By Luciano PieriOriginally Posted Monday, March 18, 2013
Perché l’Iran?
Perché è uno degli stati asiatici da più tempo organizzato come nazione, con città, vedi Hamadan (l’antica Ekbana), abitate ininterrottamente da 4000 anni.
Perché fin da tempi remoti è stata in competizione con le potenze europee, prima con quella greca poi con quella romana, guadagnandone come cultura.
Perché ha grandiosi monumenti vecchi di 2500 anni che trasformano questo viaggio da geografico in storico.
Perché come noi italiani ha avuto un grande rinascimento che l’ha arricchita di poeti, scienziati e architetti che ci hanno lasciato opere grandiose.
La sua storia si perde nella notte dei tempi con un susseguirsi di sovrani a volte illuminati molto spesso incompetenti ma che hanno avuto il grande merito di tenerla unita come nazione.
La svolta decisiva della sua storia avvenne nel VI secolo a.c. con Ciro il Grande che fondo il suo regno, Achemenide, nel 558 a.c., durato 230 anni circa, sotto i suoi successori con grandi condottieri come Dario I e Serse.
Ma nel 330 a.c. venne dalla Grecia Alessandro il Grande che memore della distruzione di Atene fatta dai persiani dopo la battaglia epocale alle Termopili, aveva un conto in sospeso che chiuse distruggendo il salotto buono degli Achemenidi, Persepoli.
L’importanza della Persia fu amplificata dalla sua posizione geografica, in quanto punto di passaggio quasi obbligato sulle vie della seta che dal Catai, l’attuale Cina, e dalle Indie, portavano i mercanti alle sponde del Mediterraneo.
E dicendo mercanti non si può pensare solamente a spezie, sete e altri prodotti introvabili nel bacino del Mediterraneo, ma anche e soprattutto cultura, in quanto i nomadi erano portatori di nuovi pensieri in tutti i campi dello scibile umano.
Come monumenti alla Via della Seta, basilare momento storico per la grandezza dell’umanità, sono rimasti i caravanserragli, posti ad una giornata di cammino uno dall’altro e rimasti a punteggiare il territorio desertico della Persia.
Il nostro ideale viaggio in questo magnifico stato lo faremo partire dall’estremo est, a lato del Mar Caspio, nella sterminata pianura turcomanna, lì troviamo un monumento quasi sconosciuto anche alla maggior parte dei viaggiatori più incalliti, ma che costituisce la pietra miliare di tutta l’architettura islamica e non, dall’anno mille in poi.
Il suo nome è:
GONBAD-E-QABUS
Robert Bayron, esimio esperto di architettura, vissuto nella prima metà del secolo scorso, l’ha definito “uno dei più notevoli edifici del mondo”. I superlativi elargiti dai viaggiatori a cose che loro hanno visto, ma la maggior parte degli altri no, sono normalmente sospetti, tuttavia nel caso di Gonbad-e-qabus questa regola non vale.
Al centro della pianura sconfinata ad est del Mar Caspio, al di là del fiume Gorgan, si staglia contro il cielo, visibile anche da trenta chilometri di distanza, la torre funeraria di Qabus, Gonbad-eQabus.
E’ un cilindro affusolato di mattoni color caffellatte e con un tetto a punta color grigio-verdastro. Alto cinquantacinque metri e costruito su una collina artificiale di una quindicina di metri, da quindi un totale in altezza di circa settanta metri con un diametro alla base di diciotto metri.
Dentro è completamente vuota e visto le dimensioni è una cosa surreale, sensazione poi amplificata dalle risonanze d’oltretomba che la propria voce causa nel suo interno.
Questo eccezionale monumento funerario, perché di questo si tratta, fu fatto costruire ne 1006 dal principe Ghabus ebn-è Vashmgir (Ghabus o Kavus o Qabus, deformazioni foniche dello stesso nome) principe della dinastia Ziyaride, poeta, studioso e guerriero, generale del suo esercito, che un anno dopo, nel 1007 fu assassinato; il suo corpo fu messo in una bara di cristallo di rocca poi appesa con quattro tiranti nella cupola della torre, all’altezza delle finestre subito sotto il tetto a cono per ricevere il primo e l’ultimo raggio di sole della giornata.
Fu il primo monumento di questo genere, semplice e perfetto, che costituì nel futuro il modello inegualiato di tutte le torri funerarie che sarebbero poi state costruite.
I mattoni usati, lunghi e sottili, integri come fossero usciti ora dalla fornace, tagliano ancora, dopo mille anni, le ombre, come lame di coltello.
La linea è pulita, regolare e cilindrica, con dieci contrafforti triangolari che intersecano due fasce con iscrizioni a caratteri cufici, una in alto sotto il cornicione e l’altra in basso sopra la stretta apertura che costituisce l’unica parta di accesso.
Attualmente non esiste più la bara con il corpo di Qabus e non ci sono riferimenti storici che indicano quando venne rimossa.
Scendendo verso sud si attraversa il deserto DASCT-e-KAVIR, territorio per la massima parte inabitato; si incrociano sporadici gruppi di pastori nomadi all’eterna ricerca di magri pascoli e di rari pozzi d’acqua.
Si vedono vestigia antiche di una delle vie della seta, caravanserragli che accoglievano durante la notte i commercianti con i loro animali da soma carichi di merci preziose attese dai mercati del Mediterraneo.
Il paesaggio scarno e suggestivo, offre a volte la vista di laghi di sale che rispecchiano il cielo come fossero pieni di acqua.
E si giunge a BAM (ARG-E-BAM = La cittadella di Bam)
A non molta distanza dal confine afgano, questa verde oasi che produce grandi, dolci datteri color nero, è nota per le rovine di una città mediovale, fabbricata in mattoni di fango e importante nodo stradale sulla via della seta.
Purtroppo il 27 dicembre 2003, un sisma di 6,7 gradi Richter, l’ha distrutta completamente causando centinaia di morti.
Era stata costruita verso il 1100 dai Safavidi, una sola stretta porta dava l’accesso a questa città inespugnabile fatta di moschee, palazzi,piazze, insediamenti militari ed un caravanserrglio che accoglieva centinaia di cammelli, provenienti dal Catai sulla rotta passante attraverso l’Afganistan, con il loro prezioso carico da difendere dalle incursioni dei briganti.
Al tempo da me fotografata erano ancora ben visibili edifici, fortificazioni importanti, mura perimetrali, così suggestivi da essere stata scelta come set cinematografico per un film degli anni ’60, tratto da un romanzo di Dino Buzzati, IL DESERTO DEI TARTARI.
Risalendo verso nord ovest, passando per Kerman, ricca di moschee e di un grande bazar dove, sia per l’ambiente sia per le merci esposte, un salto mentale ai tempi di Marco Polo non è molto difficile, arriviamo a Shiraz.
SHIRAZ è resa grande dalla moschea con la tomba del FRATELLO DELL’IMAN REZA, Sayyed Mir Ahmad.
Questa famosa tomba chiamata del “Re della lampada”, è inglobata in un santuario meta ininterrotta di pellegrinaggi sciiti.
La quasi totalità degli iraniani è di religione sciita, da sciat-ali = il partito di Ali, e costituiscono il secondo ramo, come numero di adepti, della religione islamica dopo i sunniti.
Gli sciiti sono praticamente quasi tutti iraniani, con pochi altri, afgani e pachistani, che seguono come discendente da Muhammad (IL PROFETA), l’iman Ali, cugino e genero dello stesso, avendone sposato la figlia Fatima.
Questa scissione avvenne alla morte del Profeta, quando fra i suoi emiri si scatenò una guerra per il diritto a succedergli.
Ma questa è un’altra storia.
A Shiraz, nella provincia di Fars dove i primi Persiani o Farsi si insediarono, maturò la prima grande dinastia persiana fondatrice dell’impero achemenide e sasanide.
Dice Edward Browne (1893) nel suo libro, Un anno tra i persiani, “…..ripenso alle tre settimane che ho trascorso a Shiaraz con piacere purissimo. I collegamenti culturali che suscita sono noti ad ogni studioso; ho già debolmente tentato di dipingere le sue bellezze naturali; i suoi abitanti sono i più sagaci, i più ingegnosi, i più vivaci tra tutti i Persiani e anche la loro parlata fino ad oggi è la più pura e la più melodiosa.”
Vicino a Shiraz ci sono tre luoghi storici, belli e molto importanti: Pasargade, Persepoli e Naqsh-e rostam.
PASARGADE l’antica capitale fu fondata da Ciro il Grande nel 546 a.c.
Rimane ben poco di questa importante città; a parte le fondamenta di grandi palazzi dove la fantasia deve aiutare il visitatore per immaginare com’era, in piedi è rimasta solo la tomba di Ciro che un tempo conteneva il corpo del grande re dentro un sarcofago d’oro, naturalmente il tutto scomparso da secoli.
L’edificio si è salvato dalla distruzione per un errore fatto, in particolare dai musulmani; infatti fu ritenuta la tomba della madre di Salomone e quindi luogo sacro da rispettare.
E’ come un grande sarcofago bianco posto su un alto zoccolo isolato in mezzo ai campi.
E’ carico d’anni, ogni sua pietra è stata accarezzata dai fedeli, per renderlo così importante è sufficiente che Alessandro Magno sia stato il primo turista a visitarlo.
PERSEPOLI, magnifica città di marmo iniziata da Dario nel 512 a.c. e continuata da Serse e poi da Artaserse era il salotto buono dell’impero.
Infatti più che una città da abitare era luogo dove accogliere gli ambasciatori e i delegati stranieri che venivano in visita all’imperatore e meravigliarli con tanta sontuosità.
Non resse a lungo, nel 331 a.c. arrivò qui Alessandro il Grande che memore della distruzione del Partenone da parte dei persiani, volle pareggiare i conti distruggendola.
Fu riportata alla luce negli anni trenta del secolo scorso con gli scavi effettuati dall’archeologo tedesco Ernst Herzfeld specializzato nel ritrovamento di siti mediorientali.
La bellezza di questo luogo è molto opinabile, dipende dai gusti e dalle considerazioni personali, senzaltro è stupefacente la sua grandezza, ma può essere trovata anche un’opera fredda e senza anima, dove più che il genio creativo e prevalsa la tecnica di ottimi artigiani.
NAQSH-E ROSTAM a circa quattro chilometri a nord di Persepoli è una località caratterizzata da una parete di roccia rosa perpendicolare, dove i monumenti più evidenti sono le tombe dei re che successero a Ciro: Dario 1°, Serse, Artaserse e Dario 2°, ma solo la seconda da destra guardando la parete è stata identificata in maniera inequivocabile come quella di Dario1°.
Ci sono anche otto bassorilievi di periodi diversi fatte a gloria di vari imperatori, quella che più ci riguarda raffigura l’imperatore romano Valeriano in ginocchio davanti al re persiano Shapur che nel 257 d.c. lo fece prigioniero con un non definito tranello.
Davanti alla parete dove sono le tombe, c’è un grazioso tempietto fatto di pietra color avorio ritenuta da molti archeologi la tomba di Zoroastro.
Risaliamo verso nord per giungere a YAZD, cittadina in un’oasi sulla direttrice della via della seta proveniente da Bam.
La maggior parte delle case sono di adobe, mattoni di fango, dello stesso colore del deserto circostante: ocra rossa.
Su molti suoi tetti spuntano i tipici badgir, le torri di ventilazione, ingegnosa e antica tecnica per avere nella casa un’aria condizionata naturale e che funziona molto bene.
In questa oasi è raggruppato il numero più grande di zoroastriani, sono calcolati circa dodicimila, quanto il totale di tutti gli altri sparsi nel resto del paese: Zoroastro nato in Persia circa 600 anni avanti cristo, fondò una religione monoteista nella quale il fuoco aveva un ruolo purificatore di enorme importanza; qui a Yazd c’è il tempio “Fortezza dei leoni” dove su un altare brucia una fiamma che dicono non sia mai stata spenta da millenni.
Un’altra caratteristica di questa religione è il modo di disfarsi dei cadaveri in quanto, non potendo essere sepolti in terra perché la inquinerebbero, non potendo essere bruciati perché il fuoco è cosa pura, usano quindi delle apposite torri, chiamate del Silenzio, dove i corpi vengono esposti agli avvoltoi che ben volentieri si
accollano il compito di farli sparire mangiandoli.
Le più belle Torri del Silenzio si incontrano a una quindicina di chilometri da Yazd costruite su due collinette di roccia rossa; erano funzionanti fino a una cinquantina di anni fà e quando furono chiuse per legge avvenne l’estinzione degli avvoltoi.
Sulla via che da Yazd porta a Isfahan si passa da Nain, famosa per i suoi tappeti e per l’unico tessitore artigianale di una stoffa marrone, piuttosto rustica, con cui vengono confezionati i lunghi abiti dei mullah.
La moschea di Nain semplice e antica, spoglia di opere d’arte eclatanti, offre un ambiente ascetico pari a quello che può dare un eremo francescano.
E si arriva a ISFAHAN, la città dei poeti e delle rose dove la luce è di una dolcezza unica e la gente mostra una particolare gentilezza che rispecchia l’antica cultura.
In nessun altro luogo come qui i poeti sono venerati e le loro tombe visitate anche da giovanissimi, in primavera tutto l’ambiente è profumato da una meravigliosa fioritura di roseti.
E’ la città persiana più ricca di monumenti islamici. Il fresco azzurro delle piastrelle smaltate, in netto contrasto con l’arido paesaggio circostante, crea uno spettacolo indimenticabile.
L’azzurro è il colore privilegiato in un paese prevalentemente desertico perché ricorda l’acqua, e acqua e azzurro in persiano hanno un comune vocabolo: AB.
Superbi i suoi monumenti, antiche moschee e ponti che videro passare le carovane di mercanti antichi compresa quella di Marco Polo.
La sua storia risale a Ciro ma divenne veramente importante verso il 700 d.c..
Il rinascimento artistico e culturale persiano esplose a Isfahan lasciando i segni nelle meravigliose moschee ricoperte da colorate mattonelle arricchite da iscrizioni in caratteri sufici.
A conferma della tolleranza insospettabile di questa popolazione, qui esiste un quartiere armeno, Nuova Jolfa, con una chiesa cristiano-armena ben accettata come d’altra parte diversi luoghi riconducibili alla religione cristiana.
Via a nord-est fino ad Hamadam.
HAMADAM l’antica Ekbana è una delle più antiche città del mondo abitate ininterrottamente.
Secondo la leggenda questo luogo era abitato fin dall’inizio del II° millennio a.c. ma ben poco rimane di antichità, tutto scomparso sotto una anonima città moderna.
Nel 1300 dette i natali ad Avicenna grande medico, filosofo, fisico e poeta.
Qui c’è la tomba di Ester e di suo zio Mordecai. Ester, moglie ebrea di Serse 1°, che organizzo la prima emigrazione ebrea in Persia nel V° secolo a.c. ed è ancora molto venerata e rispettata come grande donna.
Nei dintorni ci sono, scolpiti su una parete di pietra , editti di Dario 1° e i bassorilievi di TAGH-E BOSTAN risalenti al 300 d.c..
Risaliamo decisamente verso nord per arrivare ai monti ELBURZ, situati tra la capitale Teheran e le coste del mar Caspio.
La cima più alta dell’Iran è qui: la montagna Damayand 5671 metri e nei suoi pressi una mitica montagna chiamata “Il trono di Salomone”.
Tra queste valli suggestive e sperdute ce n’è una particolarmente famosa e leggendaria, LA VALLE DEGLI ASSASSINI, dominata dal castello di Alamut, sinistra reggia di un malvagio reame, costruita nel 860 e dall’anno 1000 circa abitata da Hasan Sabah noto come il Vecchio della montagna.
Capo di una setta eretica che si estese fino in Siria, comandava loschi individui chiamati “hashishiyun=assassini” che dopo essere stati portati in luoghi di piaceri e storditi con hashish erano inviati a compiere i più biechi omicidi.
Questa impervia rocca, a 2150 metri, anche nota come il castello di Qasirkan il Magnifico, è molto suggestiva ed i suoi panorami ripagano ampiamente la fatica di raggiungerla arrampicando un erto sentiero.
In un’altra valle si trova il paesino di Masule, caratteristico perchè costruito come la nostra Matera dove l’accavallarsi delle costruzioni su per la collina fà si che i tetti delle case facciano da strade e quindi le strade fanno da tetti.
Entriamo nella regione dell’Azerbajan dove si giunge alla città di Tabriz.
La sua storia è molto antica perchè fu un altro nodo importante sulla via della seta, ma purtroppo con ben pochi monumenti. Si trova infatti in una zona colpita periodicamente da devastanti terremoti per cui di quanto costruito anticamente rimane ben poco.
Oltre ai terremoti, ad infierire sulla città ci pensarono prima i mongoli di Gengis e poi le truppe di Tamerlano nel 1392.
Quel poco che rimane, specialmente della Moschea Blu, lascia indovinare quello che doveva essere il suo antico splendore.
Questa regione è un groviglio di razze che convivono gomito a gomito: persiani, kurdi, azeri, turchi, armeni e russi, differenti anche per religione, quindi tutti odiano più o meno cordialmente tutti.
Attraverso una brulla steppa con rari villaggi kurdi, si giunge a una chiesetta particolare: Kara Kelisa, la Chiesa Nera.
Appare da lontano, nascosta dietro un muro di protezione, questo gioiello dedicato a san Taddeo, uno degli apostoli di Gesù, chiamato anche Giuda qui martirizzato nel 62 e dove i primissimi cristiani costruirono questo luogo di culto particolarmente sacro ai cristiani armeni.
Con varie modifiche, dovute alle incursioni anticristiane ed ai terremoti, raggiunse lo stato attuale nel 7° secolo.
Fino all’inizio del 1900 qui era Armenia, poi la regione fu occupata dagli iraniani quando i turchi presero molta parte di questo stato, con un genocidio sconosciuto del popolo armeno di cui si parla molto poco.
Gli armeni, attualmente si riuniscono qui solo una volta l’anno per una messa il 19 giugno.
Tra questa chiesa e il confine armeno, proprio a pochi metri dalla linea demarcazione, sulla confluenza di due fiumi, si trova un’altra chiesetta molto particolare dedicata a santo Stefano, qui martirizzato con san Bartolomeo: KELISA DARRE SHAM.
Costruita nel 14° secolo è ricca di bellissimi bassorilievi e particolarmente suggestiva.
In questo sito siamo fuori del mondo ed anche questo favorisce l’aria di mistico isolamento.