricche e interessante luogo di testimonianze rupestri di tutta l’area sud sahariano. Gli studiosi confermano unanimemente che un tempo tutto il bacino del Bergiug, compresa la sua tortuosa rete idrica, sviluppatasi in decine di chilometri di fiumi , doveva essere un’area ricca di flora e fauna, quindi grande terreno di caccia, inoltre la zona, protetta a nord dalla ripida parete della Hammada di Mourzuk, a ovest dall’altipiano del Messak, a sud dalle immense dune dell’ Eden di Mourzuk, ad est infine dal Djebel Ben Gnenna con un unico punto di accesso dato ancora oggi dal Bab El Maknusa, mantenne praticamente isolata tutta quest’area e in epoca preistorica dovette mantenersi intatta molto a lungo in quanto questa zona non poteva essere utilizzata dall’uomo per l’allevamento e la coltivazione che oramai stava sviluppando e che avrebbero modificato definitivamente il suo stile di vita.
Da qui, lungo le grandi sponde d’arenaria dei fiumi oggi fossilizzati, si possono incontrare queste “Gallerie d’arte” separate da intervalli di qualche chilometro, ciascuna delle quali presenta immagini a tema e raggruppamenti specifici per ogni rappresentazione. Queste immagini si collocano nella fascia più antica e quindi a pieno diritto in quello che è stato il periodo bubalico precedentemente descritto. Ad un dato momento l’uomo-cacciatore del Bergiug scompare, forse migrando verso il sud a causa del progressivo inaridimento dei fiumi, di fatto non esistono altre testimonianze che comprovino la presenza di una cultura successiva, ma rimane il fatto eccezionale che da allora questa vasta area è rimasta praticamente intoccata dall’uomo e le “Gallerie d’arte” sono rimaste cosi` completamente intatte, come le hanno volute gli uomini del periodo bubalico.
FASE DELLE TESTE ROTONDE
Chiamata anche Periodo delle Teste Rotonde; si divide in un periodo “iniziale” costituito da pitture a solo contorno ed a colore monocromo pieno (giallo, verde, rosso), e “finale” a più colori . E’ forse la fase più caratteristica dell’arte rupestre sahariana essa rappresenta in prevalenza personaggi umani e soprannaturali, mentre gli animali sono simili alla fase precedente. Le dimensioni delle figure sono variabili, e spaziano da immagini piccole a quelle alte diverse metri, fra le quali, quelle delle divinità e degli Arquiti. La tecnica e’ molto complessa e curata, vengono usati svariati colori di origine naturale, con figure dai lineamenti appena dettagliati probabilmente di razza negroide e dedida al culto magico-religioso geograficamente ristretta questa fase ha il suo centro nel TASSILI sono visibili testimonianze interessanti nel TADRART-ACACUS, particolarmente lungo l’uadi Tequinat.
FASE PASTORALE 0 BOVIDIANA
Chiamata anche periodo Bovidiano e’ la fase più famosa dell’arte rupestre sahariana, conosciuta soprattutto per le numerevoli e bellissime pitture. del TASSILI. Infatti a differenza del bovino del Bergiug il TASSILI ed il TADRART-ACACUS, offrivano ampi spazi per i pascoli ed una conformazione territoriale più aperta dava la possibilità di spostamenti e di scambi più agevolati. La caccia per queste popolazioni rimaneva quindi un’attività secondaria, da qui le centinaia di mandrie bovine testimoniano all’interno delle pareti delle grotte una cultura completamente differente e con aspirazioni di vita diverse rispetto ai popoli delle aree del Bergiug. Oltre alle pitture sono presenti anche graffiti, le scene sono costituite soprattutto da grandi mandrie di buoi domestici accompagnate da uomini e da scene di vita tribale e di caccia.
Nel corso del tempo le pitture hanno subito variazioni molto interessanti soprattutto per quanto concerne la figura umana che da scura e di tipo negroide diviene bianca di tipo mediterraneo che ricorda quella delle popolazioni berbere attuali. Lo stile e’ molto naturalistico e sottilmente rifinito, compaiono per la prima volta lance e giavellotti ma spesso anche il Bastone da getto e l’arma curva
FASE DEL CAVALLO
Chiamata anche Periodo Cavallino, é collegata alla presunta introduzione del carro e del cavallo domestico in Africa. Lo stile torna ad essere più schematico e nel periodo detto dei carri sono visibili figure umane senza testa ornati di giavellotti, che governano leggeri carri a due ruote trainati da cavalli, probabilmente si ritiene fossero tribù di Garamanti o di popolazioni simili. In seguito, i carri vanno scomparendo per lasciare spazio a figure di guerrieri a cavallo, ornati di lancia e di scudo. Lo stile é schematico ed essenziale, le figure sono spesso raffigurate con un corpo a doppio triangolo geometrico prive di connotazioni somatiche a parte la presenza di copricapi con penne. In queste fase, compaiono però le prime scritte libico-berbare, di derivazione probabilmente fenicia, anche se l’origine rimane a tutt’oggi misteriosa quanto lo stesso significato.
FASE DEL CAMMELLO
Chiamata anche periodo dei Cammello (o camelino) é caratterizzata da un segno artistico quasi inesistente di forma e di contenuto generalmente povero. Gli unici animali rappresentati sono ancora quelli che sopravvivono nel Sahara oggi e le raffigurazioni sono accompagnate da iscrizioni in lingua berbera moderna La diffusione di questo stile per cosi dire accademico, ha avuto comunque, una diffusione estremamente vasta in tutto il Sahara, segno tangibile di uno stile di vita nomade tutt’oggi ancora praticato
SIGNIFICATI MAGICI E RELIGIOSI NELL’ARTE RUPESTRE NORD-AFRICANA
Agli occhi dell’uomo neolitico la magia doveva essere la sola forma in grado di mutare gli eventi climatici che minacciavano la sopravvivenza dell’uomo sulla terra. Con l’evoluzione e col passaggio dal nomadismo all’insediamento stabile ed all’agricoltura, l’arte rupestre documenta sistematicamente le varie fasi di trasformazione, ne sono testimonianza le numerose documentazioni storiche egiziane che già a partire dal 3500 a.C. indicano ricchi traffici di bovini da parte delle popolazioni Sahariane confinanti. Probabilmente, col progredire della desertificazione. l’allevamento dei bovini degli ovicaprini prende sempre maggior importanza come principale sostentamento delle popolazioni berbere e divenendo in alcuni casi immagine divinatoria, un esempio 6 dato dalla rappresentazione dell’ ariete con sferoide fra le corna, culto che si riscontra nei territori del Fezzan, nella Saura, a Sous e nell’alto ATLAS marocchino.
Negli scavi effettuati nel Fezzan a Zinchecra, nella fortezza dei Garama a Saniat e nella stessa necropoli di Germa, furono rinvenute diverse ossa di capra e montoni, probabilmente indizio di riti sacrificali. Gli stessi tuareg, usano tutt’oggi ornare con pelle colorata crani di muflone come feticcio di buon auspicio per l’accampamento e la famiglia. L’antichissimo culto del Dio-ariete AMMON rese famoso l’Egitto, ed in seguito in tutto il mondo conosciuto; l’oracolo libico SIWA, dove si trovava la celebre fonte del sole, presso cui Alessandro Magno si recò per ricevere l’investitura divina sembra essere quindi originario di una divinità preistorica libica: il Dio Gurzu. Egli è raffigurato come un Dio con due paia di corna, le prime due sono di ariete, le seconde poste più indietro, di toro o di bue. Il nome di diverse località Libico-Sahariane sembra avvallare questa teoria ne sono d’esempio l’antica città necropoli di GHIRZA oppure GURZA vicino a Sausse o GOURZI a sud di Costantine ed infine GURUZA in Mauritania. Erodoto ed altri autori ci tramandano che gli AMMONI, cioè gli abitanti del deserto libico adoravano il Dio-ariete AMMON, da cui avevano preso il nome, assieme a molte altre tribù dell’Atlante e del Nord-Africa come testimoniano le molte incisioni rinvenute sull’Atlas sud Oranese che risalgono probabilmente già all’età neolitica. La visione psichica degli uomini del preistorico ha così creato un’idea tangibile del soprannaturale attraverso l’immaginario fantastico esso è il pensiero di una realtà fortemente motivata dal bisogno primordiale di sopravvivere. E’ frutto dell’innata facoltà dell’uomo preistorico di poter proiettare sulla lastra di pietra tutta l’essenza dell’essere rappresentato, sia esso reale o immaginario. Oggi, noi uomini moderni che ci lasciamo alle spalle questi pezzi di storia millenaria non possiamo non chiederci quanto sia alto il prezzo pagato da una società moderna che adattatasi ad uno stile di vita sempre più complesso ed alienato ha dimenticato ormai quasi del tutto il significato del messaggio dell’uomo preistorico che attraverso i millenni ci testimonia ancor oggi il grande mistero della natura e del rispetto che l’uomo dovrebbe avere sempre per essa.
LA PREISTORIA
Tratto da : il Libro Garzanti della Storia 1971
Gli uomini della preistoria hanno lasciato sul suolo, a decine di milioni, le loro pietre scheggiate :in molti luoghi basta scavare il terreno per scoprirvi, sotto forma di ossa e ceneri, le tracce di antiche dimore umane. E tuttavia, non si fa archeologia raccogliendo asce di pietra, come non si fa botanica raccogliendo insalata. La Terra è un libro meraviglioso, ma disgraziatamente il tempo l’ha strappato e tagliuzzato, ed è scritto in una lingua difficile, molto più difficile a leggersi di quella delle vecchie pergamene. Le quali ci raccontano però solo una ben piccola parte della storia della nostra specie; per conoscere il resto, abbiamo una sola risorsa, chinarci sugli archivi del sottosuolo e tentare di decifrarne i documenti.
(da André Leroi-Gourhan : Gli uomini della preistoria)
L’età in cui gli uomini, per sopravvivere, raccoglievano i frutti nati spontaneamente dalla terra, si dedicavano alla caccia e usavano come principale arma e utensile la pietra, è chiamata appunto età della pietra. In questa età possiamo distinguere due periodi. Il primo, e di gran lunga il più ampio, abbraccia circa mezzo milione di anni e giunge sino a 10.000 anni fa: è il paleolitico o della pietra antica o scheggiata (dal greco palèos= antico e lìthos = pietra). Il secondo, che durò approssimativamente da 10.000 a 5000 anni fa, è il neolitico o della pietra nuova o levigata (dal greco nèos = nuovo e lìtho = pietra): fu in quel tempo che gli uomini cominciarono a coltivare la terra, ad allevare il bestiame, a scambiare tra loro i prodotti della caccia e del suolo e a vivere raggruppati in piccole comunità agricole che andarono via sviluppandosi. All’età della pietra seguì l’età urbana lo della città dal latino urbs=città), detta anche età dei metalli perché caratterizzata dal largo uso dei metalli, mediante i quali gli uomini crearono forme di esistenza sempre più complesse. Quando gli uomini, attorno al 3000 a.C., cominciarono ad affidare alla scrittura i fatti più significativi della 1oro esistenza gli avvenimenti che ne segnavano le tappe più importanti e le usanze tipiche della loro attività, ebbe inizio la storia
Vita e spostamenti dell’uomo primitivo
Durante i millenni del paleolitico, gli uomini, dediti alla caccia e alla raccolta di bacche e frutti selvatici, vagarono attraverso i continenti scegliendo la propria sede secondo le risorse che l’ambiente poteva offrire loro e adattandosi via alle diverse condizioni del clima. La ricerca del cibo fu certo il motivo principale dei loro spostamenti. Quando, per la continua caccia, la selvaggina cominciava a scarseggiare, oppure i mutamenti del clima determinavano la migrazione degli animali, l’uomo era costretto a cambiare sede per cercare nuove zone di caccia. Gli uomini del paleolitico vivevano in gruppi inizialmente composti da poche persone. Col passare del tempo, questi gruppi si fecero più numerosi. i loro rifugi naturali erano le caverne; in esse costruivano gli utensili, accendevano il fuoco, consumavano il cibo, seppellivano i morti. Quando abbandonavano il loro rifugio la sabbia e il fango portati dalle inondazioni e le pietre cadute dalle pareti della caverna per l’azione del vento o dei gelo seppellivano gli avanzi da essi lasciati. Dopo centinaia di anni, altri uomini si rifugiavano in quella stessa caverna. i resti di diverse generazioni di uomini formavano così molti «strati» alti parecchi metri. Gli archeologi hanno potuto portarli alla luce uno dopo l’altro, giungendo a calcolare approssimativamente per quanto tempo le caverne furono abitate e a stabilire l’età di ciascuno strato.
Utensili e materie prime
Gli uomini primitivi usarono dapprima gli oggetti che si trovavano a portata di mano, cercando di sceglierli secondo lo scopo cui dovevano servire; solo in un secondo momento li modificarono adattandoli alle loro necessità. I primi utensili furono perciò i ciottoli, raccolti sul terreno o nei letti di torrenti, che gli uomini rendevano taglienti battendoli l’uno contro l’altro e staccandone delle schegge. Tra tutti i materiali che l’uomo impiegò per i suoi utensili, la pietra era infatti la più comune. E più d’ogni altro tipo di pietra usò la selce, la cui durezza è superiore a quella dell’acciaio. Oltre alla pietra, le due materie principali usate per fare utensili erano il legno e l’osso. Gli arnesi di legno purtroppo sono stati completamente distrutti dal, tempo, mentre l’osso, che però era usato più raramente perché richiedeva una difficile lavorazione, si è conservato.
La caccia
L’animale era al centro di ogni pensiero e di ogni azione dell’uomo, il quale doveva difendersi da esso e al tempo stesso cacciarlo per procurarsi il cibo. Le armi più comuni usate dall’uomo paleolitico erano l’arco, il giavellotto, la lancia e l’arpione, con l’asta di legno e la punta di pietra di diverse dimensioni; la lancia e l’arpione avevano a volte la punta di osso o di corno di renna e di cervo. Altre volte l’uomo si serviva di una specie di costituito da una lunga fune con una palla di pietra alle estremità, che veniva lanciata contro la selvaggina per imprigionarla, oppure di un bastone speciale, da lancio, il boomerang.
Verso il neolitico
Quando dopo il 10.000 a.C. un clima più temperato si andò progressivamente sostituendo al clima glaciale, mutarono dappertutto la flora e la fauna e gli uomini dovettero adattarsi al nuovo ambiente naturale. Varie specie di grandi animali come il mammut, il rinoceronte lanoso, l’orso delle caverne, si estinsero; altre, come il bisonte, la renna, l’alce e altri animali che avevano fornito cibo alla gente del paleolitico, emigrarono verso nord. L’uomo, oltre a raccogliere molluschi marini e lumache, cominciò a cacciare animali più piccoli, come capre, cinghiali, roditori e uccelli: ciò lo costrinse a escogitare nuovi metodi di caccia. Verso la fine del paleolitico, nuove scoperte resero meno ardua agli uomini la lotta per il cibo e la sopravvivenza. Molti gruppi umani si stabilirono intorno a laghi e paludi, lungo il corso dei fiumi e sulle rive del mare, dove costruirono capanne elevate sull’acqua, dette palafitte. La pesca offriva infatti una fonte di cibo inesauribile e favoriva la creazione di abitati permanenti. L’uomo fu in grado di raggiungere le isole situate a breve distanza dalla costa; la scoperta di pagaie dimostra che egli aveva dato inizio alla navigazione. Per i trasporti terrestri, egli ideò traini o slitte.
L’uomo si lega alla terra
Intorno all VIII millennio prima di Cristo l’uomo sviluppò l’agricoltura. Da un sistema di vita basato principalmente sulla caccia e sulla pesca, egli passò a quello proprio dei contadini: l’agricoltura prima, poi anche l’allevamento del bestiame gli garantirono una fonte sicura di cibo. Si ebbero così i primi insediamenti stabili. Le prime forme di agricoltura si ebbero nel Medio Oriente, dove palme da datteri, ulivi, fichi, meli, viti selvatiche e altre specie di alberi da frutta già crescevano spontaneamente in grande quantità. Gli uomini osservarono che alberi e arbusti crescevano più fiorenti in vicinanza dell’acqua che non in luoghi aridi e che un albero produce frutti migliori se viene periodicamente potato; essi impararono inoltre a sfruttare il ritmo delle stagioni dell’anno. Già 5000 anni prima della nascita di Cristo, gli abitanti del più antico villaggio che si conosca, Giarmo, in Mesopotamia, nell’attuale Iraq, conoscevano il modo di coltivare il frumento e l’orzo, che avevano trovato allo stato selvatico in quelle regioni. Il villaggio di Giarmo, abitato da circa centocinquanta persone, era composto da 20-25 case con i pavimenti di argilla battuta e le pareti di canne intrecciate e di fango. Gli abitanti avevano costruito per le loro necessità forni rudimentali e cisterne.
L’addomesticamento degli animali
Quando si affacciò alla mente dei primi uomini la possibilità dì allevare gli animali? Essi avevano sicuramente sperimentato periodi di carestia dovuti a mancanza di selvaggina: all’infuori di poche carni seccate, infatti, l’uomo non aveva alcuna possibilità di tenere scorte di cibo per lunghi periodi di tempo. Solo l’allevamento poteva mantenere la selvaggina a disposizione dell’uomo. Sicuramente lo sviluppo di una invenzione come quella della trappola. (che dovette servire dapprima a cacciare senza che il cacciatore fosse presente) deve aver favorito l’addomesticamento degli animali. Infatti, se vi era abbondanza di cibo, l’animale catturato vivo non veniva ucciso fino a quando non fosse stata necessaria la sua carne. Altri animali catturati molto piccoli si abituarono naturalmente a vivere presso l’uomo. Col passare del tempo e certamente solo dopo che la cattura e l’allevamento del bestiame divennero abituali, gli uomini cominciarono a usare anche i prodotti di questi animali, specialmente la lana e il latte.
Nuove tecniche e nuovi materiali
Gli uomini del paleolitico per i loro utensili usavano principalmente la pietra, che avevano imparato a lavorare con molta abilità: l’oggetto che prima era semplicemente echeggiato veniva ora levigato perfettamente per ottenere piccole falci, asce, accette, lame, punte di lancia. Ma nel corso dell’età neolitica l’uomo scoprì anche nuove tecniche e nuovi materiali: prima la ceramica, verso la fine del VI millennio a.C., quindi i metalli. Furono probabilmente le donne a, fabbricare i primi recipienti di terracotta, cercando di rendere impermeabili don argilla impastata dei cesti di vimini. Il fuoco carbonizzò il vimini e cosse l’argilla rendendola dura e resistente. Mentre i loro uomini si dedicavano alla caccia, le donne perfezionavano questa scoperta, giungendo presto a modellare l’argilla con incredibile abilità e con gusto artistico. Fin dall’epoca più antica, infatti, le ceramiche vennero in qualche modo decorate con incisioni a strisce lineari o a spirale, e con motivi a rilievo; infine vennero dipinte. Le forme degli oggetti furono innumerevoli, destinate ai vari usi: tazze, ciotole larghe e basse, piatti, grossi bicchieri a calice, brocche e giare per la conservazione dei cereali.
La vita nei villaggi
Con l’avvento dell’agricoltura, la vita dell’uomo divenne sempre più stabile. Egli abbandonò definitivamente i rifugi naturali per stabilirsi in capanne sempre più solide e perfezionate, costruite nei pressi dei campi coltivati. Ben presto le capanne si moltiplicarono e si formarono così i primi villaggi.Nei villaggi, la vita era molto diversa da quella degli antichi cacciatori paleolitici. gli abitanti vivevano riuniti in tribù, gruppi di famiglie accomunate da medesimi interessi, che per lo più vantavano la discendenza da un capostipite comune. I rapporti sociali andarono facendosi più complessi:, tra i componenti delle famiglie emersero dei capi che diventarono anche capi delle tribù e dei villaggi. Erano questi non solo i più forti nella caccia e nella lotta contro le tribù nemiche, ma anche i più saggi nelle decisioni da prendere ogni giorno in seno alla comunità; spesso avevano virtù magiche di stregoni ed erano particolarmente venerati dagli abitanti dei villaggi. Cominciò anche a svilupparsi il concetto di proprietà: gli individui non possedevano solo le vesti, le armi e gli strumenti di lavoro, ma esercitavano diritti anche sulle terre lavorate, sui prodotti. sul bestiame.
L’uso dei metalli
La scoperta dei metalli produsse una nuova rivoluzione nella vita degli uomini. L’uomo fissò la sua attenzione dapprima su quei metalli che più facilmente si trovavano allo stato di natura come l’oro, il rame e l’argento. Già nel VI millennio a.C. era conosciuto in Oriente l’uso del rame. Il metallo veniva battuto a freddo con strumenti di pietra, sinché non acquistava la forma voluta; esso venne usato dapprima per oggetti d’ornamento, poi per farne lame di coltelli. Quando l’uomo scoprì che a contatto col fuoco il rame si ammorbidiva e quindi fondeva, ebbe l’idea di provare nuove tecniche nella fabbricazione degli oggetti metallici. Nei luoghi ove si potevano trovare vicini il rame e lo stagno, probabilmente nei monti dell’Armenia e dell’Arabia, la fusione occasionale di questi due minerali diede una lega che sì rivelò più resistente del rame, il bronzo, utilissimo nella fabbricazione delle armi.
Le prime città
L’età dei metalli, chiamata anche età urbana, segnò il passaggio dalla preistoria alla storia L’uomo, dedito all’agricoltura, alla pastorizia, all’allevamento del bestiame, mestieri che gli procuravano direttamente i mezzi di sussistenza, acquistò grande abilità ed esperienza nella lavorazione dei metalli e divenne artigiano. Questa specializzazione, che presupponeva una «divisione del lavoro» tra i vari componenti della comunità, esigeva però un’organizzazione complessa che non fu più possibile attuare nell’ambito della famiglia o della tribù. Nacquero così i primi agglomerati urbani, le prime piccole città, che sopperivano ai bisogni di una popolazione in continuo aumento, consentivano lo sviluppo del commercio delle materie prime e degli oggetti prodotti, fornivano alla comunità i servizi collettivi indispensabili. Nella città, l’autorità maggiore era esercitata non più dal singolo capofamiglia o capotribù, ma da organismi politici (dal greco pòlis = città) che curavano gli interessi della città nel suo complesso facendo costruire fortificazioni, templi, palazzi, riserve d’acqua e granai, destinati a servire a tutti i cittadini. E si formarono anche le prime distinzioni tra gruppi e gruppi di cittadini: una classe che si assumeva la responsabilità di dirigere la vita della comunità e una classe di operai e artigiani cui erano affidati i lavori connessi con le necessità dei cittadini stessi.